SESSO, ONORE E BUGIE

L’appezzamento di terra, boscoso di arboscelli, è in pendio. Sopra un sentiero che lo interseca giace il cadavere di un uomo dall’apparente età di una settantina di anni, perfettamente in posizione supina, con i piedi distesi nella parte superiore del sentiero e la testa sul ciglio inferiore. Sotto la testa un cappello di feltro nero che sull’orecchio destro posa completamente, mentre rimane distante dal parietale sinistro per circa otto centimetri; il braccio sinistro, che poggia sulla terra, è disteso e quasi a portata della mano c’è un fazzoletto bianco rigato di nero; il braccio destro, piegato, poggia sul petto. Il lembo destro della giacca è aperto e su di esso c’è un coltello a piegatoio con manico d’osso bianco aperto in parte.
Alla sinistra della testa si intravede una foglia intrisa di sangue e un’altra foglia sporca di sangue pende dal cappello della vittima. Ad una ventina di centimetri dalla mano sinistra c’è una scure intrisa abbondantemente di sangue sul taglio, dorso e specialmente sul manico nella parte più vicina al ferro.
Disteso nella parte superiore del torace e sul collo, in modo da covrire la regione del mento, c’è un sacco intriso di sangue nel suo lembo destro. Una chiazza di sangue sulla gamba sinistra del calzone, una lettera proveniente da Buenos Aires e un buono di 56 lire sulla regione inguinale; altri due pezzi di carta più in basso e poco distante dal corpo tre pezzi di legno.
Gli abiti della vittima sono asciutti e puliti e sulla parte destra del cappello della vittima c’è un taglio di forma triangolare; sulla parte alta della fronte del cadavere, che presenta completa rigidità, ci sono tre ferite: due, di forma quasi triangolare, lasciano scorgere l’osso sottostante fratturato; la terza ferita, più superficiale, è lineare ed è coperta di sangue secco. Tutta la regione dell’occhio destro, coperta di sangue rappreso, ha fatto quasi perdere i rapporti anatomici della regione. Nella regione della palpebra si scorge a stento un’altra ferita e un’altra ancora, di forma triangolare, sullo zigomo sinistro. La metà del labbro sinistro è completamente asportata, come sembrano asportati due denti, un incisivo e un premolare.
– La morte è avvenuta tra le 24 e le 48 ore fa e la causa è evidentissima… – afferma il dottor Ernesto Sarpi al Pretore di San Marco Argentano, Francesco Rodi. È il 21 febbraio 1898 e i due, che hanno trovato sul posto il Maresciallo Pietro Sica, si trovano in contrada Sant’Onofrio di San Marco Argentano.
– Si sa chi è la vittima? – chiede il Pretore al Maresciallo.
– Santostefano Antonio d’ignoti, d’anni 71, contadino.
– Chi l’ha trovato?
– Ieri i due figli Salvatore e Giuseppe hanno notato che la casetta rurale del Santopaolo era chiusa da un paio di giorni e sospettando qualche disgrazia si sono messi a cercarlo ma non lo hanno trovato e così, pensando che fosse in casa vi penetrarono dal tetto, ma nemmeno colà egli stava. Stamattina, insieme ad altri terrazzani, hanno ripreso le ricerche, ma senza esito. Verso le 8,00 si avviarono alla volta del paese onde avvisarne le autorità. Fatti però circa 500 metri furono chiamati da Zecca Biagio il quale gli disse che, camminando per la macchia limitrofa a quella del Santopaolo andandolo in cerca, ne aveva scorto il cadavere e così, mentre il Giuseppe si recò presso il sito indicato, il Salvatore si portò nella nostra caserma ad avvertirci che dopo tre giorni di assenza dalla casa, il padre era stato rinvenuto morto.
– Non ha detto che l’avevano trovato in queste condizioni?
– I fratelli dicono che lo Zecca quando li avvisò non disse che era morto ammazzato e quindi Salvatore, che non vide il cadavere del padre, non poteva sapere che era stato ammazzato.
– Ci sono sospetti su qualcuno?
