UN TESORO, IL SESSO E SATANA

Filippina Scarpinato abita con suo marito Michele De Stefano a Cosenza, dove gestiscono una locanda a Fontana Nuova ma è praticamente da sola a farlo perché il marito soffre di reumatismi ed è molto spesso bloccato a letto da forti dolori. I due hanno anche un figlio che sta imparando il mestiere di calzolaio da mastro Diego Cavaliere.
La mattina del 17 agosto 1815, mastro Diego si presenta nella locanda e, dopo essersi accertato che ancora non c’è nessun altro all’infuori di Filippina, le si avvicina e le fa segno che deve dirle una cosa importante. Filippina, intenta a pulire il pavimento, lascia lo scopone e si avvicina all’uomo:
– Filippì, ti devo dire una cosa… stanotte ho fatto un sogno – attacca – una cosa che nemmeno t’immagini! – Filippina è curiosa ma non vuole darlo a vedere e fa la seccata.
– Mastro Diego, non ho tempo da perdere per queste stupidaggini, sono in ritardo!
– Ah! Va bene… me ne vado… ma perdi la tua fortuna così! Ti saluto Filippì – gira i tacchi e fa per uscire, ma Filippina lo blocca.
– La mia fortuna? La mia fortuna sarebbe andarmene da questa topaia…
– Ed io ho sognato il modo per farti lasciare questo buco – la invoglia mastro Diego.
– E come farei ad andarmene? – chiede dubbiosa.
– Ho sognato, ma è come se l’avessi visto ad occhi aperti, che nella tua stalla c’è nascosto un tesoro di seimila ducati! Quattromila sono in pezzi d’oro e duemila in argento!
– Cosacosacosa? O Gesummaria! Raccontami tutto, dov’è?
– Calma, calma. Le cose devono essere fatte come vuole il sogno.
– Dai, racconta! – Filippina ormai pende dalle labbra di mastro Diego. Il miraggio di quella cifra enorme le ha fatto scordare tutte le sue faccende. La vita sta per cambiare.
– Allora… dobbiamo portare un teschio umano e due candele…
– Ohi mammamia! – lo interrompe Filippina.
– … due candele – continua mastro Diego guardandola severamente – poi quello che dovremo fare te lo dirò stanotte, perché la cosa la dobbiamo fare stanotte…
– E come faccio? Mio marito, mio figlio… non posso uscire, se se ne accorge mi ammazza!
– Va bene, come non detto… tu ed io perderemo il tesoro, pazienza…
– Ma che perderemo e perderemo! Ti va bene se la cosa la facciamo a tre ore di notte? (circa le 23,00. nda)
A quell’ora dormiranno e non si sveglieranno, se non faremo rumore.
– D’accordo, a tre ore di notte nella stalla. Lascia la porta socchiusa – salutandola con un cenno del capo, mastro Diego se ne va.
Filippina sa che i cardini della porta della stalla cigolano e per non rischiare niente, durante la giornata, con la scusa di mettere l’acqua al mulo, li unge con un po’ di grasso. Nessuno sentirà niente, prenderà la sua parte del tesoro e addio al marito vecchio e al figlio. Il suo posto è tra i signori, non in quella bettola!
Pochi minuti prima dell’ora stabilita, Filippina si alza furtivamente dal letto ed al buio scende le scale, entra nella locanda e apre la porta esterna. Il marito russa placidamente e fuori non c’è nessuno. Sblocca il gancio che chiude la porta della stalla, entra e aspetta con trepidazione. Il rumore felpato di passi che si avvicinano le fa saltare il cuore in gola. Sarà mastro Diego?
I passi si fermano davanti alla porta e sente il suo nome pronunciato come un alito di vento. Si, è lui, poi la porta si apre un poco e mastro Diego entra con un fagotto sotto il braccio.
Le scintille dell’acciarino rischiarano per un attimo l’interno, poi la flebile fiammella di una candela disegna ombre terrificanti sul volto dell’uomo. Filippina sta per gridare terrorizzata, ma la luce di un’altra candela attenua le ombre e, sebbene col cuore in gola, si tranquillizza. Mastro Diego dà un’occhiata in giro, poi fa segno di seguirlo in un angolo della stanza. Si ferma, le porge le candele e tira fuori dall’involto un teschio, lo posa per terra e fa segno a Filippina di piantarci ai lati le candele. L’effetto è davvero terrificante e Filippina si copre gli occhi per non guardare, poi si avvicina all’orecchio dell’uomo e sussurra
– E adesso? 
– Ci dobbiamo spogliare – risponde con un sibilo mentre comincia a togliersi gli abiti.
– Cosa? – Filippina è perplessa – non se ne parla nemmeno!
– Li vuoi o non li vuoi sti cazzi di soldi? Muoviti che non abbiamo tempo!
