PARENTI SERPENTI

Il sole è una mezza palla rossa sospesa sulle montagne che danno verso il mare. Angelina Porco, contadina ventitreenne di Aprigliano, sta salendo la scala esterna della casa colonica di contrada Costrano Sottano dove abita con la sua famiglia, dopo aver governato gli animali.
Sta pensando al suo prossimo matrimonio col sarto diciottenne Agostino De Giovanni e sorride pensando che lui ha insistito molto con suo padre per anticipare la data delle nozze. Faranno una bella festa nell’aia e balleranno e canteranno fino a notte, tanto farà caldo a luglio. “Quanti giorni mancano?” pensa facendo i conti a mente “Oggi è il 29 di maggio… trenta giorni di giugno e quindici di luglio fanno quarantacinque, più due fanno…”
La detonazione nemmeno la sente. Non sente nemmeno dolore nell’istante in cui i sette pallettoni di piombo penetrano tra la testa e la spalla sinistra devastandola. Angelina si affloscia come un sacco vuoto e ruzzola giù per la scala senza finire il conto dei giorni che mancano al matrimonio. Il conto dei suoi giorni si è già chiuso, la morte è istantanea.
La madre della ragazza, la sorella e il fidanzato si precipitano fuori e la trovano quasi accartocciata su sé stessa. Dai fori sulla tempia sinistra il sangue sgorga misto a materia cerebrale ed è uno spettacolo raccapricciante. Prendono delle pezze per tamponare le ferite, illudendosi che Angelina sia ancora viva, poi Agostino la prende in braccio e, come avrebbe voluto fare il giorno delle nozze, insieme varcano la porta di casa. Quando la depone sul letto finalmente realizzano che la ragazza è morta e le due donne cominciano a strillare, piangere e tirarsi i capelli. Agostino piange in silenzio, poi esce per andare ad avvisare il suocero che è ancora al lavoro in un fondo vicino.
– Avete qualche inimicizia? Qualcuno che ce l’ha con la vostra famiglia? Qualcuno, insomma, che avrebbe avuto un motivo per fare quello che ha fatto… – chiede il Vicebrigadiere Francesco Vetere che comanda la stazione dei Carabinieri al padre della vittima, Leonardo Porco.
– Una persona con la quale abbiamo inimicizia c’è. Ci sono ancora delle cause in corso tra di noi… si chiama Michele De Francesco – risponde.
I Carabinieri si mettono subito alla ricerca di De Francesco ma quando la mattina del 30 maggio 1910 lo trovano, capiscono subito che non c’entra niente con l’omicidio di Angelina. La sera prima è stato a una festa popolare nella frazione Grupa dove centinaia di persone lo hanno visto ballare e cantare proprio nello stesso momento in cui la ragazza veniva uccisa. Il Vicebrigadiere Vetere torna a casa Porco e comincia a fare un sopralluogo intorno al fabbricato per accertare da dove sia partito il colpo mortale. Nota subito che a circa venticinque metri dalla casa c’è un grosso albero di gelso nero circondato da un campo coltivato a lupini; facendo un largo giro per non cancellare eventuali tracce, una volta arrivato sotto l’albero nota che ci sono numerose impronte di scarpe che, dall’albero stesso, si inoltrano tra le piante di lupini, spezzate lungo il percorso. “Si, è proprio da dietro l’albero che l’assassino ha sparato”, pensa mentre viene distratto da una voce di richiamo: è il padre della vittima che gli fa segno di raggiungerlo a casa.
– Ho pensato per tutta la notte – esordisce – e c’è un’altra persona che aveva dei motivi di risentimento non contro la mia famiglia in generale, ma nei confronti di mia figlia in particolare. Si chiama Giovanni Pulice e adesso vi spiego anche perché penso questo.
