SE NON MI AMMAZZI, TI AMMAZZO!

Sono le 6 di mattina del 18 giugno 1954 quando il telefono della caserma dei Carabinieri di San Giovanni in Fiore comincia a trillare insistentemente. Il Maresciallo Capo Domenico Putortì si alza dal tavolino con una tazzina di caffè in mano e va a rispondere. Dall’altro capo del filo c’è il Vice Brigadiere Carmelo Giuliano, comandante la stazione di Trepidò il quale, a mezzo di telefono privato, lo avvisa che in contrada Petrone, agro di San Giovanni, giace un cadavere di sesso maschile dell’età apparente di anni 30.
Subito dopo aver bevuto tutto d’un fiato il caffè bollente e aver bestemmiato in silenzio, Putortì con il Carabiniere Gaetano Pirillo si precipita sul posto.
A circa 200 metri dalla sponda del lago Ampollino, su di un viottolo che porta verso la montagna, e precisamente a circa 10 metri da una capanna da boscaiuolo trovano il cadavere, che mostra già i primi segni di putrefazione, in posizione supina sulla terra.
– Scrivi – ordina Putortì al suo uomo –: indossa una canottiera di lana, pantalone di velluto, scarpe da montagna ed un orologio al braccio sinistro. A circa tre metri di distanza trovasi un fucile da caccia a due canne calibro 12 con la presenza di una cartuccia dello stesso calibro nella sede della camera di scoppio della canna destra, già esplosa, e la canna sinistra vuota.
– Il fatto deve essere avvenuto verso le 17,00 di ieri – racconta il Vice Brigadiere Giuliano – ci hanno avvisato con una telefonata dalla cabina della Società Meridionale Elettrica e siccome siamo più vicini, ho creduto opportuno cominciare le indagini in attesa del vostro arrivo…
– Bene. avete già scoperto chi è e chi lo ha ammazzato?
– Pare che a sparare, per futili motivi, sia stato un carbonaio… tale Ventrice Rocco che si è dato alla fuga. Il morto si chiamava Aiello Raimondo, commerciante da Colosimi…
– Bene, bene… questo Ventrice lo conosco, è di San Giovanni… prendiamo qualche misura chè tra poco arriverà il Pretore…
Infatti un paio di ore dopo arriva il Magistrato accompagnato dal Medico Condotto di San Giovanni, il quale certifica che la morte di Raimodo Aiello è dovuta ad una scarica di pallini sulla fossa clavicolare sinistra, senza fori di uscita, che ha causato una fortissima emorragia per la recisione della carotide. Il medico stabilisce anche che la fucilata è stata esplosa a non più di 5 metri di distanza.
– Abbiamo perquisito la capanna dove si ricoverava Ventrice con sua moglie e i suoi due figli, ma non abbiamo trovato niente che si possa mettere in relazione con l’omicidio, però si è potuto stabilire che dopo il delitto il Ventrice raccolse le poche robe e si è allontanato attraverso le montagne con la moglie ed i figli – relaziona il Maresciallo.
– Stamattina presto è venuta qui la moglie di Ventrice – aggiunge il Vice Brigadiere Pirillo – e ha raccontato che ieri pomeriggio il marito lavorava su di una piazzola di carbone a circa 100 metri dalla capanna, intento ad insaccare carbone assieme ad Aiello Giuseppe, fratello al morto e figlio al datore di lavoro Aiello Stefano, nonché al ragazzo Russo Emilio, adibito a condurre i muli, quando si è presentato sul posto l’Aiello Raimondo con modi poco urbani contro il marito, dicendogli che doveva ammazzarlo perché tempo prima aveva offeso il fratello Giuseppe. Il marito è scappato per rifugiarsi nella capanna e l’Aiello lo inseguì, sempre minacciandolo di ucciderlo con un rastrello e se non sarebbe riuscito di colpire il Ventrice avrebbe ammazzato la moglie ed i figli. Il marito entrò nella capanna uscendo immediatamente dopo col fucile impugnato e l’Aiello, per nulla timoroso continuò a minacciarlo ed inseguirlo anche al di sopra della capanna, sempre in salita, mentre il marito chiedeva di essere perdonato fino a quando, spinto dalla disperazione, fece partire il colpo che investì l’Aiello, uccidendolo.
