IL SODOMITA

– Io vado alla cantina, quando è ora chiudi e portami la chiave – dice Giuseppe Reale, ventottenne calzolaio di Acri al suo apprendista più grande, il quindicenne Nicola Parise. Nella calzoleria oltre a Nicola ci sono altri due apprendisti. Luigi Fiorito di quasi sei anni e Luigi Gallo, che di anni ne ha nove. È il primo pomeriggio del 23 gennaio 1906, fa freddo e sta per nevicare ancora.
Nella calzoleria c’è un ancora po’ di fuoco nel braciere ma non basta a mitigare la temperatura e i tre apprendisti si danno da fare per finire i lavori che il maestro ha affidato loro e tornarsene a casa. Quando la campana della chiesa suona l’Avemaria, Luigi Gallo scatta come una molla, saluta i compagni e se ne va.
– Posso andarmene pure io? – chiede il piccolo Luigi Fiorito a Nicola.
– No, aspetta un po’ che mi devi aiutare a fare una cosa – e così dicendo si avvicina alla porta della bottega e la chiude col maschio interno, poi si avvicina al bambino – abbassati i pantaloni…
– E perché?
– Perché te lo dico io! – gli fa in tono minaccioso prendendo un trincetto dal banchetto.
– Ma…
– Abbassateli e stai calmo, se fai il bravo non ti faccio niente – Luigi ubbidisce, intimorito dal trincetto che Nicola stringe in mano mentre pensa subito agli strani discorsi che ha ascoltato tra Nicola e un altro ragazzo più grande su quelle cose che si fanno tra maschi e femmine e anche tra maschi e maschi  – adesso piegati sul tavolino – continua a ordinare mentre si abbassa i pantaloni. Luigi guarda Nicola e il trincetto con terrore, poi si piega sul tavolino tremando. Quando vede il membro grosso grosso del compagno capisce. Vorrebbe alzarsi e correre via ma le mani forti di Nicola lo bloccano sul tavolo mentre il trincetto gli sfiora il collo.
– Ahi! – urla Luigi quando Nicola cerca di penetrarlo.
– Stai zitto e fermo che poi ti piacerà – gli risponde con voce roca.
– Basta! Mi fai male!
– Zitto che è meglio per te! Cerca di premerti e fai come se cacassi… – continua a incitarlo mentre spinge contro di lui il suo membro. Poi riesce nel suo intento, lacerando il bambino – hai visto? È stato facile… ti è piaciuto?
– Mi hai fatto male, sei un cretino! – gli dice tra le lacrime.
– Bada a come parli, anzi, non parlare proprio! Non parlare con nessuno, hai capito? – gli intima dandogli un manrovescio.
È buio pesto quando il piccolo Luigi torna a casa. La mamma sta sfaccendando in cucina, il papà, che gestisce la cantina sotto casa, ancora non è arrivato.
– Che hai? – gli chiede notando l’espressione grave del figlio che cammina male tenendosi una mano sul culetto.
– Mi brucia… mi brucia assai…
– Resisti un po’ che quando vai a letto ti ci metto un po’ di cipria – gli risponde ignara la mamma, pensando a una semplice irritazione.
Ma quando si avvicina al bambino con la bustina di borotalco vede il sangue raggrumato e resta di stucco.
– Che ti è successo?
– Non lo so… mi fa male…
– Tra poco viene tuo padre e vedrà lui cosa fare.
Quando Giovanni, il papà, osserva la lacerazione capisce subito ciò che è successo. Guarda la moglie, che gli fa cenno di aver capito anche lei, poi si rivolge al figlio.
– Chi è stato?
Luigi si mette a piangere ma non parla e non c’è verso di fargli aprire bocca. I genitori decidono che è meglio farlo riposare e riparlarne la mattina dopo, quando chiameranno anche il medico per farlo visitare.
– Dai, bello di papà, non succede niente, ci siamo io e tua madre a proteggerti… dicci chi è stato e ti facciamo un regalo – dopo varie insistenze e blandizie, finalmente Luigi cede e racconta tutto.
Giovanni vorrebbe correre alla calzoleria e spaccare la faccia a Nicola, ma tiene a freno l’impulso della vendetta e dopo che il medico gli rilascia il referto, va dai Carabinieri a sporgere querela.
Il Maresciallo Anselmo Taddia, prima di andare a prendere Nicola, vuole sentire con le proprie orecchie il racconto di Luigi e lo interroga. Poi lo porta dal Pretore e gli fa ripetere tutto di sana pianta. Il Pretore convoca d’urgenza il dottor Giuseppe Marchianò e fa visitare nuovamente il bambino.
– Ha una lesione anale lunga circa due centimetri e mezzo, che si estende anche all’interno, interessando anche la mucosa. Le ipotesi sono due: o gli è stato introdotto un oggetto o è stato sodomizzato – sentenzia.
Adesso si che il maresciallo può interrogare il sospetto.
– Non gli ho fatto niente! Ammetto che avrei voluto, ma gliel’ho solo proposto. Lui mi ha detto di no e io ho lasciato perdere.
La parziale ammissione di Nicola dovrebbe bastare per emettere subito un provvedimento restrittivo nei suoi confronti ma passano i giorni, vengono sentiti molti testimoni che non possono sapere nulla perché non presenti al fatto, Giovanni Fiorito sporge querela anche contro il padre di Nicola per gli effetti civili della faccenda e solo il 5 marzo viene spiccato un mandato di comparizione nei confronti sia di Nicola che di suo padre Giovanni Parise.
Il 13 marzo, data fissata per l’interrogatorio dei due, a presentarsi è solo Giovanni Parise che respinge ogni addebito:
Ritengo insussistente il fatto attribuito a mio figlio, ma qualora l’avesse commesso io non posso esserne ritenuto responsabile perché non ho mai trascurato la sua educazione e la sua istruzione, avendogli fatto frequentare tutte e cinque le classi elementari e avendolo poi mandato ad apprendere il mestiere di calzolaio.
Di Nicola si sono perse le tracce e tutte le ricerche fatte sono inutili. No, non si è nascosto nelle vicinanze, è andato molto, molto lontano, Allamerica!
Ma la Giustizia il suo corso deve farlo comunque e Nicola Parise, il 4 agosto 1906, viene rinviato a giudizio per il reato di violenta congiunzione carnale con persona minore degli anni 12 e contro di lui viene anche spiccato un mandato di cattura, ma non si capisce come possa essere eseguito. Il padre, invece, viene prosciolto.
Qualche mese dopo, il 15 febbraio 1907, la Corte d’Assise di Cosenza pronuncia la sentenza di condanna in contumacia nei confronti di Nicola: dodici anni di reclusione, interdizione legale durante l’espiazione della pena, pagamento delle spese processuali e risarcimento della parte lesa.
Aspetta e spera…[1]

 

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