Leonardo Porco comincia a raccontare come, tre anni prima, Giovanni Pulice, cinquantasette anni, appena tornato dall’America si fosse messo a corteggiare Angelina, riuscendo poi a sverginarla e ad iniziare una relazione dalla quale nacque una bambina, che sua moglie consegnò clandestinamente alla levatrice Annunziata Cicognani, della quale fornisce anche un biglietto da visita, ma non sanno che fine abbia fatto la bambina (In seguito sarà accertato che la levatrice affidò la bambina a tale Giovannina Chiappetta dicendole di portarla a Fuscaldo presso la levatrice Italia Mazzei, che a sua volta avrebbe dovuto consegnarla alla madre. La Cicognani mi consegnò pure £ 110, cioè lire cento per la Mazzei, che detti a costei insieme alla neonata, e lire dieci per me, come compenso del favore che prestavo. Non mi si disse nemmeno a chi la neonata fosse figlia. Son solita collocare a balia dei piccoli neonati, e per ragioni facili a comprendere e cioè perché niente si sappia della paternità o maternità degli stessi, appunto per non fare della pubblicità disonorevole a me non dicono proprio nulla, né io faccio al riguardo domanda alcuna. NdA). Pulice, quasi ogni giorno, passava vicino alla casa dei Porco e fischiava: era il segnale che Angelina doveva uscire per soddisfare le voglie dell’amante. Quando, nei primi giorni del 1910, il sarto Agostino De Giovanni andò ad abitare in casa loro, ignaro della tresca tra Pulice e Angelina, subito cominciò a corteggiare la ragazza e si arrivò presto al fidanzamento e alla fissazione della data del matrimonio. Ovviamente Angelina cessò la relazione con Giovanni Pulice e cominciarono i guai. L’amante tradito cominciò a perdere la testa e, il sette aprile di ritorno da Figline, passò davanti alla casa colonica dei Porco e incontrò Angelina e Agostino, minacciando di morte quest’ultimo: Ancora mi sei davanti, se gli occhi miei fossero due fucili ti si divacherebbero addosso adesso. Tu non devi sposare Angelina perché te ne sei scappato con una giovane del tuo paese. Io non sono un fessa come Leonardo Porco, ho del denaro in tasca, ti vengo a prendere anche sotto le cosce di tua madre e sotto le cosce della Madonna e la vedremo a chi più puzza il fiato, gli disse schiaffeggiandolo. Poi rivolse le sue attenzioni alla ex amante e le tirò due calci dicendole: Porca fottuta! Inoltre, continua a raccontare Leonardo, nel pomeriggio del tragico giorno Pulice è stato visto aggirarsi armato nei pressi della sua casa colonica.
Per il Vicebrigadiere ci sono elementi sufficienti per mettere in stato di fermo Giovanni Pulice e chiedere un mandato di perquisizione. Mentre i carabinieri mettono i ferri ai polsi del contadino, la moglie di questi e i suoi nove figli assistono alla perquisizione che porta al sequestro di una doppietta a retrocarica con otto cartucce, un fucile a una canna sistema Rifle, un fucile ad avancarica guasto a due canne, una rivoltella inservibile a cinque colpi.
Interrogato dal Pretore mandamentale, Giovanni fornisce la sua versione dei fatti.
– Sono cugino di Leonardo Porco: mio padre e sua madre erano fratello e sorella. Nel 1885 mio fratello Vincenzo ha sposato Rosa la sorella di Leonardo, nostra cugina carnale, che lasciò quasi subito il marito per vivere in concubinato con uno di Figline. Emigrai negli Stati Uniti nel 1892, rientrai al paese il 16 ottobre 1894 e non vedevo di buon occhio Leonardo il quale continuava ad avere rapporti affettuosi con la sorella nonostante la sua condotta riprovevole e anche perché mio cugino è un pessimo soggetto che ha riportato diverse condanne. In paese gira la voce circa l’esistenza di una relazione incestuosa tra Leonardo e la buonanima della figlia Angelina, ma io non ho prove per confermare la voce. Quella dei Porco, comunque, è una famiglia disgraziata perché un altro figlio fu ammazzato e una figlia fa la mantenuta di un caffettiere di Cosenza in Via dei Martiri. Ovviamente è falso che io avessi una relazione con la povera ragazza, dalla quale sarebbe nata una bambina. Ho sentito dire che nel 1907 Angelina avrebbe abortito ma non saprei dire chi la mise incinta. Sono assolutamente innocente perché non avrei avuto nessuna ragione per uccidere la ragazza.
– Tutto in famiglia, vedo – ironizza il Pretore. Poi gli chiede con tono duro – Come avete passato la giornata del 29 maggio?