– Al momento no, anche se venendo sul posto, qualcuno, a mezze parole, dice che potrebbero essere benissimo stati i figli… pare che il vecchio li trattasse con indifferenza.
Il Maresciallo Sica, indagando, viene a sapere che Santostefano avrebbe fatto testamento destinando tutta la parte disponibile a favore di un altro suo figlio, Luigi, che è emigrato in America. Ma il fatto è vecchio di una decina di anni e non può essere certamente causa di un risentimento tanto forte da parte degli altri due eredi da spingerli a commettere parricidio. Pare anche che tra padre e figli ci fosse stato qualche altro screzio per discordanza d’interessi, ma si dice che tutto era già stato appianato. Forse, e questa potrebbe essere una buona pista, il vecchio Santostefano potrebbe avere avuto qualche diverbio con i foresi della famiglia Nudi che pascolano nel terreno dove è stato trovato morto, attiguo alla sua proprietà.
Quattro giorni dopo, il 25 febbraio, al Maresciallo Sica arriva una soffiata che sembra davvero interessante: il giorno in cui Antonio Santostefano fu visto per l’ultima volta, il 19 febbraio, nelle vicinanze del luogo dove poi fu ritrovato ammazzato lavoravano tali Giuseppe Tuoto, suo figlio Michele e Liborio Romano Esposito, futuro sposo  di una figliastra di Giuseppe Tuoto a nome Rosina Rossini d’anni 18, deflorata tempo fa dal defunto Santostefano. Questo si che può essere un movente buono per uccidere!
Sica accerta che i tre, il 19 febbraio, stavano lavorando a circa 500 metri dal luogo del delitto e sebbene tra i due punti non vi sia una strada che li colleghi, si può facilmente percorrere tale tragitto attraversando seminato ed un poco di bosco. Il problema, però, è che dal sopralluogo effettuato non sono state ritrovate lungo questo ipotetico percorso impronte di piede umano, ma i sospetti aumentano ugualmente quando Sica fa delle prove per verificare se i tre avrebbero potuto sentire Santopaolo che, aggredito, forse gridò, ammesso che non siano stati proprio loro ad ammazzarlo. Si, lo avrebbero certamente sentito, come hanno per forza sentito, e questa circostanza rafforza i sospetti, i colpi di scure con i quali Santostefano stava tagliando alcuni quercioli perché da un punto all’altro vi è una vallata che fa eco.
– Quella mattina lo vidi lavorare fino alle 10,00 – attacca Giuseppe Tuoto –. Poi io, Liborio Romano e mio figlio ci recammo, assai prima dell’ora del morsello, a zappare in un sito distante approssimativamente un’ora dal luogo ove fu trovato il cadavere di Santostefano, ma poiché noi lavoravamo in un avvallamento di terreno, non potemmo vedere il sito dove avvenne l’omicidio.
– Avete sentito i colpi di scure o avete sentito gridare …
In tutta quella giornata non sentimmo né tagliare della legna, né altro rumore
– In che rapporti eravate col Santostefano?
Tra lui e la mia famiglia correvano cordiali rapporti.
Adesso è il turno del quindicenne Michele Tuoto:
– Quel giorno io e mio padre andammo a zappare in un terreno in quelle vicinanze…
– Aspetta, aspetta… tu e tuo padre? E Liborio Romano?
Liborio con mia sorella e mia madre trasportavano delle canne per conto di Giacomo Salerno. Da noi venne verso l’ora del morsello.
– Sei sicuro?
Lo affermo con sicurezza perché noi lavoravamo in un sito a vista della strada rotabile ove tutti i giorni verso le 10 passa la messaggera postale che va dalla stazione di San Marco a Fagnano ed in quel giorno, quando Liborio Romano venne al lavoro, la messaggera non era passata, mentre io la vidi passare molto dopo.
– Ma avete fatto colazione insieme a Liborio?
Io e mio padre abbiamo fatto colazione quando ancora Liborio non era arrivato
– Qualcuno di voi è andato via prima degli altri?
– Nessuno di noi tre si mosse dal lavoro e solo sull’imbrunire, assieme, ce ne siamo ritirati in casa, mangiammo ed andammo a letto.
