L’EREDITA’ DI SANGUE

A circa trecento metri dall’abitato di Sant’Ippolito, frazione di Cosenza, in mezzo alla lussureggiante campagna e sopra un poggetto, si trova la casa colonica di Gaetano Fabiano, contadino e piccolo proprietario terriero del paesino.
La costruzione è quasi nascosta dagli alberi e vi si accede per angusti sentieri campestri. La famiglia di Gaetano, composta dalla moglie, Maria Fabiano, dalla figlia Caterina e dal figlioletto di questa – il marito, Carmine Spagnuolo, è emigrato in America per i continui dissidi familiari – vive al primo piano al quale si accede attraverso una scala esterna all’uso campagnuolo. Al pianterreno ci sono due bassi: uno è usato come deposito, nell’altro vive il colono del fondo, Giuseppe Quintieri. Un grande pergolato, sostenuto da un muro esterno della casa da una parte e da due alberi dall’altra, ombreggia il lato più esposto al sole. Pochi metri oltre il pergolato c’è l’aia, adesso piena dei covoni di grano appena mietuto, è il 12 luglio 1907, e ancora qualche metro più in là c’è un pagliaio, le cui pareti sono fatte di frascame, paglia e virgulti ma non fitti in tutta la superficie delle pareti, tanto da lasciare degli spazi vuoti e da permettere persino da questi l’entrata.
La sera, dopo la lunga e faticosa giornata di lavoro, la famiglia Fabiano prende un po’ di fresco sotto al pergolato e poi va a letto. Dormono profondamente, nel basso, anche il colono e sua moglie. Ma se il basso è fresco, il piano superiore è un forno e non si riesce a prendere sonno, anche per le fastidiose punture delle zanzare che tormentano le loro carni.
Gaetano bestemmia spazientito, è stanco e vorrebbe riposare. Poi decide, verso mezzanotte, di andare a dormire nel pagliaio e qui, convinto di trovare un po’ di pace, riesce ad addormentarsi.
Maria Fabiano e sua figlia Caterina si svegliano di soprassalto quando nel silenzio della notte avvertono distintamente una detonazione:
– Ohi mamma mia! – urla – hanno sparato dietro la porta!
– No, secondo me viene da più lontano – le risponde Caterina mentre Maria si affaccia alla finestra che guarda verso il pagliaio e chiama a gran voce il marito, senza ottenere risposta.
– Ohi mamma mia! – ripete – Gaetano non risponde… che è successo? Giuseppe! Giuseppe! – urla per richiamare l’attenzione del colono, ma neanche questa volta ottiene risposta. Le due donne si vestono alla meno peggio e, con cautela, escono di casa, scendono la scala e bussano energicamente alla porta del basso dove dorme il colono. La voce impastata di sonno dell’uomo le avvisa che sta andando ad aprire – non hai sentito il colpo? Sbrigati che Gaetano non risponde!
Maria, Caterina e Giuseppe si avvicinano al pagliaio continuando a chiamare Gaetano ma non c’è niente da fare: non risponde. Poi il colono entra e nel buio cerca di capire che fine abbia fatto il padrone. Attraversa il primo ambiente stando attento a non fare innervosire l’asino, attraversa anche il secondo dove sono stipati degli attrezzi agricoli e finalmente entra nella parte libera del pagliaio, dove dovrebbe essere Gaetano. Dove è Gaetano. Steso su di un cumulo di foglie secche e secco anch’egli con una revolverata nel petto.
La detonazione prima e le grida disperate delle donne poi, richiamano sul posto un sacco di gente che comincia a curiosare compromettendo irreparabilmente le esili tracce lasciate da chi ha commesso l’omicidio, mentre qualcun altro va ad avvisare i Carabinieri di Pietrafitta, i più vicini al posto.
