DI SOLITO ERA UN BUON MARITO

Paola, 8 novembre 1938, ore 22,00. Una donna esce correndo dalla sua casa in Vicolo Unità d’Italia; la insegue un uomo con un rasoio in mano che la raggiunge, l’afferra per i capelli e le vibra una rasoiata alla nuca che arriva fino alle vertebre. Nonostante ciò la donna riesce a divincolarsi e a scappare verso casa, lasciando dietro di sé una scia di sangue. L’uomo la raggiunge di nuovo e di nuovo l’afferra per i capelli. Questa volta le rasoiate sono due, al lato sinistro della gola, e non lasciano scampo perché la lama recide la carotide, la giugulare e la trachea. Praticamente decapitata, riesce a guardarlo negli occhi, poi si prende la testa tra le mani, quasi a volerla tenere attaccata al corpo, e cade a terra rantolando.
In questo frattempo una donna, uscita di casa dopo aver sentito il trambusto, ha assistito a tutta la scena e ha cominciato a urlare in modo straziante per chiedere aiuto.
A qualche decina di metri dal luogo dove si è consumata la tragedia c’è la Piazza Luigi Razza, piena di gente. Tutti sentono le grida, ma nessuno si preoccupa di intervenire. Solo il ventunenne soldato Rinaldo Colombo si muove
Militare, non andare perché è un pazzo! – gli dice qualcuno per dissuaderlo, ma Colombo continua a correre lungo la salita Giardini per raggiungere il posto da cui provengono le grida. Allora qualcun altro, controvoglia, comincia a seguirlo
Alla fine della salita, Colombo vede l’uomo completamente coperto di sangue e col rasoio ancora in mano. Ha un attimo di esitazione, si ferma. Se quell’uomo è davvero un pazzo potrebbe aggredirlo. Ma l’uomo, con voce calma, gli dice
Militare, non avere paura, avvicinati, ho ammazzato mia moglie per ragioni d’onore. Le ho salvato l’onore sposandola e lei mi ha tradito! – così dicendo, butta il rasoio nel giardino della casa al suo fianco e, preso per le braccia il soldato, lo porta a vedere sua moglie che ancora non è morta. Anche la donna che gridava al soccorso è sul posto. È sua madre, l’uomo l’abbraccia, la bacia e la fa rientrare in casa, poi ritorna accanto alla moglie.
Intanto è sopraggiunta molta gente e allora l’uomo, quasi come se stesse facendo un comizio, l’arringa
Paolani, siete tutti vigliacchi! Io sono di Fiumefreddo e ci tengo all’onore, per questo ho ammazzato mia moglie!
Sul posto è arrivato anche il centurione della milizia fascista Clemente Nucci. L’uomo lo vede e si rivolge anche a lui, in una specie di delirio
Don Clemente, ho ammazzato mia moglie perché mi ha disonorato con quello che ci ha fatto una figlia!
– Vieni, ti accompagno dai Carabinieri – gli dice Nucci
– No! I Carabinieri devono venire qui a vedere come l’ho ammazzata!
– Si, andiamo a chiamarli e poi torniamo insieme al Maresciallo – cerca di convincerlo e, incredibilmente, l’uomo ubbidisce, seguendolo come un agnellino. Intanto la donna muore dissanguata.
L’uomo è il trentunenne bracciante Giuseppe Falsia da Fiumefreddo Bruzio, tresferitosi a Paola dopo aver sposato la venticinquenne Concetta Pellegrino. Le indagini partono immediatamente per capire se si tratti davvero di un omicidio per causa d’onore.
Circa quattro anni fa mia figlia, dopo che per tre anni era stata l’amante di Francesco Sbano, con il quale aveva
procreato una bambina, fu presa in moglie da Giuseppe Falsia, col quale prima andava d’accordo
– racconta il padre della vittima, Natale Pellegrino –. Senonché Giuseppe, che è un vagabondo poco amante del lavoro, pretendeva che la moglie lo sostenesse, tanto che la mia povera figlia era costretta a fare la serva. Giuseppe non era mai soddisfatto dei sacrifizi della moglie e continuamente la maltrattava, tanto che in questi ultimi tre mesi, per ben tre volte, mia figlia, per sottrarsi ai maltrattamenti ed alle minacce del marito, si rifugiò in casa mia, donde una volta venne a prenderla il marito ed altre due volte andò via di propria iniziativa. Nonostante tutto Concetta non volle mai abbandonarlo e si sforzava di soddisfare le sue pretese, fino al punto di sostenere la famiglia di lui. Ciò però non bastava a far mutare atteggiamento a Giuseppe
– Si dice che vostra figlia lo tradisse…
Non ho avuto motivo di sospettare che mia figlia tradisse la fede coniugale, né mai Giuseppe si è lamentato con me in proposito
Maria Rosaria Siciliano, la madre di Concetta, aggiunge un particolare importante:
Io non avrei voluto il matrimonio di mia figlia con Giuseppe perché è un ozioso che la sfruttava. Quando venne a fare la proposta di matrimonio nemmeno Concetta era d’accordo ma lui, dimostrandosi pazzamente innamorato di mia figlia, minacciò che se non fosse stata sua moglie l’avrebbe uccisa. Allora fummo indotti a concludere il matrimonio
Si, va bene, ma sono le parole dei genitori di Concetta. Ci vuole dell’altro.
