CON QUESTO MI CI PULISCO IL CULO

Alla fine del 1952 Teresina, 21 anni, e Francesco, 26 anni, entrambi della frazione San Biase di Fiumefreddo Bruzio, sono fidanzati ufficialmente da nove mesi. Finalmente, si potrebbe dire, perché il corteggiamento andava avanti da quasi tre anni in quanto la famiglia del giovanotto non vedeva di buon occhio quella unione. Eppure Teresina è una brava ragazza che non ha mai dato adito a pettegolezzi, né la sua famiglia si è stancata di aspettare promettendola in sposa a qualcun altro, nonostante i numerosi pretendenti. Forse questa cattiva opinione è nata dal fatto che Ciccio, un giovanotto vicino di casa e amico della famiglia di Teresina, viene visto troppe volte entrare e uscire dalla casa della ragazza, ma questa è una cosa che notano solo i familiari di Francesco, gli altri vicini non ci hanno mai badato perché Ciccio, coetaneo di Teresina, in quella casa ci è cresciuto e continua ad andarci anche dopo il fidanzamento ufficiale.
Francesco comincia ad essere roso dalla gelosia ed una mattina del mese di luglio 1952 si permette di picchiare Teresina in casa sua, usando il calcio del fucile che porta sempre con sé.
Dicevamo che i due ragazzi sono fidanzati ufficialmente da nove mesi e poiché il fidanzamento andava alla lunga, i genitori di Teresina invitano Francesco a decidersi altrimenti era meglio troncare il fidanzamento e rimanere ognuno libero per conto suo in modo che, presentandosi altre richieste di matrimonio, sarebbero liberi di darla in moglie al miglior partito possibile. Ma Francesco risponde sempre in modo evasivo. Passa inutilmente il mese di gennaio del 1953, poi la sera di lunedì 9 febbraio Francesco si presenta in casa della fidanzata, come al solito armato di fucile. Questa volta, però, è visibilmente nervoso e mette bene in evidenza le tasche piene di cartucce.
– Queste saranno per te e per Ciccio…
– Ma che dici? Sei impazzito? – gli risponde, impaurita, Teresina.
– Impazzito? Oggi pomeriggio a comprare la pasta da Amendola ti ho accompagnata io o ti ha accompagnata Ciccio? Ti sei decisa a sposarlo?
– Ma che vai dicendo? Tu forse hai bevuto troppo e te l’ho detto mille volte di non bere che poi non ragioni più – replica Teresina.
– Io sono normale, sei tu che sei una… una…
– Adesso basta! – tuona Domenico, il padre della ragazza – sei in casa mia e non ti permetto di parlare così a mia figlia, mancando di rispetto anche a me! Ti ricordo che ancora non mi hai dato nessuna risposta per fare le carte e fissare il matrimonio.
Appena Francesco sente pronunciare quest’ultima parola perde tutta la sua tracotanza, abbassa la testa e se ne va senza dire una parola.
Rimasti da soli, i genitori parlano chiaramente – e per l’ultima volta – alla figlia e stabiliscono che aspetteranno ancora una settimana, poi il fidanzamento sarà rotto. Settimana che passa senza avere notizie.
– Frà… Teresina vuole sapere le tue ultime e precise intenzioni – è la richiesta che la ragazza gli manda tramite un bambino, la mattina del 13 febbraio.
– Dille che se ne andasse a quel paese! – è la risposta che non lascia adito ad alcun dubbio, poi rincara la dose – a suo padre lo voglio bruciare con le 51 armi che porta addosso! – urla, intendendo con ciò che è pronto a tutto e non gli importa se il mancato suocero sarà meglio armato di lui.
Saputa la risposta, il padre di Teresina non fa una piega. Ordina alla figlia di vestirsi bene perché andranno alla Marina di Fiumefreddo a fare una visita alla nonna e i due si mettono in cammino. Lungo la strada incontrano Francesco che, dopo un breve scambio di convenevoli sulle rispettive destinazioni, ripete parola per parola quanto ha già fatto sapere loro. Anche questa volta il padre della ragazza mantiene la calma e non accade nulla. Però qualcosa gli frulla in testa. Va bene la rottura del fidanzamento, ma quelle oscenità e quelle minacce proprio no!
– Andiamo dai Carabinieri e lo facciamo chiamare da loro per fargli dire ufficialmente che non ti vuole sposare e per intimargli di non portare più in giro il fucile… quello è pazzo!
