IL CULTO DELL’ONORE

– Papà, papà! – urla il bambino agitando le braccia all’indirizzo del trentasettenne Salvatore Imbrogno, che sta tornando a casa sulla sua carrozza da noleggio percorrendo Corso Mazzini. L’uomo si ferma all’altezza della Banca Agricola del Mezzogiorno e fa salire il figlio, che continua – la sai una cosa?
– No, dimmi – gli risponde arruffandogli i capelli.
Papà, è venuta a casa nostra Iduzza che va cercando Peppino e l’ha cercato nell’armadio, sotto il letto e nella cucina e con mamma si sono chiamate puttane! – dice il bambino ridendo innocentemente, ma a Salvatore il cuore si ferma e diventa bianco come un lenzuolo: sua moglie, la donna a cui ha dedicato la propria vita, la madre dei suoi sei figli, lo tradisce! No, non può essere, sono solo le parole di un bambino di 5 anni e chissà cosa avrà capito della discussione tra Iduzza e sua moglie Orsola. Ma è inutile negare che il tarlo del sospetto inizia a roderlo, così domanda al bambino:
– Ma Peppino viene spesso a casa a trovare la mamma quando io non ci sono? E cosa fa?
Papà, Peppino viene spesso e abbraccia mamma sopra la cassa dove si siede e la bacia pure!
Sempre più preoccupato, torna a casa dove trova suo suocero, anch’egli vetturino, che vive con loro. Appena vede Orsola non riesce a trattenersi e le rifaccia ciò che gli ha detto il bambino. Glielo fa anche ripetere in faccia e così tra marito e moglie nasce una violenta discussione, ma Orsola non ammette niente. Poi, con tono pacato, rassicurante e sincero dice al bambino:
– Bugiardino che sei!  Ma come ti vengono in mente queste cose cattive sulla tua mamma? – lo abbraccia e il piccolo nasconde il viso nel suo seno. Salvatore si convince che il figlio si è inventato tutto, tanto più che gli sembra impossibile che una madre di sei figli possa aver commesso un simile tradimento, accogliendo in casa l’amante quando ci sono i figli, e l’armonia torna nella famiglia. È il 16 marzo 1936. Ma il cinquantasettenne suocero Gennaro Vallongelli vuole assicurarsi di persona che si sia trattato solo della ingenua bugia di un bambino e il mattino dopo va a casa di Peppino, Giuseppe Costanzo, trentenne cameriere di Chieti.
– Mi è arrivata voce che tu e mia figlia ve la intendete – gli fa a muso duro davanti alla moglie dell’uomo.
– Io? Ma che vai dicendo? Questa la ritengo un’offesa, non permetterti più di mettere in giro queste voci se no… se no…
– Ha ragione mio marito! Lo stai offendendo e offendi anche il mio onore!
Gennaro torna a casa rassicurato e rassicura suo genero, i Costanzo sono amici sinceri. Salvatore continua la sua vita sempre in affanno per il mantenimento della famiglia e per Orsola, verso la quale nutre un amore pazzo. Ma proprio perché il suo amore lo definisce “pazzo” e nonostante sia tornata l’armonia in famiglia, il tarlo della gelosia non lo abbandona, morde di meno ma non lo abbandona. Così vanno le cose fino al 13 aprile.
Verso le 15,00 Salvatore parcheggia la carrozza in attesa di clienti davanti al palazzo D’Elia, su Corso Mazzini. Qualcuno lo chiama. Si gira e vede Peppino Costanzo che gli sta andando incontro con un largo sorriso stampato sul viso:
– Salvatò! Vieni che ti offro un bicchiere di vino, andiamo alla cantina di Viale Trieste così controlli pure la carrozza.
– E jamu! – accetta volentieri.
Bevono un quarto di vino ciascuno, poi Salvatore controlla l’ora e si accomiata, deve andare a prendere un cliente. I due si salutano e vanno in direzioni opposte. Salvatore fa il servizio che deve fare e poi torna a parcheggiare la carrozza davanti al palazzo D’Elia. Subito arrivano due clienti che vogliono essere accompagnati all’altro capo della città. Lentamente la carrozza procede lungo il corso principale e quando arriva all’altezza del vicoletto che porta a casa di Salvatore, questi nota Peppino in atteggiamento guardingo e capisce che l’imbarazzo dell’uomo è stato certamente provocato dalla sua presenza improvvisa. Preoccupato, Salvatore procede oltre e, lasciati i clienti a Campagnano, ritorna immediatamente indietro con l’anima in pena, rifiutando l’invito a fermarsi per bere un bicchiere.