Da due anni a questa parte avevo come persona di servizio la povera Concetta – racconta la gentildonna Anna
Spadaro vedova Cardamone – la quale veniva in casa mia la mattina verso le ore sette e vi si tratteneva per accudire ai servizi fino al tardo pomeriggio di ogni giorno. Durante questo periodo frequentemente Concetta mi confidava che era vittima dei maltrattamenti del marito il quale, specie nei periodi in cui era disoccupato, pretendeva che lei lo sostenesse e spesso faceva scenate di gelosia, trascendendo a percosse e minacce. Diverse volte Concetta veniva a casa mia con i segni delle percosse avute e circa un mese addietro venne proprio malconcia e mi riferì che il marito, durante la notte, l’aveva violentemente percossa per motivi di gelosia. Io, impietosita, le suggerii di denunziare il fatto ai Carabinieri, ma Concetta, che era di animo buono e mite, mi rispose che non voleva nuocergli, tanto più perché di solito era anche egli un buon maritopoi sentii circolare la voce che non era fedele al marito e la rimproverai maternamente, raccomandandole di tenere buona condotta e di rispettare la famiglia ed il marito. Ella, piangendo, mi assicurò che si era sempre serbata onesta e che nulla aveva da rimproverarsi, specie dopo il matrimonio, contratto appunto per riabilitarsi
– Erano solo voci o voi siete a conoscenza diretta di qualcosa di strano sulla sua condotta morale?
Io mai ho avuto modo di constatare che Concetta tenesse una condotta irregolare… si comportava irreprensibilmente e lavorava indefessamente. Diversamente l’avrei senz’altro allontanata, specie perché ho delle figlie signorine. Piuttosto – aggiunge – più di una volta mi manifestò la sua preoccupazione per le minacce del marito che le diceva di volerla uccidere per gelosia. Io parlai col marito cercando di convincerlo a tranquillizzarsi sulla condotta della moglie ed a cambiare comportamento verso di lei, ricevendone la promessa che l’avrebbe fatto
Poi gli inquirenti chiedono spiegazioni a Giuseppe sulle violente percosse inflitte alla moglie un mese prima dell’omicidio
– Seppi che mia moglie frequentava la casa di certa Lucia Bosco ove aveva degli appuntamenti con gli amanti…
– Amanti? Più di uno?
– Si, seppi che s’incontravano con mia moglie tale Fiore Vigilante, un certo “figlio di Garibaldi” e dei militari. Spesso – continua – mentre nella mia casa dormivo con mia moglie ero molestato da colpi di pietra alla porta; in seguito a tali colpi mia moglie si alzava ed usciva di casa di notte, dicendomi che si recava assieme a Lucia Bosco alla raccolta dei fichi d’india. Io ho cercato di seguire mia moglie allo scopo di accertare ove si recasse, ma non mi riusciva perché io uscivo di casa dopo un certo intervallo di tempo. Il giorno 19 settembre, verso le ore 19,30, mia moglie mi disse che si sarebbe recata alla stazione per portare la valigia di un certo “Barese” e che poi avrebbe condotto a casa di
lui i suoi bambini rilevandoli dal maestro. Mia moglie uscì e per tutta la serata non rincasò. Dieci minuti dopo la mezzanotte io volli accertarmi ove si trovasse mia moglie mi recai in via Valitutti e mi nascosi nell’atrio di un palazzo. Di lì vidi mia moglie uscire dalla casa di Lucia Bosco e subito dopo vidi uscire il barbiere Salvatore Guida. Costui stava per seguire mia moglie ma quando si accorse della mia presenza si voltò e si diresse verso il ponte all’estremo dell’abitato. Io cercai di raggiungerlo affrettando il passo, Principe mi chiamò e mi domandò perché corressi; io mi disimpegnai e raggiunsi Guida ma non gli dissi nulla per non far una scenata in strada, tanto più che in quel momento passava un Capitano dell’Esercito con una signora. A casa rimproverai mia moglie, la percossi, la minacciai e costei mi confessò che era stata in casa di Lucia Bosco ove aveva gozzovigliato con Vigilante, con Guida, con Garibaldi e con militari. Alle mie insistenze minacciose confessò pure di essersi prostituita. In seguito per ben altre due o tre volte è scappata di casa e ha pernottato fuori… continuamente i miei amici mi dicevano che mia moglie si prostituiva per cui poteva spendere denari e che io stesso potevo divertirmi con i denari che mia moglie guadagnava con la prostituzione
Poi il Magistrato gli chiede che cosa è veramente accaduto la sera in cui ha ammazzato sua moglie
– Quella sera, dopo essere stato al cinema…
– Al cinema’ e con quali soldi, visto che siete disoccupato? Allora è vero che sfruttavate vostra moglie!