Ormai è giorno fatto quando arrivano sul posto le forze dell’ordine e il Pretore di Cosenza. L’ispezione dei luoghi e del cadavere li lascia perplessi: oltre alla ferita nel quarto spazio intercostale di sinistra a cui corrisponde un foro sulla camicia sbottonata, il cadavere presenta un’altra ferita da arma da fuoco al palmo della mano sinistra, trapassato da parte a parte. Nessuna delle ferite presenta i tipici segni dei colpi sparati a bruciapelo. Nessun altro segno di violenza. Notano, anzi, che alla vita del morto è allacciata la cintura dalla quale pende un revolver regolarmente inserita nella fondina e nel revolver ci sono tutte e sei le cartucce cariche. Nel pagliaio tutto è in ordine e non c’è traccia di sangue sul pavimento, contrariamente a quanto sarebbe stato logico aspettarsi.
Che sia stato ucciso in un altro posto e poi portato lì? Questa ipotesi viene presa seriamente in considerazione quando il medico legale si accorge di due minuscole macchie di sangue presenti sulla scarpa sinistra del morto. Allora, se Gaetano è stato ammazzato in un altro posto e poi portato nel pagliaio, è evidente che la moglie e la figlia debbano essere in cima alla lista dei sospettati. Maria e Caterina vengono arrestate ma si dichiarano innocenti, difendendosi strenuamente. Il colono continua a sostenere di non aver sentito la detonazione perché dormiva della grossa e di essersi svegliato solo quando le due donne hanno bussato violentemente e per parecchi minuti alla sua porta.
In verità su Maria e Caterina gli indizi sono davvero molto deboli e gli inquirenti, per trattenerle in carcere si appigliano alle voci che vorrebbero Caterina, qualche anno prima, autrice di un tentativo di avvelenamento ai danni del padre, il quale la rimproverava continuamente per la sua condotta licenziosa. Ma sono solo voci, come sono voci quelle che raccontano delle numerose inimicizie di Gaetano per questioni di interesse. Arrivano anche alcune lettere anonime che accusano ora questo, ora quello e gli inquirenti, non avendo ormai un santo a cui votarsi per scoprire l’autore dell’assassinio, indagano anche queste persone che risultano del tutto estranee al fatto.
Maria e Caterina vengono prosciolte e il fascicolo sta per essere rubricato a carico di ignoti e messo a prendere polvere su qualche scaffale della Procura del re, quando accade un fatto nuovo e del tutto inaspettato. È la mattina del 18 febbraio 1908 e sono passati sette mesi dalla morte di Gaetano Fabiano.
Avevamo raccontato che Caterina è sposata con Carmine Spagnuolo, quarantenne contadino di Pietrafitta, emigrato in America. Carmine, appresa la notizia che il suocero è morto e sua moglie con sua suocera sono state arrestate e le proprietà abbandonate a loro stesse, rientra in Italia e scopre che le due sono appena state scarcerate.
Caterina e Carmine tornano insieme nonostante lui abbia avuto l’ennesima conferma che la moglie, affetta da sifilide, lo tradisca regolarmente e si trasferiscono a Cosenza, col figlio e la suocera, in una stanza della Locanda Lucchetta nel rione Santa Lucia. Se Gaetano accetta passivamente questa situazione è solo perché ha saputo della volontà del suocero di lasciare tutti i suoi beni all’unico nipote, cioè suo figlio. Poi Carmine scopre che la moglie, trentaquattrenne, ha una relazione stabile con un giovanotto, Luigi De Rose, di diciannove anni e dopo una furiosa discussione se ne torna in paese per badare meglio alle proprietà della famiglia.
Il 16 febbraio 1908 Carmine va a Cosenza a trovare la moglie e il figlio per cercare di convincerla a tornare con lui, ma in paese, questa volta, Caterina non ne vuole sapere di tornare e quasi lo caccia via. Carmine insiste perché ha saputo dalla suocera che la moglie, unica erede dei beni paterni, dato che il povero Gaetano non ha fatto in tempo a fare testamento in favore del nipote, sta cercando di vendere, su consiglio dell’amante, tutte le proprietà per un valore di circa cinquantamila lire e poi scappare in America. La convinzione che ciò sia vero viene rafforzata quando, tornato dopo essere uscito a sbrigare una faccenda, trova in camera Luigi De Rose che si scalda al braciere e, girato lo sguardo, vede sul comodino dei fogli di carta bollata in bianco. A questo punto le sue insistenze si fanno molto più pressanti, ma senza risultato.
