A ME IL CARCERE MI PIACE

Benedetto Silvagni è un giovane possidente di Grimaldi e si è invaghito di una contadina, Carmelina Conci. Ha un carattere chiuso e qualche volta dice di volersi suicidare, per questo i genitori vanno a parlare con Carmelina e la convincono ad andare ad abitare nella loro casa. È la fine dell’estate del 1909. La ragazza, così, viene spinta tra le lenzuola di Benedetto e inizia tra loro una relazione che rende incinta Carmelina. Sembra che le cose vadano proprio bene, Benedetto si è tranquillizzato, anche se per gioco, quando fanno l’amore continua a ripetere che vuole ammazzarsi. Carmelina è un po’ preoccupata per questo e nasconde sotto il materasso la rivoltella che l’amante le mostra.

A dicembre, però, Benedetto si trasferisce a Cosenza e la ragazza rimane in paese. Lui le scrive accoratamente di seguirlo in città ma Carmelina rifiuta. Infuriato, Benedetto la caccia di casa in malo modo e la ragazza, senza fare questioni, senza chiedere un soldo per il frutto che porta in grembo, se ne torna in campagna.
Ma Benedetto è tormentato dalla fine della relazione e non sa darsi pace, manda continuamente imbasciate alla ragazza ma lei non ne vuole più sapere, poi, il 30 gennaio 1910, mentre torna a casa con una parente, Benedetto trova una busta sotto il portone. La apre e legge:
A te ho tiranno ingrato e core di marmo penza che mi hai abbandonato e mi ai minato nell’abbisso!!!
Ora o mi ricogli o pure sono determinata di ucciderti.
Io non deposi la tua rivoltella sotto il matarazzo per ucciderti ma bensì per qualche spirito informe che mi vacillò per il cervello.
Sappi che oggi o domani io mi vendicherò
La tua nemica Carmela Conci.
Va dai Carabinieri e sporge querela contro Carmelina che viene interrogata e nega decisamente di essere l’autrice della lettera. I militari si rendono subito conto che sta dicendo la verità quando lei firma il verbale. La firma è
completamente diversa!
A questo punto Carmelina, convinta che solo Benedetto può aver scritto quella lettera per il particolare della rivoltella nascosta sotto il materasso, sporge querela contro l’ex amante che, a sua volta, respinge le accuse e conferma la sua querela.
Evidentemente l’anonimo scrittore non è contento e, il 6 febbraio, fa recapitare una lettera al Pretore di Grimaldi:
Signore Pretore
Vi prego di chiamare allo assasino e scelerato e tiranno Don Benedetto che mi pentisse la quarela cha si no per la madonna fimmina e bona lo fazzo pezzi pezzi come già sono determinato affarlo perché mi ha minato allo abisso ed è meglio che Don Benedetto lo sappia. Io sono bandonata di tutti quindi il carcere mi piace. La notte a me mi piace accamminare per il paese. Il suo poltone io lo saccio bene come pure mia zia Maria e del stesso penzare.
Vi saluto e sono vostra serva
Carmela Conci
Ma questa volta il carattere è diverso dalla prima lettera. Carmelina viene convocata di nuovo in Pretura e anche il magistrato si convince della sua innocenza. Convoca Benedetto, gli fa scrivere delle frasi contenute nelle due lettere e affida l’incarico di confrontare le grafie a un perito.
Ci vogliono 35 pagine scritte fitte fitte ma alla fine il risultato è che l’anonimo scrittore è proprio lui! Il Pretore, indispettito per quella massa in scena, lo rinvia a giudizio.
Il capriccio costerà a Benedetto dieci mesi di reclusione, il pagamento delle spese processuali e il risarcimento del danno a Carmelina.
Corte d’Appello e Cassazione confermeranno la sentenza.[1]

 

[1] ASCS, Processi Penali

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