– Era domenica. – specifica Giovanni – La mattina presto mi è venuto a trovare mio genero che poi è uscito con l’altra mia figlia per andare alla messa alla chiesa di San Leonardo nella frazione Corte. Verso le nove sono andato a Figline armato di fucile, per il quale ho un regolare permesso. Ci sono rimasto un’oretta per fare visita a un mio compare ferito da una coltellata infertagli dal cocchiere del Sindaco di Figline. A mezzogiorno mi ha invitato a pranzo un altro mio compare che fa lo sportaio, Nino Oranges. Verso le due di pomeriggio mi sono incamminato per tornare a casa e ho impiegato circa un’ora e un quarto. Poco distante da casa mi ha incontrato un vicino, Raffaele Crocco, col quale ho scambiato qualche parola e alle quattro ero a casa. Ho tolto l’abito della festa, ho posato il fucile e sono andato a pascolare delle capre in un fondo vicino. Verso le sei ho preso la strada del ritorno adagio adagio e sono rincasato poco prima delle sette e non sono più uscito. Verso le nove ci siamo coricati tutti. Riguardo alle accuse del fidanzato della disgraziata Angelina, dovete sapere che ha motivi di risentimento nei miei confronti perché quando nel gennaio scorso si sposò mia figlia Chiara non gli feci confezionare gli abiti per la cerimonia e li feci confezionare a un altro sarto pagando centoventilire. Inoltre so che il giovane De Giovanni è dovuto scappare dal suo paese, Spezzano Albanese, per aver sedotto una ragazza. Le accuse di Leonardo lasciano il tempo che trovano… lui è uno che entra ed esce dalla galera e anche la moglie è stata al fresco… vi rivelo un’altra cosa – continua – chiedete a Leonardo come mai ieri è tornato a casa cinque minuti dopo l’omicidio, mentre rientra sempre a notte inoltrata? Signor Giudice, io sono innocente, fatemi tornare a casa…
Ma il giudice non gli crede. Non gli crede non solo per le testimonianze che, man mano, confermano la sua relazione con la povera Angelina, ma soprattutto perché la perizia immediatamente fatta eseguire sulla sua doppietta stabilisce che da una delle due canne è stato esploso un colpo da pochissimi giorni e lui ha affermato di non sparare ormai da molto tempo. Viene anche disposta una perizia sul piombo delle cartucce sequestrategli e su quello estratto dal corpo della vittima ma la relazione è carente e ne viene ordinata un’altra che, al contrario, stabilisce una forte compatibilità tra i proiettili.
Pulice si mostra insicuro anche nel corso dei confronti con il fidanzato di Angelina e con i genitori della ragazza. Alle accuse circostanziate che i tre gli muovono si limita a rispondere che sono tutte falsità e che lui è assolutamente innocente.
La posizione dell’indagato è fortemente compromessa dalla testimonianza di Francesco Covello che avrebbe dovuto, al contrario, scagionarlo:
Sul tramonto del 29 maggio 1910 vidi Giovanni Pulice intento a pascolare delle pecore nel fondo Cotura che è accanto al fondo Tre Capelli.
I giudici ritengono falsa o quantomeno contraddittoria l’affermazione di Covello perché Pulice afferma di essere rientrato a casa dal pascolo intorno alle 18,00, mentre il tramonto, il 29 maggio, è intorno alle 19,50,  più o meno l’ora del delitto.
C’è anche la testimonianza del quindicenne fratello della vittima, Pasquale, il quale giura di avere visto Pulice aggirarsi armato nei pressi della loro casa verso le 16,00 e di avere parlato con lui:
– Mi ha chiesto di Angelina e mi ha regalato mezzo sigaro, poi mi ha detto: Guarda che bei lupini, se uno si nascondesse qui dentro voi non lo vedreste.
E, guarda caso, l’assassino si è nascosto proprio nel campo coltivato a lupini.
Nel corso degli altri tre interrogatori a cui è sottoposto, non fa altro che ribadire la sua innocenza, accusando dell’omicidio il padre e il fratello di Angelina, Luigi, che l’avrebbero uccisa sia per nascondere la relazione incestuosa, sia per lavare il disonore che la ragazza avrebbe portato mettendo alla luce la bambina poi abbandonata, probabile frutto della relazione tra padre e figlia.
Ma, scrive il giudice contestando queste affermazioni, non avevano interesse e ragione ad ucciderla il padre né il fratello, dappoichè se avessero voluto sopprimere chi aveva portato l’onta del disonore nella loro casa, ciò l’avrebbero fatto prima e non quando la loro figlia e sorella rispettiva doveva passare a nozze, riabilitandosi indi, di un triste passato davanti l’opinione pubblica. Ma il padre accompagnò financo la moglie presso la levatrice Cicognani tre anni prima onde fare scomparire le tracce del disonore della loro figlia e quindi non poteva sopprimerla dopo tanto tempo. Continuando nella sua relazione, il giudice scagiona completamente il padre e il fratello della vittima, fugando così i sospetti insinuati da Pulice: Oltre a ciò nel momento in cui avveniva il delitto Leonardo Porco e il di lui figlio Luigi si trovavano, il primo nella frazione Agosto distante un’ora dal luogo dell’avvenuto delitto, il secondo si trovava in contrada Andrisano, molto distante, presso la zia Martino Rosa.