Filippina questa volta ubbidisce e si toglie i vestiti, lasciandosi addosso solo la sottanina. Mastro Diego si mette a pronunciare parole incomprensibili e a fare gesti da pazzo, poi le si avvicina e le dice:
– Lo spirito vuole che dobbiamo giacere insieme, solo dopo il tesoro apparirà ai nostri occhi…
– Mai! Al mio onore ci tengo più che al tesoro!
Mastro Diego non fa una piega. Si riveste, riprende il teschio, spegne la prima candela e la ripone, poi prende la seconda e senza dire una parola si avvia alla porta, spegne anche quella candela e sparisce nella notte.
Anche Filippina si riveste. È delusa. A testa bassa rientra in casa e si rimette a letto accanto al marito che continua a russare placidamente.
Passano i giorni e i due si rivedono spesso ma nessuno accenna più a quella notte, fino al 21 settembre.
– Buongiorno Filippì – esordisce come se niente fosse successo.
– Buongiorno, evitiamo quel discorso – lo tronca.
– Fatti dire una sola cosa, ti conviene… ho trovato un altro modo, senza copulare…
– Sentiamo… – gli occhi di Filippina, spenti ormai da un mese, si riaccendono.
– Dovresti metterne a conoscenza altre due donne, poi le regali qualcosa, e con loro due devi passare tre notti consecutive nella stalla tenendo il teschio e una candela accesa vicini alla porta socchiusa ed eseguire gli ordini che lo spirito ti impartirà.
– Così va bene, lo dirò a Maddalena Astorino e Aquilina Bruno. Torna domani che ti darò risposta.
Le due donne, dopo aver ricevuto la promessa di un compenso, accettano e, istruite da mastro Diego, a mezzanotte tutte e tre entrano nella stalla e cominciano l’attesa dello spirito, ma invece dello spirito si presenta sulla porta il marito di Filippina che, ignaro di tutto, appena vede il teschio per poco non ci rimane secco, poi si incazza di brutto, caccia le due donne e fa rientrare in casa la moglie, accompagnandola con una sequela di male parole.
– Allora? – le chiede mastro Diego con circospezione.
– Lasciamo stare che ieri notte mio marito si è svegliato, non mi ha trovata nel letto ed è venuto nella stalla… O gesummaria! Per poco non mi ammazza e poi si voleva mettere a gridare che sono una strega! Io voglio trovare questo benedetto tesoro, ma se ci devo rimettere la pelle, meglio povera che morta!
– Provaci stanotte da sola.. vedrai che ti apparirà una persona alla quale dovrai consegnare una moneta da nove cavalli… (sottomultiplo del ducato, che era diviso in 10 carlini. ciascun carlino in 10 grana, ciascun grana in 10 tornesi e ciascun tornese in 10 cavalli. Nda)
Anche stavolta, con ostinazione e sfidando le ire del marito, Filippina scende nella stalla. Aspetta più di un’ora pazientemente, poi, scoraggiata, se ne torna a letto. Ripete la stessa operazione anche la notte successiva e quella dopo ancora ma la figura a cui consegnare la moneta non si materializza, così decide di parlare con mastro Diego per porre termine alla ricerca.
– Filippì, abbiamo un’ultima possibilità – cerca di tranquillizzarla – stanotte io e te andremo sotto le Forche ma oltre alle candele e al teschio dobbiamo portare una pietra sacra.
– D’accordo! Proviamo anche questa – risponde con entusiasmo.
Prima che il sole tramonti, mastro Diego si presenta alla locanda col suo fagotto sulle spalle. Filippina gli fa segno di aspettare fuori, va a controllare che il marito stia dormendo sotto l’effetto di un infuso di erbe selvatiche che gli ha fatto trangugiare con la scusa di lenirgli i dolori reumatici, lascia l’incarico di badare alla locanda alla domestica e si incammina qualche passo indietro rispetto a mastro Diego.
Filippina questa volta è pronta a tutto pur di risolvere la questione e quando, giunti sotto le Forche, il suo compagno le dice che deve denudarsi la gamba sinistra e con quella pestare la pietra sacra pronunciando orribili bestemmie, non ci trova niente di strano e, tirandosi su la gonna la arrotola quasi fino all’anca, comincia la danza diabolica.
– Continua Filippì, continua, ho visto un lampo nel cielo sereno e sento dei rumori mai sentiti prima, questi sono i primi segni! – la incita, tutto eccitato.
Dopo un po’ la fa smettere dicendole che avrebbe dovuto ripetere la stessa danza in un altro posto e la porta davanti la chiesa del monastero dei Padri Riformati e lì Filippina ripete la stregoneria, accompagnando la danza con le orribili bestemmie che mastro Diego le ha detto di pronunciare.
– Basta! Basta! – la interrompe – mi è arrivato il segno che il tesoro è già nella stalla e dobbiamo andare a prenderlo!