– Il fratello della vittima ha detto qualcosa? – chiede il Pretore.
– È qui sotto alla carbonaia, lo faccio venire subito – dice Pirillo allontanandosi.
– Noi siamo di Colosimi e ci troviamo qui perché mio padre ha comprato degli alberi di pino per estrarre legname e per carbonizzare la parte del legname che non si presta ad altri usi più convenevoli. Con noi lavorano circa 20 operai fra cui un carbonaio a nome Ventrice Rocco – attacca Giuseppe Aiello –. Circa 15 giorni fa, mentre io stavo pesando della pasta, sempre nella contrada Petrone, ad alcuni operai, il Ventrice, che era un po’ brillo, si è avvicinato a me ed ha tentato, senza alcun motivo, di tirarmi in faccia un peso da un chilogrammo col quale io stavo eseguendo l’operazione di pesatura. Ieri gli operai riferirono a mio fratello Raimondo quanto, tempo fa, v’era stato tra me ed il Ventrice e tra questi due è sorto una animata discussione. Mio fratello si rivolse al Ventrice con la seguente frase: MANNAGGIA ALLA MADONNA! PERCHE’ TI SEI PERMESSO DI PRENDERE IL PESO E DI MINACCIARE MIO FRATELLO? Il Ventrice scappò immediatamente dirigendosi verso la capanna e mio fratello lo seguiva chiamandolo e pregandolo di fermarsi in modo da poter ragionare. Ventrice è uscito dalla capanna armato di un fucile da caccia dirigendosi verso la montagna; mio fratello lo seguiva ancora pregandolo di parlare e ragionare. Ventrice, a circa 10 metri dalla capanna si fermava, voltandosi verso mio fratello col fucile impugnato…
– E poi?
– Anche mio fratello si fermò e mi fece chiamare per mettermi al confronto col Ventrice per sapere la verità dei fatti. Io andai e dissi come era accaduto il fatto e mio fratello si rivolse a Ventrice ripetendo la frase: MANNAGGIA ALLA MADONNA! PERCHE’ TI SEI PERMESSO DI PRENDERE IL PESO E DI MINACCIARE MIO FRATELLO?. A questo punto il Ventrice diceva a mio fratello: FERMATI PERCHE’ TI SPARO! E così dicendo sparò colpendo mio fratello vicino alla gola.
– Tra la vostra famiglia e Ventrice, prima del 6 giugno scorso, c’erano state altre discussioni?
– No, mai. Si era sempre comportato bene verso di noi ed era un bravo lavoratore.
– La moglie di Ventrice ha detto che vostro fratello profferiva minacce di morte mentre inseguiva suo marito.
Mio fratello non aveva minacciato il Ventrice di ammazzarlo e né di licenziarlo.
– Vi siete accorto se ieri Ventrice era ubriaco?
Non era ubriaco ma abbastanza serio in quanto intento ancora al lavoroVentrice beveva solamente la domenica o in qualche altro giorno festivo, rendendosi seccante con tutti.
Poi il Pretore fa chiamare il ragazzo Emilio Russo, presente al fatto, ma le sue risposte sono molto evasive e non aggiungono niente. Vengono interrogati anche i due operai presenti alla lite del 6 giugno ed entrambi raccontano quanto fosse molesto Ventrice quando era ubriaco e riferiscono anche una pesante minaccia che lo stesso avrebbe fatto ai danni dei fratelli Aiello, minaccia di cui Giuseppe Aiello non ha mai parlato: PRIMA CHE FINISCA QUESTA LAVORAZIONE DEBBO AMMAZZARE A TE O A TUO FRATELLO RAIMONDO. Dicono anche che Giuseppe Aiello, per cercare di calmarlo, gli diede qualche birra in modo da farlo allontanare, senza riuscirci.