È la mattina del 18 febbraio 1908 e sono passati sette mesi dall’omicidio di Gaetano Fabiano. È domenica. Carmine torna in città per fare l’ultimo tentativo di riappacificazione. Entra nella locanda, sale le scale e sta per bussare alla porta di Caterina. Dall’interno vengono le voci concitate della suocera che cerca, anche lei, di convincerla a desistere dal suo proposito:
– Piuttosto convinci Carmine ad andarsene una volta per tutte se no farà la fine di suo suocero!
L’uomo è sconcertato. Ha appena saputo che la moglie potrebbe volere la sua morte e sospetta che Caterina possa essere coinvolta nell’omicidio del padre. Con la mente in subbuglio va dai Carabinieri a raccontare ciò che ha sentito e ad esprimere i timori di essere ucciso:
– Marescià… domenica scorsa l’ho trovato in camera con lei, adesso mia moglie dice queste cose… se mi dovesse accadere qualcosa sappiate che sono stati loro due…
– Stai tranquillo che non ti succede niente – lo rassicura il Maresciallo – piuttosto, cerca di sapere qualcosa di più sulla morte di tuo suocero… magari tua moglie, discorrendo, potrebbe farsi scappare qualcosa…
Carmine, uscito dalla caserma, va dall’armiere Palmieri e compra una rivoltella a cinque colpi più dodici cartucce, poi torna alla locanda, bussa alla porta, entra e trova Caterina da sola perché la mamma e il figlio sono andati a messa. Le fa delle avances e la moglie, che sta cucinando un po’ di carne, gli dice freddamente:
– Chiudi bene la porta se vuoi unirti a me perché poi te ne devi andare – Carmine si avvicina al letto dove Caterina si è distesa mentre continua a parlargli, sempre con tono distaccato, quasi di disprezzo – levati la giacca che starai più comodo
Il tono di Caterina fa perdere la ragione a Carmine. Estrae la rivoltella e comincia a sparare. Uno, due, tre, quattro, cinque. Tutte le cartucce. Pensa di averla uccisa e si china su di lei ma Caterina, nell’ultimo, vano, tentativo di difesa raccoglie le forze rimaste e gli si avventa contro piantandogli le unghie nella faccia. Carmine è sorpreso, non se lo aspettava; con un braccio la spinge via, poi corre al tavolo dove Caterina ha lasciato il coltello della carne e le si avventa colpendola ripetutamente e, infine, con un colpo netto e violentissimo, le taglia la gola da un orecchio all’altro lasciandole la testa attaccata per miracolo.
Nel frattempo il locandiere, allarmato dalle detonazioni, esce sulla via mentre stanno passando delle guardie che bloccano Carmine sulla porta della stanza e lo portano via.
Quando racconta la sua storia al Magistrato precisa:
– Sono fermamente convinto che la responsabilità dell’omicidio di mio suocero Gaetano Fabiano sia di Luigi De Rose e di suo padre Gaetano perché, data la tresca tra mia moglie e Luigi, era loro interesse togliere di mezzo mio suocero affinché mia moglie ne avesse ereditato i beni, perché era notorio che mio suocero intendeva nominare suo erede mio figlio. Tolto di mezzo lui avrebbero liquidato tutto a mia insaputa, come avevano tentato di fare e se ne sarebbero forse andati in America.
– Ciò che stai affermando non è legalmente possibile – gli fa osservare il Giudice – perché tua moglie non avrebbe potuto vendere niente senza il tuo consenso.