Lungo la strada vede un arbusto di biancospino e si ferma per staccarne un rametto fiorito da portare a Orsola.
Il rumore delle ruote della carrozza che entra nella traversa di Corso Mazzini annuncia l’arrivo a casa di Salvatore. Orsola esce di casa e va incontro al marito, cerca di abbracciarlo ma lui le porge il ramoscello di biancospino e prosegue verso la porta di casa, che è aperta.
– Salvatò… e non mi abbracci? Mi hai portato il biancospino…
Salvatore entra in casa mentre Orsola, evidentemente molto turbata e preoccupata, bussa alla porta dei vicini che le aprono e lei entra.
Salvatemi…andate a chiamare Carlo… mio marito ha trovato Peppino in casa
La vicina corre a chiamare Carlo e in pochi secondi i due tornano.
Intanto Salvatore è entrato nella prima stanza di casa sua e non trova nessuno. Poi entra in cucina. Nessuno. Apre la porta di un sottoscala, che per la sua costruzione rimane nella sua completa oscurità, e non nota niente di strano senonchè sente provenire dall’interno del sottoscala dei rumori e, con sua grande sorpresa, contemporaneamente uscirne di corsa un uomo che gli passa davanti, senza dargli il tempo e la forza per fermarlo: quell’uomo è Peppino Costanzo!
Adesso non ci possono essere più dubbi, la donna che ama alla follia lo tradisce! Il dolore atroce e il senso di disgusto che prova nell’immediatezza della scoperta si trasformano in ira accecante. Corre al comò, apre un cassetto e afferra la sua rivoltella. Si assicura che sia carica, se la mette in tasca e poi corre davanti alla porta dei vicini:
Orsola, vieni a casa chè ti devo parlare
No… Salvatore, no
Salvatore entra in casa, visibilmente sconvolto, prende la moglie per un braccio e cerca di trascinarla fuori ma non ci riesce perché Orsola resiste con tutte le sue forze. Allora Salvatore tira fuori la rivoltella e partono a bruciapelo quattro colpi uno dietro l’altro. La donna si accascia a terra senza un lamento con il cuore spezzato in due da un proiettile e Salvatore sente bruciare gli occhi e la gola per il fumo acre della polvere da sparo che annebbia la stanza. Poi, con le mani che gli tremano, rimette in tasca l’arma, prende dal portafogli 150 lire e le consegna alla vicina con l’incarico di darle a suo suocero per accudire momentaneamente ai bisogni dei suoi sei bambini, quindi, indicando col braccio teso il cadavere di Orsola, dice:
Questa donna… le ho voluto bene più di mia madre – e certamente quattro colpi di pistola sono il modo migliore di dimostrarglielo.
Poi esce senza che nessuno tenti di fermarlo e comincia a vagare per i campi verso il Crati.
Nella traversa opposta il Vicebrigadiere Giuseppe Atzori sta svolgendo il suo servizio. Sente le detonazioni e sente le urla della gente che accorre chiedendo aiuto. Entra in casa e trova il cadavere della trentenne Orsola Valloncelli poggiato sul fianco destro con la testa a pochi centimetri dall’uscio, una pozza di sangue sotto la testa e alcuni fori sulla camicia quadrettata bianco-nera.
Le indagini non lasciano alcun dubbio: omicidio per causa d’onore. Ma i Carabinieri, non riuscendo a trovare Salvatore, temono che possa tentare di ammazzare anche l’amante di sua moglie, così vanno a casa a prenderlo e lo portano in caserma in stato di fermo per correità in adulterio. Perquisiscono anche l’abitazione di Peppino in cerca di armi e invece trovano una lettera che Orsola gli scrisse nel primo periodo della loro relazione:
Mio bene
Non puoi immaginare in quale mesto dolore che mi trovo. Mi sento di uscir pazza, non prendo più pace. Mi hai tolto la mia felicità, sei stato capace di distogliermi l’amore, l’affetto verso il mio consorte, eppure non sei ancora convinto che voglio bene a te solo, che nessuno altro ha potuto conquistare il mio cuore, mentre tu hai avuto questa consolazione, eppure mi torturi continuamente dicendomi che vado in giro. Hai ragione! Qui si vede che se vado in giro, vado per andare in qualche Albergo con chi il tuo cervello è spostato, ma non fa niente, il mio soffrire avanza giorno per giorno, specialmente questa mattina quando tornai dalla spesa e mi gettai sopra il letto piangendo come una bambina, pensando che ho dovuto essere così sfortunata ingannando il proprio marito mentre mi adora e mi stima come una Santa, mentre io glielo ho contraccambiato con farci…
E ora tu che mi dovessi distogliere di ogni mio pensiere, anche mi dai così grande dispiacere che mi hai fatto così insensare che ti vengo appresso come un cane. Qua si vede se il mio amore è sincero verso di te, come tu che mi fai soffrire, che non risenti bene e amore verso di me. io lo comprendo, non crederti che sono fessa… ma lo faccio perché è il bene che me lo fa fare e tu fai i tuoi comodacci, non evvero?