Le contraddizioni tra quanto riferito da Giuseppe Aiello e quanto raccontato dai testimoni fa sorgere il dubbio che questi possano essere di parte in quanto sono tutti dipendenti degli Aiello e tutti loro compaesani. Starà agli inquirenti sbrogliare la matassa. Intanto il padre della vittima parla, contraddicendo suo figlio Giuseppe, di qualche screzio tra Ventrice e Raimondo
Mio figlio Raimondo aveva una lavorazione di Carbone nel Comune di Licurso, in provincia di Catanzaro, unitamente ad altri soci e si accorse che diverse volte gli mancava del carbone e pertanto sia lui che i soci hanno denunziato il fatto ai Carabinieri di Cortale. Dalle indagini è risultato che il Ventrice aveva effettuato i vari furti.
– E perché non lo avete licenziato?
Lavorava alle mie dipendenze da tre anni… era un buon lavoratore e i nostri rapporti erano stati sempre buoni… ho chiuso un occhio… ma dopo aver saputo della lite del 6 giugno avevo deciso di licenziarlo alla fine dei lavori.
Futili motivi. Omicidio per futili motivi. Questo, stando così le cose, è il titolo col quale viene rubricato il delitto. Ma c’è qualcosa che sfugge, è solo una sensazione, bisogna scavare più a fondo, in questo modo non si ammazza nemmeno un cane.
Prima di entrare nella capanna, mio marito si voltò per vedere se Raimondo lo stesse ancora inseguendo e, visto che non si fermava, gli disse: FERMATI, MI VUOI AMMAZZARE PER FORZA? Raimondo gli rispose: NIENTE, TI DEBBO AMMAZZARE – precisa la moglie di Ventrice –. Mio marito, allora, entrò nella capanna e si armò di fucile e, ritornando sulla soglia della capanna, fece notare al Raimondo che stava caricando l’arma con una cartuccia. Ma Raimondo non desisteva e quando mio marito vide che si avvicinava ancora, scappò in salita dirigendosi verso la montagna. Raimondo lo seguiva con in mano un palo di legno. A circa una diecina di metri dalla capanna i due si fermarono e Raimondo chiamò suo fratello Giuseppe che accorse immediatamente e gli chiese se era vero che il 6 giugno lo aveva minacciato. Giuseppe affermò essere veritiero, però non rese consapevole il fratello che esso stesso durante la discussione aveva minacciato mio marito con un coltello – questa è nuova, nessuno lo detto finora e i dubbi sui testimoni aumentano –. Raimondo, saputo questo, si avvicinava ancora verso mio marito, ciò nonostante mio marito lo pregava di fermarsi e desistere dalla sua volontà, ma Raimondo, non ascoltando le preghiere che gli venivano rivolte, si avvicinava sempre più fino a quando, giunto ad una distanza di circa due metri, mio marito gli esplose il colpo
– Vostro marito era ubriaco?
No, aveva lavorato tutto il giorno. Anzi, verso mezzogiorno ha fatto una colazione di pane ed insalata di cipolle senza bere del vino
Raimondo che tipo era? Violento, calmo?
Con mio marito si era dimostrato sempre bravo, però verso gli altri operai, quando non andava bene qualche lavoro, si mostrava violento.
Il fucile, al momento del delitto, lo aveva puntato mirando, oppure ha sparato senza mirare, tenendo il fucile tra il braccio ed il fianco destro?
Non ha mirato… ha fatto l’atto con la stessa posizione in cui aveva il fucile, cioè sotto il braccio
Prima di sparare che cosa diceva? Che cosa faceva?
Mio marito si inginocchiò chiedendo perdono a Raimondo in modo da chiudere completamente ogni discussione.
Raimondo cosa diceva quando suo marito gli chiedeva perdono in ginocchio?
Diceva ed insisteva che lo avrebbe ammazzato e si avvicinava a mio marito col palo di legno facendo la mossa di colpirlo
Dopo sparato che ha fatto?