– Eppure ci hanno provato! Il notaio Sprovieri venne all’albergo ed andò via alla mia vista. La sua venuta doveva certo avere uno scopo, specialmente se si pensa alla carta bollata che mia moglie teneva in camera.
Il Giudice deve cercare di capire se Carmine ha ucciso per difendere il suo onore ferito o per non perdere l’eredità e Carmine è categorico:
Non fu il timore di perdere il patrimonio di mia moglie che mi armò la mano contro di lei e mi spinse a uccidere. Sono un lavoratore e mio padre è anche lui in agiata condizione. Del resto, con un solo figliuolo, quali preoccupazioni dovevo avere? Decisi per ragioni d’onore, convinto dal discorso cinico e sprezzante ch’ero riuscito a sorprendere sulle labbra di mia moglie, ch’io ero nulla per lei e che ella mirava a sbarazzarsi di me, forse facendomi uccidere dal suo ganzo.
Quando arrivano i risultati dell’autopsia c’è una novità sconfortante: Caterina era incita tra il settimo e l’ottavo mese e il bambino è stato trapassato da uno dei colpi sparati da Carmine.
– Non posso escludere che il bambino fosse mio perché appena tornato dall’America ho avuto dei rapporti sessuali con mia moglie – dice Carmine.
Alla luce di questo nuovo, possibile, movente che avrebbe portato all’uccisione di Gaetano Fabiano, il Giudice fa arrestare i due De Rose i quali, ovviamente, si dicono assolutamente estranei al fatto.
– Tra di noi non c’era niente… ci siamo incontrati qualche volta casualmente o perché lei mi chiedeva qualche consiglio sulle sue faccende…
I testimoni interrogati in merito rispondono tutti in modo vago che, si, li hanno talvolta visti insieme, anche col padre di Luigi e, addirittura con Carmine, sempre in pubblico e sempre in circostanze che non hanno destato sospetto. Troppo poco per poter dire con assoluta certezza che tra i due ci fosse una tresca. E se non c’è la tresca non c’è nemmeno il movente indicato da Carmine Spagnuolo.
Gli unici che si dicono certi della responsabilità dei due De Rose sono Maria Fabiano e il genero Carmine. Poi si aggiunge anche un cugino della vittima che fonda le sue accuse sul tentativo di vendita dei beni. Sempre troppo poco.
Quando la perizia eseguita sulle due rivoltelle trovate in casa dei De Rose esclude categoricamente che, o l’una o l’altra, siano l’arma del delitto, la giustizia si arrende definitivamente. Il 30 settembre 1908 Gaetano De Rose e suo figlio Luigi sono prosciolti in istruttoria per insufficienza di prove.
Resta l’estremo tentativo di accusa da parte di Maria Fabiano che, il 30 ottobre, invia l’ennesimo esposto per fare riaprire le indagini contro i due.
Non luogo per insufficienza di indizi è l’appunto con il quale, il 4 novembre successivo, il Giudice Istruttore Nigro chiude definitivamente il caso.
E se non ci sono indizi sufficienti che provino il coinvolgimento dei due De Rose nell’omicidio di Gaetano Fabiano al fine di non fargli fare testamento a favore del nipote, così ragionano i giudici che si occupano dell’omicidio di Caterina, non è possibile che Carmine Spaguolo abbia ucciso la moglie per motivi di interesse e così resta in piedi solo il movente dell’onore ferito e, si sa, l’onore è sacro e viene tutelato dalla legge.
Carmine Spagnuolo non è nemmeno ritenuto meritevole di subire il processo e viene prosciolto in istruttoria dall’accusa di omicidio. Ma Carmine Spagnuolo quel 18 febbraio 1908 portava abusivamente con sé una rivoltella e questo, invece, è un reato che va punito con la condanna a due mesi di arresto e 75 lire di multa.[1]
Secondo il volere di Gaetano Fabiano, suo nipote è ora erede di tutti i suoi beni.
Dopo due morti ammazzati.
[1] ASCS, Processi Penali.
Questa storia è tratta da due procedimenti penali separati.

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