Il Maresciallo Capo Pierino Santucci ascolta il racconto che padre e figlia gli fanno, poi si siede alla macchina per scrivere e scrive un biglietto con il quale ordina a Francesco di recarsi in caserma per comunicazioni che lo riguardano.
– Io però non glielo posso far recapitare, fateglielo avere voi – li congeda consegnando il foglio piegato in quattro.
E così fanno.
I due tornano a casa, si mettono gli abiti da lavoro e salgono verso la montagna con l’asino, lungo la via che chiamano Pietre Bianche, per caricare alcuni sacchi di patate che tengono in un piccolo fondo di loro proprietà. Fatto ciò che dovevano, si rimettono in marcia verso casa quando, all’improvviso, davanti a loro si para Francesco con il fucile nella mano destra e un foglio di carta nella sinistra.
Con questo mi ci pulisco il culo!
Padre e figlia non rispondono e tirano dritto. Francesco scende lungo un viottolo secondario e li precede, trovandoseli di nuovo davanti.
– Anzi, questo usalo come pannolino quando hai le cose mensili! – dice lanciando il foglio verso la ragazza, poi si rivolge all’uomo – A te ti brucio
Domenico, nonostante stringa in mano la scure, è terrorizzato e si mette a correre a rompicollo giù per il pendio. Francesco imbraccia il fucile, mira e spara ma il colpo va a vuoto, così si mette a inseguire il mancato suocero. Teresina non sa cosa fare. L’unica cosa che le viene in mente è prendere le redini dell’asino e cercare di raggiungere casa, mentre suo padre e Francesco scompaiono tra gli alberi.
In contrada Via della Terra alcuni contadini stanno zappando quando vedono due uomini che scendono dalla montagna correndo uno avanti con una scure in mano e l’altro dietro, a una distanza di una quarantina di metri, con un fucile sul braccio sinistro. Il primo uomo, il padre di Teresina, arriva trafelato da loro e dice:
– Lo avete riconosciuto?
– No – rispondono.
– È Francesco, mi ha appena sparato alle spalle senza colpirmi…
L’inseguitore rallenta la corsa e in questo frattempo sopraggiunge sua madre, subito avvicinata da Domenico che espone le sue lamentele contro il di lei figlio, poi urla per farsi sentire da tutti i presenti:
– Tutti lo vedete con il fucile in mano e tutti mi siete testimoni perché adesso lo vado a denunciare! – la madre del giovanotto cerca di intervenire per calmare le acque, ma suo figlio, ormai vicino e sempre più minaccioso, le urla:
– Mà… non t’immischiare che lo devo bruciare! Io stavo andando a caccia e lui mi ha minacciato con la scure, non posso andare a caccia io?
– Si che ci puoi andare, ma non è vero che ti ho minacciato con la scure. È vero invece che tu mi hai sparato alle spalle!
Vuoi vedere che ti sparo adesso?
E così dicendo alza il fucile e spara contro Domenico. Questi che gli parlava sul ciglio della strada col viso ed il corpo nella sua direzione, ricevuto il colpo al fianco destro, cade dalla strada senza parapetto sotto al muro con le braccia in avanti, con impugnata nella mano sinistra la scure alla fine del manico.
Tutti restano impietriti mentre l’eco dello sparo rimbomba ancora nelle loro orecchie. Francesco, dopo aver sparato, fa pochi metri verso la montagna e poi, come per una decisione subitanea, si gira e col fucile ancora fra le braccia, senza curarsi del ferito, continua a camminare lungo i campi in direzione dell’abitato, subito seguito dalla madre.
Pietosamente i contadini prendono in braccio il ferito e si incamminano per portarlo nella sua casa. Proprio in questo momento arriva sul posto Teresina con l’asino e viene avvisata dell’accaduto.
Sono ormai le 17,00 quando un ragazzo bussa alla porta dei Carabinieri con un biglietto in mano. Il Maresciallo Santucci lo prende e lo legge: è del dottor Franco Pagnotta che lo avvisa di aver visitato Domenico il quale presenta sette fori della larghezza di cm. 1 e mezzo circa nella regione del fianco destro, provocati da colpo di arma da fuoco lunga. A detta del paziente il colpo gli sarebbe stato sparato da Francesco dalla distanza di metri 35 circa, in località Via della terra. Il paziente versa in gravissime condizioni e ogni giudizio prognostico dipende dalle cure del caso.