Ha gettato l’arma sul posto stesso e rivolgendosi a Giuseppe gli disse di provvedere a chiamare un medico in modo di poter salvare la vita dell’uomo colpito e dopo di che fuggì verso la montagna e dopo qualche tempo andai anche io unitamente ai miei figli in cerca di mio marito, cosa che feci di notte, trovando mio marito in un pagliaio e rimanendo per tutta la nottata… la mattina mi accompagnò a Trepidò sistemandomi presso i miei famigliari e, presi alcuni capi di corredo, si diresse verso San Giovanni, assicurandomi che si sarebbe venuto a presentare ai Carabinieri
E infatti Rocco Ventrice si presenta. È il 20 giugno 1954.
– Il 6 giugno, verso le 16,00 – 16,30, sono andato alla dispenza della ditta ed ivi ho trovato Giuseppe al quale chiedevo una birra. Giuseppe mi rispondeva nel seguente modo: ORA NON POSSO PERCHE’ MI DEVO LAVARE IL VISO. Non ho insistito e sono stato ad aspettare fino a quando Giuseppe finiva i suoi comodi. Nel frattempo però è sopraggiunto un altro operaio della stessa ditta il quale ha chiesto anche a Giuseppe una birra e Giuseppe, senza esitare, la birra a questo operaio la diede. Allora io gli dissi: GIUSEPPE A QUELLO HAI DATO LA BIRRA E A ME NO! e Giuseppe mi rispose: E SI CHE MO TE LA DO’ ANCHE A TE LA BIRRA, SEMPRE TU PARLI! Sta di fatto che a questo punto Giuseppe si toglieva dal posto del lavoro (dietro il bancone della dispenza) e avvicinatosi a me mi diede una spinta, forse a tono scherzoso e poi, ritornato dietro al bancone disse: TI DAREI QUALCHE CORTELLATA e così dicendo tirò fuori un coltello che poi rimise a posto. Io a questo punto gli risposi: QUESTO TE LO TIRO SULLA TESTA e presi un peso da un chilo dalla bilancia che poi, dopo aver fatto la mossa, lo rimisi a posto. Ma tutto ciò io feci in tono scherzoso, come anche ritenevo che agisse Giuseppe. Dopo la discussione mi ha dato due bottiglie di birra.
– È intervenuto qualche operaio durante la discussione?
– Uno solo che ritenevo parente dell’Aiello che non so come si chiama e che semplicemente detto: LASCIATE STARE CHE OGGI E’ FESTA.
– Questa discussione ha avuto altre conseguenze?
No. Semplicemente la domenica successiva, giorno di Sant’Antonio, ho creduto di raccontare al mio datore di lavoro Stefano Aiello, padre di Giuseppe, la discussione alla dispenza e Aiello mi rispose: NON TI PREOCCUPARE CHE SI TRATTA DI UN RAGAZZO, OGGI CI SONO IO E LA BIRRA CE LA GIOCHEREMO! Ed infatti ci siamo giocati una cassa di 24 bottiglie di birra assieme ad altri operai.
– E la lite del 17 come è nata?
