LO SCALPELLO DI CARNE

Il cielo è terso ma fa freddo la mattina del 19 novembre 1895. Una vecchia vestita di nero, un mucchietto di ossa ricoperto da un velo di pelle incartapecorita, sostenendosi con un bastone fatica a salire i pochi gradini che la separano dalla porta della caserma dei Carabinieri di Aprigliano, poi finalmente il portoncino arriva a tiro del suo bastone e picchia sul legno.
Il Maresciallo Vincenzo Vasco nota subito negli occhi della donna un dolore che la sta consumando più di quanto non abbia già fatto il tempo. L’aiuta a sedersi cercando di metterla a proprio agio, poi le chiede se vuole qualcosa di caldo.
Figlio, tengo novant’anni e mai pensavo di venire in una caserma… un poco d’acqua per l’anima dei morti… – il Maresciallo sorride amabilmente facendo segno al suo sottoposto di provvedere, mentre la vecchia tira fuori un fazzoletto lacero e se lo passa sugli occhi che stanno cominciando a riempirsi di lacrime.
– Ditemi, cosa posso fare per voi?
Sono una povera vecchia e mi presento a voi perché mi voglio confessare narrandovi un’atroce disgrazia sofferta da una mia nipote morta il 17 corrente, Carino Maria fu Leonardo d’anni 8 della frazione Guarno – le dita deformate delle sue mani tormentano il fazzoletto –. In un giorno del mese di ottobre 1894, mia nuora Previta Rosina di anni 30, essendosi recata al forno lasciò sola in casa detta ragazza col suo secondo marito Bonofiglio Vincenzo di anni 24 – il Maresciallo aggrotta la fronte e serra le mascelle –. Ne avvenne che costui, profittando dell’assenza della moglie, abusò con contatto carnale, deflorandola nell’ano. Andatosene indi fuori di casa il  Bonofiglio, la ragazza è uscita fuori per un atto corporale nelle vicinanze della casa e nell’atto andò del sangue. Una donna, Anna Brandi, mia vicina, avvedutasi di tanto per i lamenti della ragazza, mi chiamò facendomelo notare
– E la bambina vi ha detto… – fa, imbarazzato, il Maresciallo.
Piangendo ripeteva: “Nonna mia che ho patito!” raccontandomi tutto e aggiungendo che era stata costretta a viva forza da quel bruto. Ritornato, verso le ore 20, il mostro e non avendo trovato in casa la sua figliastra, sapendo che dormiva da me nella mia abitazione, venne a bussare replicatamente alla mia porta in modo che fui costretta a cederla. D’allora in poi la prese a vieppiù seviziare legandole i polsi e le mani dietro le reni, buttandola per terra e dandole dei calci. Quando io accorrevo alle grida della ragazza e la trovavo legata, lui giustificavasi col dire che se lo meritava e che la doveva imparare, minacciandomi di fare lo stesso a me se non me ne andava
– Per questo non siete venuta prima… E la madre sapeva?
La madre è consapevole del fatto ma non può parlare perché teme il marito e non voleva svergognare la figlia. Io, che sono con un piede nella fossa, avendo visto che dette sevizie hanno cagionato la morte della mia diletta nipote, la quale prima di morire ha confessato ogni cosa al sacerdote Ciacco Tommaso della frazione Corte, nostro parroco, e poi ripetuto il fatto a varie persone che si trovavano in casa, non ho voluto più tacere e mi sono recata a denunziare il fatto all’Arma
– E l’Arma ci penserà… Bianco – continua rivolgendosi al suo sottoposto – accompagnate la signora a casa.
La prima cosa che fa il Maresciallo è di andare a parlare col medico del paese, il dottore Antonio Bruto, per capire se le cause della morte della piccola Maria si possano attribuire alle sevizie che avrebbe subito e quindi incriminare Bonofiglio anche per omicidio.
La bambina aveva diarrea sanguinante, spurgo sanguigno dalla bocca e la curai per enterite e polmonite. Verso la fine di ottobre la bambina era guarita e non andai più a visitarla. La vidi per strada parecchie volte. Verso il 5 novembre fui nuovamente chiamato a curare la ragazza e riscontrai una polmonite al polmone destro con spurgo sanguigno dalla bocca. Mentre perdurava questa malattia incominciarono edemi delle palpebre, alla faccia e agli arti. E con questi sintomi di nefrite e polmonite l’infelice cessò di vivere nelle prime ore del 15… seppi che aveva avuto dei maltrattamenti consistenti nell’essere gittata per terra dal padrigno e dippiù che tempo dietro il medesimo le aveva intromesso uno “scarpo” (cosa dura) nell’ano
Poi va a parlare col parroco.
Ho inteso dalla denunziante tutto ciò. Giorni innanzi l’avvenuta morte della bambina, la zia Carino Maria mi ha parlato dell’avvenuto stupro… quello che ha detto la bambina lo ha detto in confessione, quindi…