Santucci si precipita sul luogo del delitto con tutti i suoi uomini perché pare che Francesco si stia aggirando nei dintorni ancora armato di fucile e bisogna catturarlo immediatamente per evitare altri possibili spargimenti di sangue. No, pare invece che stia andando a Fiumefreddo per costituirsi, così la squadra si divide. Santucci va a casa del ferito per interrogarlo ma non fa in tempo, è già morto.
Raccolte, tra le lacrime, le prime, sommarie testimonianze di Teresina e della madre, Santucci torna in caserma dove trova Francesco che ricostruisce l’avvenimento secondo il suo punto di vista:
Ero fidanzato con Teresina dai primi di marzo dello scorso anno. Andammo d’accordo fino alla fine di dicembre in cui cominciarono i primi disaccordi. I motivi erano diversi, a cominciare dal fatto che lei non voleva che io bevessi qualche bicchiere di vino in più e a finire alla gelosia che nasceva dalla espansività che la ragazza aveva con qualche altro giovane della contrada. Qualche volta le proibivo di conversare o d’intrattenersi comunque con altri giovani del paese, ma lei non voleva sentirmi. Intanto sia lei che i suoi genitori sollecitavano il matrimonio fra noi, ma io non intendevo sposarmi se prima non mi accertavo che la Teresina mi potesse essere fedele e che fosse affezionata a me. Nel mese di novembre si erano iniziate anche le pubblicazioni nella Chiesa parrocchiale di S. Serra. Lei, prima del fidanzamento, era stata corteggiata da un certo Ciccio il quale, come ebbe a riferirmi lei stessa dopo il fidanzamento, intendeva prima possederla e poi sposarla, cosa alla quale lei non aveva voluto accondiscendere. Tuttavia tra di loro era rimasta una certa intimità che non mi piacque mai. Da alcuni giorni in qua il padre della giovane e lei medesima, parlando con terze persone, si esprimevano in senso minaccioso verso di me riguardo al ritardato matrimonio. Premetto che nelle prime ore del mattino Teresina mi aveva mandato a chiedere quali erano le mie intenzioni precise nei di lei riguardi, al che le facevo sapere che le mie intenzioni erano quelle di non sposarla per i motivi che lei già sapeva. Stamane in contrada Castagnelle m’incontravo volutamente con padre e figlia che scendevano in paese e ho domandato dove si recava. Mi rispondeva che andava da sua nonna alla Marina. Nessuna discussione avveniva tra noi, né io avevo con me il fucile. Dopo il breve scambio di parole, essi proseguirono per la loro strada ed io mi sono ritirato a casa. Verso le 13-13,30 mi sono visto recapitare a casa un invito a presentarmi in caserma; io conservavo il biglietto e verso le 14,30, preso il fucile di mio padre, mi sono avviato verso la montagna con l’intenzione di cacciare. Mi sono imbattuto verso le 15 con Domenico e la figlia che, in senso opposto alla mia direzione, scendevano dalla montagna con un asino carico di derrate e legna. Per evitare l’incontro, lasciando la mulattiera che percorrevo, mi sono portato a monte della strada, fermandomi davanti a loro per attendere che passassero. Giunti che furono alla mia altezza, mostrando loro il biglietto, feci presente che anzitutto erano stati bugiardi nel dirmi di dover andare dalla nonna di Teresina ed alla medesima facevo presente che il biglietto non occorreva per presentarmi in caserma perché mi sarei presentato da solo anche se fossi stato chiamato a voce. A questo punto il padre, lasciando sola la figlia, si avviò verso di me con una scure tra le mani, tenendola tra offesa e difesa. Io gli ho detto di non avvicinarsi, ma lui ha proseguito il cammino. Notando che si stava avvicinando troppo, ho preso la via della campagna quasi scappando… dopo percorsi cento metri, voltandomi mi sono accorto ch’egli m’inseguiva ancora, così che ho sparato un colpo in aria. A questo punto Domenico desisteva ed io ho preso la strada di casa. D’un tratto ci siamo trovati lungo la strada, io sotto e lui sopra, dopo una curva, a circa venti metri di distanza. Vedendo lì vicino alcuni contadini, lui ha domandato se mi conoscevano, al che io rispondevo che non avevo nessuna paura di essere conosciuto perché nulla avevo fatto. Nel frattempo passava accanto a lui mia madre, che gli ha detto: “E lascialo stare! Perché dovete fare questione?”. Senza darle retta, Domenico ha fatto un salto, sempre tenendo in mano la scure tra difesa e offesa e si è avvicinato a me. Gli ho detto di non avvicinarsi troppo, temendo io della sua scure. Lui non ha voluto intendere l’avvertimento, cosicché, imbracciato il fucile, gli ho sparato un colpo contro e mentre lui cadeva a terra, mi sono allontanato. Sono tornato a casa, ho lasciato il fucile e sono venuto a costituirmi…
Santucci interroga tutte le persone presenti al delitto, ma nessuno lo ricostruisce come ha fatto Francesco e per lui sono guai. Il Maresciallo, attraverso alcune confidenze, viene a sapere che Francesco ha un’altra donna, Grazia, e che Teresina sa tutto ma non se ne è mai lamentata. L’uccellino gli dice anche che Teresina e Francesco avevano già avuto rapporti carnali e forse questo fatto è alla base di tutto: “se lo ha fatto con me prima di sposarci, l’ha potuto fare anche con Ciccio e chissà con chi altro”, può aver pensato.