– Verso le 17 Raimondo è tornato alla piazzola dove stavo insaccando il carbone, si fermò a circa 10 metri da dove ero io con una cera spaventosa e, rivoltosi verso di me, disse: VIGLIACCO! TI DEBBO AMMAZZARE! HAI DA FARE CON AIELLO RAIMONDO E NON CON MIO FRATELLO! Io gli risposi: RAIMONDO PERDONAMI, STAMATTINA TE NE SEI ANDATO CALMO CALMO ED ORA TE NE SEI RITORNATO CON QUESTI NERVI, SE HO MANCATO IN QUALCHE COSA, PERDONAMI. E così dicendo, mentre lui veniva verso il centro della piazzola, io sono saltato fuori dalla piazzola stessa e Raimondo prese il rastrello che era depositato sui carboni e dove, successivamente, lo ha lasciato. Visto che aveva intenzione di aggredirmi, io scappai verso la mia capanna che si trovava in salita a circa 100 metri dal posto di lavoro e Raimondo mi inseguiva minacciandomi. Visto che io mi sono fermato dinanzi la porta della capanna che era aperta, Raimondo prese un palo di legno continuando a minacciarmi. Io sono entrato nella capanna e mi sono armato di fucile da caccia, ritornando sulla soglia della porta e facendo vedere a Raimondo che stavo caricando il fucile con una cartuccia a pallini e gli ho detto: RAIMONDO VATTENE COSI’ EVITIAMO OGNI DISCUSSIONE, VEDI CHE HO IL FUCILE! Raimondo mi rispondeva in questo modo: SE MI AMMAZZI MI AMMAZZI, MA SE NON MI AMMAZZI, TI AMMAZZO! e così dicendo si avvicinava di più. In quel mentre sopraggiungeva mia moglie la quale diceva: ROCCO, VEDI SE PUOI SCAPPARE!  e Raimondo, rispondendo a mia moglie, disse: SCAPPA, E DOVE VA? SE NON AMMAZZO A TUO MARITO, AMMAZZO A TE E AI TUOI FIGLI E POI PRENDERO’ ANCHE LUI! A questo punto io sono scappato dietro la capanna a circa 8 metri e dissi a mia moglie di allontanarsi con i figli, poi dissi a Raimondo: FRATELLO, PERDONAMI! ed esso mi rispondeva: TI DO’ IO IL PERDONO! e si avvicinava fermandosi a circa quattro metri. Io tremavo dalla paura e cercavo di evitare qualche disgrazia. Raimondo ha continuato il cammino minacciandomi. Visto e considerato che si avvicinava deciso, quando è giunto a circa 2 metri da dove stavo io, gli dissi ancora: RAIMONDO PERDONAMI, PERDONAMI… ma egli non ascoltava le mie parole e le mie sottomissioni ed allora, dalla paura, ho sparato il colpo…
– Prima di sparare è successo qualcos’altro? – gli chiede il Maresciallo, perché a questo racconto manca qualcosa che tanto la moglie quanto Giuseppe Aiello e il ragazzo presente sul posto hanno riferito.
Si, Raimondo, prima che io sparassi e nel momento in cui chiedevo di perdonarmi perché non avevo commesso nulla di male, gridò al fratello di venire sul posto per raccontare il fatto del 6 giugno, cosa che il fratello fece, asserendo che io lo avevo minacciato alla dispenza. Raimondo si adirò di più e fece l’atto di avvicinarsi sempre col palo di legno alla mano ed in quel momento, dopo avergli chiesto nuovamente perdono in ginocchio, gli ho sparato
– Si è accorto di averlo colpito?
– Si perché si è accasciato facendo un giro su se stesso, rimanendo con la testa verso la montagna e i piedi verso la capanna in posizione supina. Io rimasi di stucco perché non avevo nessuna intenzione di uccidere, ma soltanto intimorirlo… per pochi momenti sono rimasto inebetito e Giuseppe si è allontanato con i muli… ho avuto la forza di gridare al fratello di trovare gente e qualche medico perché mi sembrava che Raimondo ancora respirava e dopo di ciò lasciai il fucile sul posto e mi allontanai… – i suoi occhi sono pieni di lacrime, tira un lungo respiro e aggiunge – mi minacciava… conoscendolo un tipo violento cercai di difendermi per non farmi offendere assieme alla mia famiglia e ciò può confermarlo il fratello che rimase sul posto senza prendere parte attiva… può darsi che fosse stato aizzato contro di me da qualcuno
Al Maresciallo sembra sincero e, d’altra parte, anche le testimonianze dei presenti sembrano confermarlo, così verbalizza:
Dopo i fatti si presume che le dichiarazioni del Ventrice siano esatte e ciò viene confermato ed avvalorato dal fatto che alla prima minaccia dell’Aiello, avvenuta sulla piazzola, il Ventrice scappò per paura. Inoltre è da far notare che il Ventrice, pur avendo il fucile in mano, cercava di continuare a scappare, ciò allo scopo di evitare la lite, avendo paura e sentendosi fisicamente inferiore sia per prestanza che per forza nei confronti dell’Aiello. Il fatto è dimostrato che lo sparo è avvenuto al di sopra della capanna e non davanti alla porta, cosa che poteva essere più facile per Ventrice se aveva l’intenzione di uccidere, perché all’angolo della capanna si trovava la moglie con i figli che, con l’allontanarsi del Ventrice, rimanevano indifesi e potevano essere offesi non solo dall’Aiello Raimondo, ma anche dal Giuseppe che però non è intervenuto nei confronti del fratello maggiore, onde evitare la lite e ciò fa supporre che lo fece per paura, tanto da rimanere inattivo.