– E avete lavorato sempre nell’avvallamento? – incalza il Maresciallo.
Lavorammo sempre dentro il fosso.
– Quindi non avete visto o sentito niente…
Quello è un sito dove non potea vedersi il luogo dell’omicidio, distante da noi circa un quarto d’oranon sentimmo né tagliare, né altro rumore
 Le contraddizioni tra padre e figlio rendono ancora più sospettoso il Maresciallo Sica, che adesso interroga Liborio Romano:
– Quella mattina, all’alzata del sole, io, mia suocera, la mia fidanzata e la moglie di Giacomo Salerno facemmo due viaggi di canne e facendo il tragitto siamo passati quattro volte innanzi alla casa del Santostefano e tutte le quattro volte io vidi che il Santostefano vi si trovava dentro. Finito il trasporto delle canne, verso l’ora del morsello io, mia suocera e la mia fidanzata siamo tornati nella nostra casetta colonica ove trovammo mio suocero e mio cognato. Mangiammo tutti un pezzo di pane e dopo una mezz’ora io e i due Tuoto scendemmo insieme a zappare in un sito distante appena un quarto d’ora da dove fu trovato il cadavere
Qui gatta ci cova. A parte le gravi contraddizioni nelle loro dichiarazioni, i sospetti aumentano ancora quando due testimoni affermano di aver visto i tre uomini, alle 15,30 del 19 febbraio, lavorare fuori dal fosso e quindi non è vero che non potevano vedere o sentire nulla. Poi i figli di Santostefano denunciano la scomparsa di una delle due chiavi della casetta colonica del padre e che per quante ricerche abbiano fatto non sono riusciti a trovare e non riescono nemmeno a trovare una piccola scatola di latta di forma schiacciata che il defunto era solito tenersi addosso con le ricevute delle somme che dava in prestito e del denaro.
Onore e soldi, una combinazione micidiale!
I Carabinieri perquisiscono minutamente la casa dei Tuoto, ma infruttuosamente. Poi si viene a sapere che quando fu trovato il cadavere di Antonio Santostefano, gli unici a non accorrere sul posto furono Michele Tuoto e Liborio Romano, seppure si trovassero lì vicino. Si viene a sapere anche che uno o due giorni prima dell’omicidio, Santostefano ingiuriò la moglie di Giuseppe Tuoto e queste due circostanze potrebbero destare altri sospetti. E così è, infatti il Pretore ordina l’arresto di Liborio Romano per i fondati sospetti che il medesimo si possa dare alla fuga. Ma Liborio non ci sta e accusa:
Gli autori dell’omicidio sono stati probabilmente i Tuoto con i quali il Santostefano non poteva non essere in rancore giacché era voce generale che esso Santostefano continuasse a mantenere relazioni adulterine con mia suocera. I detti Tuoto ànno potuto benissimo compiere l’omicidio nel tempo che io in quella mattinata impiegai a trasportare canne
– Contraddici te stesso se affermi questo – gli contesta il Pretore – perché tu stesso hai affermato di aver visto per ben quattro volte Il Santostefano in casa sua mentre trasportavi le canne…
Si, effettivamente vidi il Santostefano
Ma non per questo maldestro tentativo di addossare la responsabilità ai Tuoto, gli stessi restano fuori dai sospetti, anzi!
Intanto il Maresciallo Sica scava nel passato e scopre dei retroscena relativi allo stupro commesso da Santostefano, dieci anni prima, ai danni di Rosina Rossini che allora aveva appena nove anni. Per evitare guai, Antonio Santostefano promise che avrebbe corrisposto all’individuo il quale sposava la Rosina, £ 200. Infatti, al principio dell’anno in corso, furono consegnate a Romano Liborio lire 160 in moneta, nonché fichi e cereali pel complessivo valore di £ 50. Il Romano, però, ritenendo che con ciò il Santostefano troppo poco aveva pagato l’onore della donna che doveva sposare, insistentemente gli chiedeva del vino ed altro, ma ebbe sempre in risposta che pel momento nulla doveva sperare, mentre avrebbe ottenuto tutto dopo sposato, a patto che della moglie se ne sarebbero serviti entrambi. Da qui le minacce di Liborio Romano ai danni di Santostefano.