– Signor Giudice… dieci anni fa sono stato ricoverato al manicomio…
Si, in effetti il racconto fatto da Giuseppe è piuttosto farneticante, forse sarebbe meglio sottoporlo a perizia psichiatrica. In attesa di espletare le pratiche necessarie, gli inquirenti convocano le persone nominate da Giuseppe
Concetta di tanto in tanto acquistava da me un po’ di frutta – dice Lucia Bosco – ed è falso che avesse appuntamenti in casa mia perché sono una donna onorata e ho in casa tre figli di cui due femmine ancora giovanissime!
– Il marito è sicuro di averla vista uscire da casa vostra la notte del 19 settembre e dopo di lei uscire il barbiere Guida…
La sera del 19 settembre in casa mia non venne alcun estraneo ed in specie il barbiere Guida il quale è sposato e ha un figlio
Conoscevo Concetta Pellegrino perché era cliente del mio salone ove veniva per il taglio dei capelli propri e della figlia. Senonché, dato che manteneva un contegno poco corretto, onde evitare che mia moglie potesse sospettare di me e quindi turbare la pace familiare, le proibii di tornare nel mio salone. Da allora non l’ho mai più veduta – giura il barbiere Guida
Il 30 dicembre 1938 viene affidato al dottor Ernesto Santanelli della Regia Università di Napoli l’incarico di sottoporre Giuseppe Falsia a perizia psichiatrica nel manicomio giudiziario di Aversa.
Dal punto di vista psichico, bisogna ricordare che il Falsia, sin dall’infanzia, ha presentato un difetto tale da ridurre tutta la sua carriera scolastica alla sola prima elementare, frequentata per vari anni successivi, senza imparare a leggere o a scrivere neppure le vocali! – attacca subito il perito –. Da segnalare infine vi sono altri due fatti di non trascurabile valore ai fini diagnostici: il primo riguarda i vari mestieri tentati dal Falsia (calzolaio, muratore, cameriere, pasticciere ecc.) senza brillare o durare in alcuno di essi, tranne che in quello del vagabondo disoccupato! Il secondo riguarda la sua determinazione a sposarsi una donna che già da qualche tempo gli aveva concessi i suoi favori e che egli già conosceva anche attraverso la pubblica voce per donna di guasti costumi.
Nella psiche di Giuseppe Falsia è presente uno stato delirante sistematizzato sul tema della infedeltà della moglie, dotato di una carica emotiva permanente e progressiva, capace da sé sola di annullare la capacità d’intendere e di volere, per l’impegno totale della coscienza da parte sua, onde a lungo andare doveva fatalmente esplodere in un episodio delittuoso, che l’eventuale comportamento della moglie avrà solo anticipato, ma non certo determinato, al punto da dover essere considerata quale causa sufficiente ed esclusiva.
Per questi motivi, conclude il perito,  Giuseppe Falsia è affetto da una sindrome deficitaria con delirio di gelosia. Per tale infermità, al momento in cui ha commesso il delitto di cui è imputato, il Falsia era in tale stato di mente da escludere completamente la sua capacità di intendere e volere. Lo stesso deve essere considerato persona socialmente pericolosa. È il 27 febbraio 1939 e la sorte del processo è segnata.
Il Giudice Istruttore non può che prendere atto della perizia e dichiarare non doversi procedere contro l’imputato perché non imputabile perché era nel momento in cui ha commesso il fatto in tale stato di mente da escludere la capacità d’intendere e di volere. Nello stesso tempo, però ordina il ricovero del detto imputato in un manicomio giudiziario per un tempo non inferiore a cinque anni. È  il 3 aprile 1939.[1]


[1] ASCS, Processi Penali.

 

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