Filippina, ansante per la danza forsennata, sorride, tira un lungo sospiro di sollievo, rimette a posto la gonna e i due si incamminano a ritroso verso la locanda ma, giunti davanti alla Croce della Riforma, proprio accanto ad una vecchia cappella diroccata, mastro Diego si ferma.
– Vado a buttare il teschio e la pietra là dentro – le dice mentre sparisce nel buio.
Filippina aspetta qualche secondo, poi fa per seguire mastro Diego ma, come fantasmi, dai lati della cappella si materializzano due figure. Una è armata con  un fucile a tracolla e un coltellaccio in mano, l’altra con un grosso bastone. È terrorizzata quando li riconosce: Francesco Nigro e Bruno Acri, due clienti della sua locanda!
I due l’afferrano per le braccia e la trascinano verso la cappella.
– Cammina, puttana! Vieni che te lo diamo noi il tesoro, brutta porca!
La buttano a terra e Nigro la colpisce ripetute volte col calcio del fucile nelle costole, togliendole il respiro, mentre Acri sfodera dal grosso bastone una lama e le infilza il piede sinistro. Filippina si dibatte ma i colpi le tolgono ben presto ogni forza e i due la buttano per terra nella cappella, dove mastro Diego sta aspettando con un ghigno mefistofelico sulle labbra.
– Aiutami – lo supplica Filippina, ma quello le fa scintillare davanti agli occhi la lama del suo coltellaccio col quale le taglia in due i vestiti e le salta sopra.
È il primo a violentarla brutalmente mentre gli altri due la tengono ferma. Poi si danno il cambio per ore, continuando nel frattempo a seviziarla con le lame dei coltelli. Quando hanno finito il loro divertimento, mastro Diego sparisce nel nulla mentre gli altri due la sollevano e la trascinano davanti alla porta della locanda, lasciandola lì come uno straccio vecchio. Lei, dopo un po’, trova la forza di emettere quello che le sembra un grido di aiuto ma che è solo una flebile voce. La domestica, appisolata su di una sedia nella locanda, la sente e la soccorre.
Quando si risveglia, al suo capezzale c’è il marito armato di un coltello.
– Ammazzami! – gli dice quasi piangendo.
– Che è successo? – le chiede il marito, furente.
Filippina gli racconta tutta la storia e il marito, credendo alle sue ragioni, abbandona il proposito di vendicarsi e decidono di denunciare i tre aggressori.
Dopo un po’ di giorni Filippina viene accompagnata nella cappella sconsacrata per un sopralluogo e il giudice reperta un mattone, che lei riconosce come la pietra sacra, e tre pezzi di teschio umano. Poi viene sottoposta a visita e il medico le riscontra delle ecchimosi in via di guarigione e una piccola ferita sul piede, a forma di stella. Vengono interrogate le due donne che Filippina aveva chiamato per assisterla nel rito, le quali confermano di aver visto il teschio ma aggiungono che di Filippina non c’è da fidarsi perché da giovane ha fatto la puttana.
In ogni caso qualche riscontro c’è e il giudice fa arrestare i tre uomini, che ovviamente si dicono estranei alla faccenda. Poi si presenta al giudice la moglie di mastro Diego la quale sostiene di aver saputo dalla domestica di Filippina che il famoso teschio non le fu dato dal marito ma da un certo Giuseppe Anselmo, meglio conosciuto come Grancascia e che fu Filippina a suggerire alla domestica di fare il nome di mastro Diego. Aggiunge anche che Filippina si arrabbiò molto quando venne a sapere che la domestica aveva rivelato queste cose.
Il giudice chiama la domestica che conferma il nome di Giuseppe Anselmo, salvo poi ritrattare qualche giorno dopo dicendo che si era imbrogliata perché costui era nella locanda quando mastro Diego diede il teschio a Filippina e aveva fatto confusione. Viene chiamato anche Grancascia il quale rivela di aver subito pressioni dalle famiglie di Acri e Nigro perché si adoperasse con Filippina per farle dire che non li aveva riconosciuti ma lei rifiutò di assecondare questa richiesta.
Le cose adesso dovrebbero essere chiare ed evidenti, ma Filippina ha un grande torto: il suo passato di prostituta che l’ha portata, per avidità, ad accettare appuntamenti notturni con un uomo, abbandonando il letto maritale. Ci sono poi altri elementi logici secondo il giudice: la mancata vendetta del marito e, soprattutto, il fatto che mastro Diego non avrebbe avuto bisogno di organizzare tutta quella messa in scena per fare sesso con Filippina dal momento che aveva accettato gli appuntamenti notturni.
Filippina quindi non è credibile e i tre imputati vengono assolti per non aver commesso il fatto.[1]


I CAMINANTI-Quando gli zingari rubavano galline

[1]ASCS, Gran Corte Criminale.

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