I Tuoto, da parte loro, non possono restare in silenzio dopo essere stati accusati dell’orrendo omicidio e testimoniano di avere sentito Liborio dire queste testuali parole: “Zio Antonio non mi vuole dare il vino, qualche volta lo farò trovare in qualche sito ucciso”. Sarà vero? si vedrà.
Il Maresciallo Sica punta tutta la sua attenzione su Michele Tuoto ritenendolo, con i suoi 15 anni, l’anello debole della famiglia e ha ragione:
– Verso le 11,00 del 19 febbraio io e Liborio stavamo andando nella boscaglia per fare dei pali. Passammo dinanzi la casa di Antonio Santostefano il quale fu chiamato da Liborio che gli disse di volergli fare dei pali. Il Santostefano rispose che frasche e pali non ne voleva, ma voleva invece qualche pezzo di legno ed infatti il Santostefano, presosi una grossa scure ed un sacco, ci seguì nella boscaglia vicina; ivi giunti io mi misi a tagliare legna a pochi metri di distanza dove Liborio si mise a tagliare della legna in una ceppaia. Vidi allora che Liborio, imbrandita la scure dello stesso Santostefano gli diede col dorso un colpo nella nuca, col quale il Santostefano stramazzò sul sentiero inferiore. Io scappai da mio padre che si trovava fin dalla mattina sul lavoro e gli raccontai il fatto; quindi andai nella nostra casetta e raccontai tutto a mia madre e mia sorella. Alla notizia mia sorella si sentì venir meno e mia madre le porse un po’ d’acqua. Dopo poco sopravvenne Liborio colla sua piccola scure che teneva sulla spalla e mi domandò se io avevo detto nulla alle donne. Alla mia risposta affermativa si volse a mia madre e le disse: “I tuoi figli non sono stati buoni, sono stato buono io a farlo a Schino” (Schino era il soprannome di Antonio Santostefano. Nda), intendendo con ciò dire che lo aveva ucciso, quindi silenzio. Dopo ciò, io e Liborio siamo scesi al lavoro prima di mezzogiorno…
Sarà vero? Intanto Liborio Romano viene arrestato e sia il padre che la madre di Michele confermano la versione del ragazzo e la madre aggiunge:
Liborio mi disse che ritornando dopo aver fatto l’omicidio, avea cercato di aprire la porta del Santostefano ma non vi era riuscito e che avea nascosto la chiave sotto una pietra lì vicino. Un giorno, poi, mentre venivamo in Pretura, Liborio prese la chiave nascosta e la buttò in campagna. Aggiungo che nella mattina del fatto, poco dopo che era ritornato Liborio, mia figlia Rosina andò all’acqua assieme a Salerno Giuseppina e passando vicino al sito dove giaceva il Santostefano ne sentì i gemiti; cambiò di colore e alla Salerno che gliene domandava la ragione, rispose che non si sentiva bene. So che Liborio parlò del fatto ad Angela Rosa Basile mentre era ubriaco dicendole che l’avea saputo fare, che si godeva la moglie per altri due mesi e poi sarebbe andato contento in galera. Ne parlò anche a Gaetana Chimenti, che si confidò con Maria Saveria Goffredo, e ne parlò col mugnaio del Fiego, certo Fiore. Liborio poi disse alla moglie del morto e questa ripetè a me, che esso avea ucciso il Santostefano perché gli avea fatto la proposta di dividersi la moglie (dopo l’omicidio Liborio e Rosina si erano sposati. Nda) e che sospettava fortemente, temendo che mia figlia fosse incinta per opera dello Schino, mentre la gravidanza era assolutamente falsa
Anche Rosina conferma il racconto di suo fratello Michele e conferma anche il movente che ha spinto Liborio ad uccidere:
Liborio ci disse che avea ucciso il Santostefano dal perché gli avea fatto proposta di continuare a ricongiungersi con me carnalmente dopo che mi sarei sposata. Fu allora che io gli dissi spaventata che sarebbe andato a finire in carcere ed egli rispose che in carcere non ci sarebbe andato giacché il solo Michele lo avea visto ed a ciò tanto il Michele quanto mia madre lo assicurarono di mantenere sempre il più assoluto silenzio.