Il verbale del Maresciallo arriva sul tavolo del Pretore di Cosenza il quale non perde tempo, poiché si hanno fondati motivi di sospettare che Vincenzo Bonofiglio sia per darsi alla fuga, ed emette un mandato di cattura nei confronti dell’uomo con l’accusa di congiunzione carnale in persona di minore degli anni 12, con l’aggravante dell’abuso delle relazioni domestiche. I Carabinieri lo arrestano il giorno dopo davanti al Municipio di Aprigliano e lo portano nel carcere cittadino, dove il Pretore lo interroga:
La ragazza, essendo alquanto vispa, si univa spesso per trastullo coi suoi coetanei ed io, per correggerla, non nego di averle somministrato qualche schiaffo. Ciò praticavo esclusivamente per educare la fanciulla e non mica per maltrattarla! – dice, quasi sdegnato.
– L’hai violentata?
Nego recisamente di avere abusato della ragazza nel novembre 1894 e posteriormente. Se ciò fosse stato, immediatamente mi avrebbe querelato mia moglie, contro la quale non usai mai minacce e se qualche volta anche a lei ho dato dei pugni, lo è stato per quelle tali quistioni che sorgono in famiglia.
– La nonna vi ha querelato e la zia ha confermato tutto…
La nonna e la zia hanno mentito per vendicarsi contro di me perché non volli loro pagare i fitti di sua casa
– Risulta anche che avete pesantemente maltrattato la bambina quando era malata…
Ultimamente, non nego, quando la Carino trovavasi ammalata, cercai di percuoterla perché mi venne riferito che lei aveva manifestato di averla violentata.
Un bel tipo davvero!
Il Pubblico Ministero ritiene sufficienti gli indizi a carico dell’uomo, ma vuole di più e oltre a chiederne la conferma dell’arresto, chiede che sia riesumata la salma della bambina per gli accertamenti autoptici, nonostante siano passati 11 giorni dal decesso. Potrebbe essere solo un inutile tentativo. Il giorno stesso, 26 novembre, la camera di Consiglio accoglie le richieste del Pubblico Ministero e ordina al Sindaco di Aprigliano di riesumare la salma.
Alle 10,00 in punto del 28 novembre, 13 giorni dopo la morte, il Pretore ed il medico legale Vincenzo Scola assistono alle operazioni di dissotterramento della cassa di legno interrata presso il muro di fronte alla porta della sala anatomica. A segnare la sepoltura, in mancanza di croce, è un pezzo di canna tinto in nero.
Con le dovute cautele si è fatto sollevare la terra da quel sito ed alla profondità di circa un metro è apparsa una cassa mortuaria di legno, chiusa, o meglio inchiodata, ermeticamente. Riportata alla superficie la cassa vi si sono versati sopra disinfettanti per mascherare il debole fetore che dalla stessa si sprigiona. Con tutta precauzione, quindi, la cassa è stata trasportata nella sala anatomica. Quivi si è scoperchiata e nell’interno si osserva il cadavere di una fanciulla che pare dormire; vestita completamente, con una corona di fiori artificiali alla testa.
I presenti sono sorpresi: quantunque il decesso fosse avvenuto da più giorni, pur non di meno lo stato del cadavere è in ottima condizione, la putrefazione appena si può dire incipiente e non lascia avvertire che un leggiero fetore, onde si sono potute agevolmente eseguire le necessarie osservazioni. Nessun liquido è fuoriuscito o fuoriesce dalla bocca, dalle narici o dalle altre aperture. Il colore del corpo in generale è pallido, verdastro in qualche punto dell’addome, con larga zona rosso-bluastra sul collo, spalle e parti superiori del torace. Le palpebre sono interamente chiuse, la bocca è lievemente aperta, al pari delle arcate dentarie, la lingua sta dietro i denti. Petto alquanto pieno, ventre turgido. Sul corpo non esistono segni speciali o lesioni violenti.
L’esame delle pudendi è negativo giacché l’imene è intatto e normale è lo stato della vulva e della vagina.
L’esame, invece, delle parti deretane lascia riscontrare un gruppo di fatti tutti riferibili alla sodomia e più precisamente della sodomia abituale. Infatti l’orifizio anale si mostra enormemente dilatato a forma di imbuto, si trovano scomparse del tutto le rughe cutanee attorno ad esse, la mucosa anale si mostra protuberante, ipertrofica. Evidentemente tutte queste alterazioni non possono essere state prodotte da altro che da un membro virile il quale ha agito sull’ano per più tempo.
È la testimonianza che Maria fa contro il suo aguzzino.
Sulle cause della morte, però, la nonna ha torto. Si è trattato di una pulmonite fibrinosa che ha attaccato il lobo medio ed inferiore del pulmone destro.
Poi il cadaverino viene ricomposto, rimesso nella cassa e interrato.