Pensa che domani sono quindici giorni della mia disgrazia, che fosse stato meglio che mi avesse venuto una paralissa in quella sera e non passare questo soffrire, quello che tu mi fai ogni giorno. Ma non fa niente, verrà un giorno che indovini il mio nome che nessuna altra donna ti ha potuto amare al mondo come me! Perciò, ti raccomando, se mi vuoi un po’ di bene – che non lo credo – di non mi dire più quella parola, che mi conoscono tutti e mi rispettano i pietre che sono dieci anni di matrimonio e tu hai avuto la sfacciataggine di macchiare il nome del mio… ma non fa niente, quando nasce una passione non fa pensare a tutti questi fatti, non evvero? T’amo, si t’amo con tutto lo slancio del mio desolato cuore che palpita amore solo per te, mentre non viene neanche corrisposto al suo soffrire. Ti dico una cosa: domani sera dovrei andare verso le 7½ di nuovo alla Prefettura, cerca di farti trovare che vediamo se possiamo andare a farci una passeggiata in villa, che ci sono tante cose da dire. Credo che mi accontenti, se non fai come venerdì e sabato che sei andato a farti i tuoi comodi. Non prolungo, rispondimi subito e scrivimi a lungo come faccio io.
Abbi intanto un lungo bacio, che per te solo soffro.
Tua per la vita
Ti raccomando di non uscire oggi altrimenti, te lo giuro, che tutto terminerà e non ti guarderò mai più.
E si, Orsola aveva proprio perso la testa!
Ma è da questa lettera che i Carabinieri cercano di scoprire chi è davvero Giuseppe Costanzo:
Il Costanzo è una figura losca, tendente all’ozio e agli amori, quantunque ammogliato con figli. Gli amori per lui erano più che altro speculazioni perché, date le sue misere condizioni, non poteva vivere in quell’agiatezza di cui amava circondarsi. Tanto viene dimostrato da confidenze da noi avute e dall’opinione pubblica. Egli sfruttava come poteva anche la morta, la quale con molti sacrifizi, privando i figli degli alimenti e degli indumenti personali, sosteneva l’amante. Ciò è stato dichiarato da una figlia della morta che per molte volte ebbe a portare al Costanzo, e in casa di questi, nonché al caffè Meora dove egli lavorava, cibarie ed altro, come grembiuli bianchi di cui si servono i camerieri.
Che Peppino sia un tipo losco lo dimostrano sia la sua deposizione, che quella di sua moglie:
Ella stessa mi propose di congiungerci conducendomi in una casa in Panebianco, di una donna sua conoscente, che veniva pagata da me con lire 5 ogni volta…Io andavo a casa sua come amico e non mi sono mai congiunto con lei in casa sua… mi aveva fatto perdere la testa e tradire mia moglie… mi ha ridotto come uno straccio, tanto da non curarmi più di mia moglie, che pure ho voluto e voglio bene. La Valloncelli una volta mi confidò che aveva avuto relazioni con un certo Francesco, negoziante di Cosenza
– A proposito di congiunzione carnale, dall’autopsia è risultato che la signora ebbe dei rapporti contro natura, ne sapete qualcosa? – insinua il Magistrato che lo interroga.