Ma le testimoni indicate da Brigida Ricca non confermano il suo racconto. Solo il mugnaio dice di avere ricevuto una confidenza da parte di Liborio, parlando dell’omicidio, che egli avea detto una parola in segreto che non dovea dire e che tale parola era stata riferita subito al Pretore.
Il Maresciallo Sica prosegue le indagini e viene a sapere che Liborio minacciò più volte di uccidere il Tuoto Giuseppe, il figlio Michele e la Ricca Brigida se avessero palesato alla giustizia le cennate circostanze ed infatti le cennate persone, malgrado siano state più volte interrogate, solo in questi giorni si decisero a dire quanto essi conoscevano in ordine all’omicidio. Sica si convince, a questo punto, dell’estraneità dei Tuoto nell’omicidio perché Rosina, dopo l’arresto del marito nutriva fortissimi rancori contro la madre, il padrigno ed il fratello uterino, attribuendo alle rivelazioni fatte da costoro alla giustizia l’arresto di Liborio. Quindi, nell’affermare che il solo Romano Liborio sia stato l’autore dell’omicidio del Santostefano dice, a mio modo di vedere, la perfetta verità, diversamente sarebbe stata ben contenta di coinvolgere nella rovina del marito i parenti di lei.
Ma Liborio è un osso duro e contrattacca:
Intendo dire la verità che finora ho cercato di nascondere per salvare i miei parenti, vedendo che si cerca di buttare su di me un reato di cui sono innocente. Quella mattina, dopo d’aver mangiato nella nostra casetta colonica io, Giuseppe Tuoto e Michele ci recammo nella vicina boscaglia a fare pali. Ivi trovammo che prima di noi vi si era recato il Santostefano a fare della legna in una ceppaia esistente nella parte superiore di un sentiero. Giuseppe gli disse: “Zio Antonio dammi la scure che ti farò io le legna” ed il Santostefano gli diede la scure. Indi il Tuoto gli disse: “Raccogli quelle legna che sono per terra”. Il Santostefano si bassò e Giuseppe gli diede un primo colpo col dorso della scure sulla parte posteriore del capo. Il Santostefano stramazzò sul sentiero con la fronte per terra ed indi, quasi immediatamente, si voltò con la faccia per aria. Giuseppe gli fu sopra e lo colpì sempre col dorso della scure una seconda volta sulla fronte ed una terza volta sopra la guancia. Indi, deposta la scure, si mise a perquisirlo e trovò che nelle sue tasche vi era un coltello a serramanico chiuso, un fazzoletto rosso e delle carte; il tutto lasciò attorno al cadavere. Il Santostefano morì istantaneamente, non emise alcun grido ed io, al primo colpo che Giuseppe gli diede, gli gridai: “Che mai hai fatto!” ed il Tuoto di rimando: ”Statti zitto, diversamente ucciderò anche te!”. Dopo compiuto il misfatto, il Tuoto riprese la sua scure che aveva affidata a Michele, rimasto come me spettatore inerte, e ritornò con noi, senza fare pali di sorta, nella nostra casetta. Dopo mezzogiorno io e Giuseppe scendemmo a faticare nel sito dove ci vide Giglio Pasquale e sua moglie. Ignoro la causale che lo ha spinto all’omicidio. Mi disse poi Michele che suo padre avea portato via una chiave che avea trovato nelle tasche di Santostefano, ma che io non vidi. Inoltre, Michele raccontò il fatto a più persone e non è vero che Santostefano mi disse che dopo il matrimonio voleva godere i favori di mia moglie
Il giorno dopo, ormai siamo al 19 aprile 1898, Liborio modifica la propria dichiarazione, visto che i testimoni che ha citato lo hanno smentito, dicendosi consapevole che questa volta ciò che dirà potrebbe costargli caro:
Vi dirò tutto perché se io sono colpevole di qualche cosa, devono essere puniti anche gli altri colpevoli. Dopo che Giuseppe colpì la prima volta Santostefano e questi cadde a terra, il Tuoto, dando a me la scure, mi disse: “va pure a menare tu, diversamente uccido anche te perché siamo tre e tutti e tre dobbiamo menare; io saltai accanto al Santostefano imbrandendo la scure e col dorso gli diedi un colpo sulla fronte mentre egli si trovava già disteso per terra. indi diedi la scure a mio cognato ed egli, sempre col dorso, lo colpì sulla guancia. Quindi tre colpi ebbe il Santostefano e ciascuno di noi ne menò uno
Muoia Sansone con tutti i filistei!