Francesco nega tutto, ma Teresina conferma:
Francesco mi sedusse in casa mia nell’aprile del 1952, approfittando che mia madre era alla Marina, mio padre in montagna e mio fratello al pascolo. Altre volte abbiamo avuto contatti carnali e l’ultima volta fu nel dicembre scorso
– Non è che sei incinta?
Non ritengo di essere incinta, avendo avuto le regole in questi giorni
– Si dice in giro che Francesco ha un’altra… e forse ci ha fatto anche un figlio…
– Si, ero a conoscenza che aveva per amante Grazia, ma mai né con l’uno, né con l’altra feci rimostranze. Sconosco però se dalla loro relazione fosse nato o meno un figlio
Anche l’autopsia sul cadavere di Domenico smentisce la ricostruzione di Francesco: vittima e aggressore erano distanti l’uno dall’altro una decina di metri; la vittima non si trovava di fronte all’aggressore ma alquanto lateralmente e l’aggressore stava più in basso rispetto alla vittima.
Tutto questo complesso di cose porta il Pubblico Ministero a considerare che la versione dei fatti offerta dall’imputato, che prospetta una ipotesi di legittima difesa, è falsa perché non è credibile che una persona armata di scure si avventi contro una armata di fucile. Se così è, è chiaro che l’imputato, nel momento in cui sparò, ebbe intenzione di uccidere, altrimenti non si spiegherebbe come mai il pomeriggio del 13 uscì con il fucile carico a pallettoni. Se infatti egli avesse avuto intenzione di andare a caccia, come aveva fatto altre volte, non avrebbe caricato il fucile a pallettoni, perché quel tipo di cartucce si spara contro lupi o cinghiali; non avrebbe atteso il ritorno dalla montagna dei due, ma si sarebbe recato in caserma ove era stato invitato; non avrebbe sparato il primo colpo e non avrebbe inseguito la vittima. L’imputato, che aveva avuto rapporti intimi con la fidanzata, temeva le conseguenze di quei rapporti. L’odio contro Teresina si estendeva perciò al padre di lei, che la figlia proteggeva, e che mostrava di volerlo costringere ad un matrimonio che egli non voleva assolutamente contrarre. Deve essere rinviato a giudizio per omicidio.
Il Giudice Istruttore accoglie la richiesta e Francesco sarà giudicato dalla Corte di Assise di Cosenza. È l’8 gennaio 1954.
Il 31 maggio successivo inizia il dibattimento che si svolge senza sorprese e il 19 giugno la giuria dichiara l’imputato colpevole di omicidio volontario con l’attenuante di avere agito in istato d’ira determinato dal fatto ingiusto della persona offesa (il fatto di avere avuto in mano la scure) e con attenuanti generiche, lo condanna ad anni 11 di reclusione, al pagamento delle spese processuali e a quelle del suo mantenimento in carcere durante la custodia preventiva, alla libertà vigilata per anni tre. Lo condanna altresì al rimborso delle spese in favore della parti civili che si liquidano il £. 200mila, lo condanna ancora ai danni in favore delle parti civili da liquidarsi in separata sede.
Il ricorso in appello presentato dall’avvocato Luigi Gullo viene respinto.  È il 4 luglio 1955. Agli atti non risultano ricorsi per Cassazione.[1]

Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

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[1] ASCS, Processi Penali.

 

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