DUE UOMINI SOTTO IL LETTO

Filippo Morrone è di Pedace, ha 17 anni ed è apprendista fabbro nella bottega di Francesco Mancuso a Cribari, frazione del Comune di Trenta. Il 26 maggio 1906, tornato in paese dopo la giornata di lavoro, va nella cantina di Cesare De Donato e, dopo aver chiacchierato un po’, gli fa:

– Ho trovato una ragazza a Cribari e con lei, da circa due mesi, sto avendo rapporti carnali. Vuoi venire con me stasera e ce la facciamo insieme?

– E ci sta sicuro?

– Tu vieni e non ti preoccupare – termina facendogli l’occhiolino.

Chiusa la cantina allo scoccare dell’Avemaria, i due amici si avviano verso Cribari e fanno un giro largo perché è ancora presto e in giro potrebbe esserci gente.

Adesso è buio pesto, sono circa le 21,00, i due passano davanti alla casa della ragazza e la vedono dietro gli scuri semi chiusi. Lei, riconosciutili, fa un cenno col fazzoletto. È il segnale di via libera. Filippo e Cesare però non possono entrare dal portone di casa, che è proprio sulla via principale del paese, e facendo un largo giro attraverso qualche orto arrivano davanti alla porta sul retro della casa della ragazza. Filippo gratta con le unghie sul legno del portoncino e subito dopo questo si apre e un lumino illumina la figura della ragazza.

– Lui è Cesare e lei è Ernestina – dice Filippo per presentarli.

– Non facciamo rumore perché mio fratello Paolino sta dormendo – sussurra Ernestina e tutti e tre, in punta di piedi salgono le scale che portano all’abitazione. Entrano in una stanza con un letto matrimoniale, sorridendo si spogliano e cominciano a baciarsi e accarezzarsi, poi si stendono sul letto e spengono il lumino.

Raffaele Mancuso, sessantatreenne possidente di Cribari, nonché Sindaco di Trenta, è vedovo e ha sei figli, dei quali quattro maggiorenni, che sono sparsi per il mondo, e due minorenni, Ernestina e Paolino, che vivono in casa con lui. Il 25 maggio 1906 va a Frascineto dove il giorno dopo sposerà in seconde nozze una donna del posto. La mattina del 26, però, per un documento mancante le nozze non si possono fare e Raffaele, contrariamente a quanto detto ai figli, si mette subito sulla via del ritorno. Va a piedi a Sibari per prendere il treno che lo lascerà a Cosenza alle 21,40 e da qui, a piedi, prosegue per Cribari, dove arriva verso la mezzanotte.

Il portone di casa è chiuso dall’interno e Raffaele bussa ripetutamente, ma nessuno va ad aprire e allora si mette a picchiare violentemente sul portone e chiama a gran voce i figli Ernestina e Paolino. Niente. Passano quasi dieci minuti e poi, tutto assonnato, Paolino apre il portone.

– Dov’è tua sorella? – gli fa, visibilmente irritato.

Sta dormendo nell’altra stanza, ha detto che voleva dormire da sola e non con me come avevi detto tu… – Raffaele entra in casa al buio e Paolino continua – scusami se non ho potuto fare luce perché il lumino è morto

Il padre accende alcuni fiammiferi, prende un lucignolo di rame, lo accende e guarda su per le scale, meravigliandosi del fatto che Ernestina ancora non si sia fatta viva. Che le sia accaduta qualcosa? Con questo timore Raffaele comincia a salire su per le scale.

Ai primi colpi dati al portone, Ernestina, Filippo e Cesare sono ancora aggrovigliati e sobbalzano. Chi mai può essere? Meglio restare in silenzio. Quando Raffaele comincia ad urlare, Ernestina ha una specie di mancamento e i due giovani sono terrorizzati.

– Papà! – esclama Ernestina con voce strozzata, mettendosi le mani sul viso.

– E ora? Come facciamo a scappare?

– Boh!?

I colpi alla porta e le urla sono sempre più forti, poi il cigolio della porta della stanza dove dorme Paolino, i passi affrettati nel corridoio e il rumore dei piedi che scendono le scale. I due, presi dal panico, senza nemmeno raccogliere i vestiti buttati sopra una sedia, nudi come sono si nascondono sotto al letto, mentre Ernestina in fretta e furia indossa una camicia da notte e aspetta immobile.