Ma, se non fosse stato Giovanni Pulice, potrebbe essere che a uccidere Angelina sia stato il suo fidanzato che, scoperta la tresca tra la ragazza e Pulice, ha deciso di salvare il suo onore. il Giudice smonta anche questa ipotesi: Tale ipotesi deve assolutamente escludersi: egli era libero di allontanarsi dalla sua fidanzata alla quale era legato se non da un forte e sincero affetto e ciò a causa della sua bellezza, dalla quale era stato preso; mai aveva abusato della sua fidanzata e, abitando nella stessa casa, dormivano in stanze separate perché esso non dubitò affatto dell’onestà dell’Angelina Porco. Il De Giovanni ha inoltre pure dei precedenti morali ottimi, essendo un’invenzione la circostanza che egli, dal suo paese di Spezzano Albanese, era dovuto fuggire per aver sedotto una ragazza, messa in circolazione solamente dall’imputato Pulice per fare allontanare il De Giovanni dalla casa dell’Angelina e quindi scongiurare il pericolo che costei fosse sottratta alle sue voglie. [De Giovanni] Non poteva pensare lontanamente ad ucciderla e poi nel momento del delitto esso si trovava nell’interno della casa colonica insieme colla Maida Carolina, madre dell’Angelina.
Anche la sua ostinazione a negare la relazione con la vittima è confutata dal Giudice attraverso il mancato matrimonio di un fratello di Angelina con una ragazza del paese e tra la stessa ragazza con Michele De Francesco, all’inizio indicato come possibile autore dell’omicidio, per via della non buona condotta serbata dalla Porco Angelina, la quale, si sussurrava pubblicamente nell’agro di Aprigliano, aveva relazioni intime con Pulice Giovanni ed aveva partorito.
A questo punto, per Pulice non può che essere chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio per omicidio premeditato.
Nel processo, gli avvocati Pietro Cosentini e Nicola Serra, difensori di Pulice, puntano tutto sulla scarsa moralità della famiglia di Angelina: il padre ha riportato varie condanne per associazione a delinquere e reati contro il patrimonio, la madre è stata condannata per ricettazione.
Ma perché, chiede il Presidente della Corte a Leonardo Porco, non ha denunciato Pulice per la relazione con sua figlia?
Perché so, per averla provata, com’è dura la galera e sono passato sopra al disonore che Pulice mi ha portato
Ahi! Attenzione!
Quando viene fatto sedere al banco dei testimoni Agostino De Giovanni, nell’aula comincia a scendere il gelo.
I Porco volevano che io mantenessi sempre la prima deposizione. Volevano ancora ch’io dicessi cose contrarie alla verità, come per esempio l’aver visto quella sera il Pulice sparare contro la Porco perché così, a dir loro, non erano bisognevoli altre prove, ma io mi rifiutai.
E man mano che i testimoni sfilano le cose per l’accusa si complicano.
In paese si diceva pure che la Porco Angelina fosse in relazioni illecite anche col padre.
Mai ho inteso dire che Pulice se la intendesse con l’Angelina. Egli è buon padre di famiglia.
La strategia difensiva comincia a dimostrarsi efficace e ad un certo punto pare che ad accusare Giovanni Pulice dell’omicidio di Angelina restino solo i familiari della povera ragazza e il processo contro Pulice si avvia a diventare il processo contro la famiglia Porco, finché il 2 novembre 1911, giorno dei morti, il Presidente della Corte, cav. Michelangelo Dall’Oglio, davanti al nulla del dibattimento deve mandare assolto Giovanni Pulice dall’accusa di essere l’omicida della ragazza.[1]
L’incapacità ha ucciso Angelina per la seconda volta.

 

[1] ASCS, Processi Penali.

1 commento

  1. QUESTO PROVA CHE LA MIA CONVINZIONE E' GIUSTA…SULLA TERRA NON ESISTE NESSUNA FORMA DI GIUSTIZIA CHE FUNZIONI VERAMENTE. IERI COME OGGI!

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