Il Pubblico Ministero non è affatto d’accordo con le conclusioni del Maresciallo Putortì e scrive una durissima relazione nella quale respinge la tesi della legittima difesa perché il pericolo incombente di una aggressione non è mai esistito… l’Aiello si avvicinò con la probabile intenzione di farla a pugni. Perché, dunque, l’imputato, senza por tempo di mezzo, si allontanò per armarsi? Da che cosa sarebbe, in quel momento, sorto il pericolo per la vita del Ventrice? Poteva quella minaccia fatta a parole costituire e concretizzare il pericolo di un’offesa ingiusta? Era ingiusto l’atteggiamento del fratello maggiore che aveva appreso che il minore era stato ingiustamente minacciato? Aveva l’Aiello Raimondo il diritto ed il dovere di intervenire contro colui che aveva tentato di provocare una lite e di lanciare il peso contro il giovane Aiello Giuseppe?… Per questo il colpo sparato dal Ventrice contro un giovane del tutto indifeso, che chiedeva all’omicida ragione dell’ingiusta minaccia fatta al fratello minore non può inquadrarsi nei limiti richiesti dal moderamen inculpatae tutelae.
Può invece ritenersi, per l’assenza di una causale adeguata alla gravità del delitto, che il Ventrice più che intenzione di uccidere, ebbe in mente di ferire e che l’evento più grave che si verificò, fu al di fuori della coscienza e della volontà di lui.
Omicidio oltre l’intenzione. È questo il reato per il quale viene chiesto il rinvio a giudizio dell’imputato. Ma il Giudice Istruttore non accoglie la richiesta del Pubblico Ministero ritenendo che Rocco Ventrice, provocatore prima, spietato e calcolatore durante e dopo l’esecuzione del crimine, dovendo in una qualsiasi maniera giustificare il suo atto (tutt’altro che preterintenzionale), ha intuito che il miglior partito a cui appigliarsi fosse quello di affrontare in pieno l’ostacolo e ha così lanciato all’azzardo la tesi di legittima difesa. Per questo deve essere rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza con l’accusa di omicidio volontario. È il 9 maggio 1955.
Il dibattimento si tiene, dopo un paio di rinvii dovuti a malattia dell’imputato e dei suoi avvocati difensori Orlando Mazzotta e Franco D’Ippolito, il 16 luglio 1955. La Corte dispone un sopralluogo per chiarire meglio la dinamica dei fatti, ma le parti restano ferme sulle proprie posizioni. Poco male, i giurati hanno avuto ugualmente modo di formarsi un proprio convincimento semplicemente osservando i luoghi.
Dopo aver ascoltato le dichiarazioni dei testimoni, le richieste del Pubblico Ministero, della Parte Civile e le arringhe dei difensori, il 23 luglio 1955 la Corte ritiene Rocco Ventrice colpevole di omicidio colposo per eccesso di legittima difesa e, concesse le attenuanti del caso, lo condanna ad 1 anno di reclusione, alle spese, comprese quelle del mantenimento durante la custodia preventiva, e al pagamento dei danni e delle spese verso la Parte Civile.[1]


Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

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[1] ASCS, Processi Penali.

 

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