Non ho mai avuto con la Valloncelli relazioni carnali contro natura. Forse ella tali relazioni le ha avute con altri perché mi consta, per averlo appreso da ella stessa, che con altri aveva avuto relazioni prima di me… non so se aveva relazioni con altri anche durante la nostra relazione
E, per rafforzare le sue parole, consegna alcune lettere e biglietti che, in realtà, lasciano trasparire l’esatto contrario. Per esempio:  Bada e guarda bene a quel che dici, che io non ho mai desiderato un altro durante il tuo amore, non ho che pensare solo a te, a te solo, vita mia, invece mi tradisci con altre donne”; “Tutto credevo, meno che tu sia tanto traditore, ma non fa niente, mettiamo tutte in nota le tue crudeltà. Pensa che fino ad oggi nessuno mi ha trattato come mi stai trattando tu… credi che sono lo straccio tuo, ma ogni cosa ha la fine. Ora puoi stare più tranquillo che fra non molto tu dimentichi il mio bene, ma stai pur contento che, ti giuro sul bene di mia madre e sul tuo bene, non voglio più conoscere altro uomo all’infuori di mio marito, è bastato il tuo soffrire che mi stai fando passare, non ne posso più”; “Ormai abbiamo il grasso in gola, perciò veniamo e ce ne andiamo senza che ne guardiamo dentro la faccia, e poi con quella freddezza di cazzo. Per ora non ne parleremo, domani poi dico guardami sta fungia, come sole dire la tua bocca”; “Spero che non vieni all’ora dei nobili come ieri sera, che poi me ne vado di testa”.
La moglie di Peppino rincara la dose:
Mi accorsi che la Valloncelli usciva spesso da casa sua lasciando me a guardare i suoi bambini e poi tornava dopo un certo tempo con un pannolino avvolto in un giornale. Una volta le chiesi che cosa le servisse quel pannolino ed ella mi confidò che quando usciva andava in una certa casa a Panebianco dove aveva dei convegni con qualcheduno e che così si procurava 30 o 40 o 50 lire la volta. Lei stessa mi disse che aveva avuto relazioni con un certo Luigi, con un ingegnere, con un certo Francesco e con altri che ora non ricordo. Io la rimproveravo dicendole che se si fosse accorto il marito l’avrebbe sparata, ella mi rispondeva che il marito non si accorgeva di nulla, pur confessandomi che una volta le aveva sparato due colpi di rivoltella senza colpirla perché aveva saputo delle sue relazioni con il Luigi. Non sospettai mai che avesse relazioni con mio marito
Ma i Carabinieri accertano che sono tutte menzogne e scrivono: tutto fa ritenere che le deposizioni dei coniugi Costanzo sono state architettate al solo scopo di garantirsi in caso l’Imbrogno dovesse decidersi a dare querela di adulterio e violazione di domicilio. Ciò che è certo, secondo tutte le testimonianze raccolte, è che Orsola, prima di conoscere Peppino Costanzo, era da tutti stimata come madre di famiglia e come moglie.
Salvatore Imbrogno si costituisce e racconta, tra le lacrime, come sono andati i fatti. Come difensore nomina un pezzo da novanta: Pietro Mancini, il quale deposita agli atti una lunga memoria difensiva stampata in opuscolo e poi integrata con altre pagine scritte a macchina per sostenere, davanti al Giudice Istruttore, la tesi dell’incapacità temporanea di intendere e volere, quindi la non punibilità del suo assistito: Se Imbrogno – Signor Giudice – avesse avuto la coscienza e la volontà della sua azione, il cuore gli avrebbe mostrato le testine dei suoi figlioletti che gli avrebbero fatto cadere l’arma dal pugno con la pietà ineffabile del loro ricordo! Imbrogno Salvatore non può essere dichiarato punibile se il culto dell’onore ha ancora dei fascini ineffabili per l’animo umano. Non può essere dichiarato punibile perché non ebbe la coscienza e la volontà dei suoi atti.
Il Giudice Istruttore, da parte sua, non accoglie né la tesi originaria di omicidio per causa d’onore, sostenuta dal Pubblico Ministero, né quella della difesa. Sceglie una terza via, quella di modificare il titolo del reato in lesioni personali per causa d’onore seguite da morte (art. 587 C.P.) e concede all’imputato il beneficio della libertà provvisoria. È il 29 maggio 1936, nemmeno un mese e mezzo dopo la morte di Orsola. Un ottimo trucchetto per limitare al massimo i danni a Salvatore, anche oltre la pena prevista per la causa d’onore, soprattutto in considerazione del fatto che Orsola è morta istantaneamente colpita a bruciapelo al cuore. Più volontà omicida di questa!
Il dibattimento, dopo due rinvii, si tiene nell’unica udienza dell’8 marzo 1937 davanti al Tribunale Penale di Cosenza e si conclude con la condanna di Salvatore Imbrogno a 2 anni e 20 giorni di reclusione, dichiarando condonati 2 anni della pena. Resterebbero 20 giorni, ma sono meno del mese e mezzo che ha già scontato preventivamente e se ne torna a casa, praticamente assolto.[1]
Ah! L’onore!

 

[1] ASCS, Processi Penali.

 

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