Ma anche questa versione di Liborio non può essere vera perché – e il Pretore glielo contesta – il numero dei colpi riscontrati sulla fronte di Antonio Santostefano sono stati tre e non uno. Allora Liborio cerca di correggersi e dichiara:
Io menai un solo colpo al Santostefano sulla fronte, non mi accorsi chi gli ha menato gli altri sulla fronte stessa
Certo, in assoluto non si può escludere che le cose siano andate davvero come dice Liborio e si cerca qualche riscontro, ma il 7 maggio l’imputato chiede nuovamente di essere interrogato e chissà che questa non sia la volta buona per arrivare alla verità:
Ora debbo dire altre cose che prima ho taciuto nell’intento di non nuocere ai miei congiunti Tuoto Giuseppe e Michele, ma che ora non posso più tacere: la sera del 18 febbraio, Brigida Ricca in casa raccontò a tutti noi riuniti che in quel giorno Santostefano l’avea ingiuriata fortemente e avea minacciato Tuoto Michele di farlo andare carcerato perché gli avea rubato dell’uva nel corso dell’està passata e perciò si addensava forte l’odio dei Tuoto sul capo del Santostefano. Il 19, dopo mezzogiorno, io e Tuoto Giuseppe scendemmo al lavoro visti da Giglio Pasquale e da sua moglie. Vi dimorammo per tutto il resto della giornata. Il Michele non venne con noi e la sera lo trovammo nella casetta dove ci disse che avea ucciso il Santostefano per vendicare sua madre, quindi io sono innocente
– Romano, smettila di dire sciocchezze! L’ultima volta ti sei accusato di avere colpito Santostefano insieme ai Tuoto e oggi dici che non sei stato tu e nemmeno Giuseppe?
Io dissi allora ciò che non era vero per aiutare i Tuoto, ora non voglio più aiutarli.
– Li avevi aiutati per bene! – osserva ironicamente il Pretore.
Poi Liborio comincia a dire di non ricordare niente, che non è vero che ha affermato di aver colpito Santostefano, che non è vero che ha mai nominato Giuseppe Tuoto come autore dell’omicidio, che non è vero che ha dichiarato la circostanza dei tre colpi, che il Pretore di San Marco gli vuole male e gli ha messo in bocca cose che non ha mai detto: la verità è una sola (adesso): l’assassino è il quindicenne Michele Tuoto.
Ma ormai sono troppe le versioni che Liborio ha fornito e tutte contrastanti con i rilievi oggettivi fatti dagli inquirenti e nemmeno il suo estremo tentativo di fingersi pazzo gli riesce, così il Pubblico Ministero chiede che ad essere rinviato a giudizio con l’accusa di omicidio volontario sia il solo Liborio Romano, mentre per i due Tuoto viene chiesto il non farsi luogo a procedimento penale per insufficienza di indizi. È il 31 luglio 1898.
Il 13 settembre 1898 la Sezione d’Accusa accoglie le richieste del Pubblico Ministero e i due Tuoto escono di scena.
Il processo contro Liborio Romano comincia e finisce il 25 novembre successivo con la condanna dell’imputato a 15 anni di reclusione. Il 14 febbraio 1899 la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di Liborio Romano.[1]

 

Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

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[1] ASCS, Processi Penali.

 

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