Nel corso della malattia e proprio verso i principi dello spirante mese, ero accanto al letto di mia figlia con altre donne del vicinato e mia cognata – racconta Rosa Prete –. Costei disse alla fanciulla di ripetere quanto aveva manifestato in precedenza e la ragazza, che trovavasi in fin di vita, manifestò che mio marito l’aveva messa bocconi e le aveva intromesso un “scarpo di carne” nell’ano. A tale abbominevole rivelazione, io che ero ignara di tutto, invitai mia figlia a dichiarare perché non mi avesse confidato l’ignominia subita ed ella si giustificò giacché minacciata dal Bonofiglio. In quella sera, ritornato costui a casa, invasa dal dolore e dall’ira lo rimproverai acerbamente, gli dissi che invece di difendere l’infelice mia figliuola aveva su di lei commesso tante turpitudini. Egli impallidì, cercò di negare, ma quando la fanciulla gli esternò in faccia il fatto, ebbe la spudoratezza di dichiarare che mia figlia lo aveva indotto alla congiunzione carnale. Lo minacciai che se mia figlia fosse morta gli avrei fatto piangere il maleficio ed egli, allora, si è mostrato premuroso che la ragazza guarisse. È vero che il Bonofiglio qualche volta ha bastonato mia figlia, ma ciò faceva sempre quando io ero assente e dava quelle busse per correggere la bambina. Nell’animo mio ora due passioni sono in tempesta: vorrei che l’onore di mia figlia fosse vendicato e, d’altra parte, non mi fa l’animo di querelare il Bonofiglio perché è mio marito e non solo… lo temo
Senza parole.
Ma alla fine, il 1 dicembre 1895, si decide a sporgere querela aggiungendo:
Non per correzione, come dissi, il Bonofiglio batteva e seviziava la mia figliuoletta, ma per istinto di brutale malvagità. E di vero spesso in mia presenza e senza alcun motivo la percuoteva e bistrattava ed io, sol perché cercavo rimproverarlo, ne riportavo la peggio, costretta a non poter parlare perché egli mi minacciava di vita ed io ho dovuto sopportare tutti i maltrattamenti possibili e menare finora una vita infelice, in mezzo a palpiti e timori. Dopo la morte della mia povera figlia egli, come se non bastasse, ebbe l’audacia di dirmi: “Da qui ad altri 15 giorni andrai a raggiungerla!”
Per Vincenzo Bonofiglio sono guai davvero grossi.
Ma poi deve accadere qualcosa perché il 5 gennaio 1896 Rosa si presenta spontaneamente davanti al Pretore  e ritira la querela contro suo marito per quanto riguarda i maltrattamenti subiti da lei.
Nel frattempo nasce il fondato sospetto che i maltrattamenti e le violenze inflitti da Vincenzo alla piccola Maria avevano anche in mira l’interesse pecuniario onde poter colla di lei morte ereditare e disporre d’una somma di lire settemila appartenente alla vittima. Non c’è più tempo da perdere. Il 28 febbraio 1806 la Sezione d’Accusa lo rinvia al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per i reati di violenta congiunzione carnale contro natura in persona della propria figliastra Maria Carino, minore degli anni dodici, commesso con abuso d’autorità e di fiducia derivante da relazioni domestiche e di maltrattamenti contro la stessa fanciulla.
Il dibattimento è fissato per il 15 aprile successivo ma viene spostato al 6 luglio 1896 per una lieve indisposizione dell’imputato. E deve accadere qualche altra cosa perché il 15 stesso si presenta davanti al Giudice Istruttore Carmina Naccarato, l’anziana nonna di Maria, che rimette la querela per violenza carnale ai danni della piccola, accollandosi anche le spese. Ma non è finita qui. Cinque giorni dopo si presenta anche Rosa Prete e anche lei rimette la querela contro Vincenzo Bonofiglio per quanto riguarda la violenza carnale.
Quando il dibattimento comincia, la Corte prende atto delle remissioni di querela e osserva: che essendo poi non già vivente la menzionata fanciulla Carino, sibbene dopo la morte della stessa, esposto querela le suindicate Naccarato e Prete, certamente in nome proprio, non già per parte della sudetta fanciulla che più non era, perciò la remissione da esse fatta non può cagionare giuridico effetto, riferendosi all’interesse delle medesime. Per tal motivo siffatte remissioni debbono dichiararsi valide ed operative e decreta il non luogo a procedere per il reato di violenza carnale. Si procederà solo per quello meno grave di maltrattamenti. Vincenzo Bonofiglio può tirare un grosso respiro di sollievo.
Nello stesso giorno viene emessa anche la sentenza di colpevolezza con la relativa condanna alla reclusione per 4 anni e 2 mesi e alla vigilanza speciale per 2 anni, oltre ai danni e alle spese.
Il 16 ottobre 1896 la Suprema Corte di Cassazione respinge il ricorso di Bonofiglio.
Il 16 dicembre successivo, in applicazione dell’Amnistia promulgata il 24 ottobre dello stesso anno, la pena verrà diminuita di 3 mesi.[1]
Cosa abbia convinto Carmina Naccarato e Rosa Prete a rimettere le querele resta un orribile mistero.

Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

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[1] ASCS, Processi Penali.

 

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