Il padre arriva davanti alla porta della stanza dove è la figlia e gira il pomolo, ma la porta è chiusa dall’interno e non si apre. Bussa con violenza e chiama la figlia, senza tuttavia ottenere risposta. Sicuramente le è venuto un accidente, pensa, e comincia a scuotere con violenza la porta per aprirla finché non cede. Entra e, alla fioca luce del lucignolo, vede Ernestina seduta sul letto, immobile e muta.

– Perché non sei venuta ad aprire il portone? Mi hai fatto prendere un colpo…

Sono stata presa dal sonno e non ho sentito

Un debole e strano rumore sembra venire da sotto il letto.

– Chi c’è? Chi siete? – dice, sospettando che qualcuno sia entrato in casa con brutte intenzioni. Nessuna risposta. Temendo il peggio, Raffaele corre nella sua stanza da letto, prende la doppietta già carica appesa al muro e torna dalla figlia. Si china col lucignolo in una mano ed il fucile nell’altra, guarda sotto il letto e vede due uomini nudi! – Allora non erano entrati per ragioni di furto, ma per la tresca con te! Per questo sei rimasta insensibile alle mie chiamate! – Si gira e la guarda accecato dall’ira, poi posa il lucignolo a terra, si inginocchia e comincia a colpire alla cieca quelle teste con le canne del fucile e urla – uscite fuori, chi siete?

Raffaele, sempre più furioso, vedendo che i due non rispondono e né escono da sotto il letto, arma i cani del fucile e spara tutti e due i colpi a bruciapelo contro gli sconosciuti. I lampi e i tuoni delle detonazioni sono impressionanti e la stanza è invasa dal fumo e dall’odore acre della polvere da sparo. Ernestina è terrorizzata e capisce che adesso toccherà a lei, così approfitta del momento e, scalza e mezza nuda, scende di corsa le scale, esce nel buio della strada e sparisce. Cessato il rimbombo dei colpi, da sotto il letto arrivano dei lamenti soffocati e poi più nulla. Convinto di averli uccisi, Raffaele si gira e non vede più Ernestina, allora corre a prendere altre due cartucce, ricarica il fucile e si precipita giù per le scale. La ucciderà per il disonore che ha portato nella sua casa. Esce dal portone e guarda a destra e sinistra, ma non la vede, è troppo buia la strada. Fa per attraversare e guardare negli orti sottostanti, ma in questo momento Paolino, uscito anche lui in strada, gli urla:

Papà, uno di quelli di sotto il letto è scappato!

Torna indietro, risale le scale, guarda sotto il letto e adesso c’è un solo uomo che si lamenta. La porta che dà nell’orto è aperta, esce e si mette a girare per scovare il fuggitivo che, sebbene ferito ad un gomito e ad una coscia, sembra essere sparito. Sbuffando come un toro rientra, proprio mentre accorrono alcuni vicini richiamati da tutto quel trambusto.

– Andate a chiamare Francesco Feraco, la guardia municipale, e ditegli di venire subito – ordina ai primi due entrati.

Arrivato sul posto, Feraco riceve il racconto del Sindaco e l’ordine di correre a Pedace per avvisare i Carabinieri.

De Donato è gravemente ferito e boccheggia, così viene chiamato il medico condotto, Emiddio Feraco, che, una volta tirato fuori da sotto il letto, gli riscontra nella regione scapolare destra e precisamente in corrispondenza della radice dell’arto superiore destro, una ferita d’arma da fuoco di forma irregolare, quasi sferica. Sondata detta ferita ho rilevato che essa penetra nella cavità toracica con lesione del polmone corrispondente. È intrasportabile, deve restare in quella casa e serve almeno un pagliericcio per adagiarvelo. La vita del ferito è appesa ad un sottilissimo filo.

Arrivati i Carabinieri, alle 5,00 il Brigadiere Lodovico Capelli dichiara Raffaele Mancuso in arresto e lo porta in caserma.

Ma a questo punto le indagini si concentrano su Ernestina e gli inquirenti si pongono delle domande: dov’è? Possibile che sia sparita quasi nuda? Che donna è? In attesa di scoprire qualcosa sul suo conto, il Pretore, appena arrivato, interroga De Donato, che con un filo di voce racconta:

Io non conoscevo affatto la ragazza Ernestina Mancuso, né mai con lei ho avuto rapporti carnali. Solamente ieri il mio compaesano Filippo Morrone mi disse che con essa aveva rapporti illeciti da circa due mesi e mi invitò ad andare con lui per farmi anche godere il suo amore. Difatti, da Pedace ci allontanammo e dopo di aver vagato parecchio arrivammo nelle vicinanze di Cribari che era notte. Penetrammo poi insieme in un orto e poi di là ci avvicinammo ad una porta che dà accesso al detto giardino e Filippo con le unghie diverse volte raschiò su detta porta e ci venne aperto dall’interno da una ragazza. Entrammo così tutti e tre nella stanza ove ora mi trovo e, spogliatici, ci coricammo tutti nel letto, congiungendoci con la ragazza. La ragazza, alle mie domande, mi confermò che da due mesi aveva relazioni con Filippo e mentre stavamo tranquillamente nel letto, dopo circa una buona ora sentimmo bussare fortemente al portone. Di ciò meravigliati non sapevamo cosa fare e la ragazza stessa non si mosse nemmeno per andare ad aprire. Però dopo poco sentimmo aprire il portone e dalla paura io e Filippo, nudi come eravamo, ci nascondemmo sotto il letto. Poi sentimmo violentemente scuotere la porta della stanza e siccome la porta era malferma si aprì – si ferma per riprendere fiato, poi continua –. Entrò nella stanza il padre e, domandata la figlia, che gli era andata incontro, perché non avesse aperto, essa si giustificò col dire che non aveva inteso perché nel sonno. Ma insospettito, il padre guardò sotto il letto e ci vide. Impossessatosi subitamente di un fucile, che non so dove si trovava, ci esplose contro due colpi, ferendo me tanto gravemente, quanto Filippo Morrone. A questo la figlia, vista la porta aperta, fuggì e mentre il padre la seguiva, il mio compagno fuggì anch’esso ed io restai privo di sensi, non potendo più muovermi.

– Quindi non conoscevi la ragazza, è così?

Ripeto, io non conoscevo la ragazza e se mi trovai in questa casa fu per istigazione di Filippo Morrone.

– Non potevate scappare quando sentiste i primi colpi al portone?

Quando si intesero i colpi al portone, siccome eravamo nudi non pensammo nemmeno di fuggire, tanto fu l’orgasmo e la confusione e fummo perciò sorpresi poco dopo che ci eravamo nascosti sotto il letto

Praticamente lo stesso racconto fa Filippo Morrone, ma con una precisazione:

– Ho conosciuto Ernestina Mancuso perché sorella del mio principale, ma nego di avere avuto con lei una frequente tresca amorosa. Invece fu dietro sue insistenze che una quindicina di giorni dietro ebbi ad unirmi con lei senza però alcun amoreggiamento. Ieri sera, poi, essendo io e De Donato insieme a Pedace, pensammo di andare a Cribari, dove anch’esso disse di amoreggiare con una ragazza che non conosco e partimmo all’Avemaria. Quando passammo dinanzi la casa di Mancuso mi accorsi che Ernestina mi fece cenno col fazzoletto di andarla a trovare. Allora De Donato venne insieme a me e, come avevo praticato la volta passata, penetrammo nel giardino e di là ci venne aperto da Ernestina. De Donato non la conosceva ed insieme fummo introdotti in casa e poi nella stanza da letto. Ci spogliammo e ci coricammo tutti e tre insieme ed avemmo contatto con la ragazza, standocene tranquillamente. Quando dopo un pezzo sentimmo bussare al portone e poi più forte forte ancora, per la paura, nudi come eravamo, io e De Donato ci nascondemmo sotto il letto. Poi sentimmo aprire il portone e dopo bussare alla porta della stanza, con tanta violenza che si aprì da sola. Mancuso non so come si accorse che eravamo sotto il letto e, preso nell’altra stanza un fucile l’esplose contro di noi, inseguendo dopo la figlia che si era data alla fuga. Fu proprio allora che risolvetti di uscire da sotto il letto e fuggire per la porta del giardino, prendendo solo la camicia ed i pantaloni

Intanto le condizioni di Cesare De Donato si aggravano di ora in ora e nella serata del 27 maggio muore mentre è ancora adagiato, nudo come è stato trovato, sul pagliericcio nella stanza in cui è stato ferito. Omicidio volontario.

Dicevamo di Ernestina. Appena uscita da casa non ha esitazioni, attraversa la strada, scende una rustica scalinata che porta alla casa di Rosaria Pantusa, bussa violentemente alla porta che si apre in un attimo perché la donna, sentito il chiasso, sta uscendo per vedere cosa succede. La fa entrare e richiude la porta sprangandola, poi cerca di calmarla. No, non la farà andare via per consegnarla a morte certa, la nasconderà e al momento opportuno la farà scappare. Intanto le dà qualcosa da mettere addosso perché non può certo allontanarsi dal paese in quelle condizioni e quando tutti sono impegnati in casa Mancuso, Ernestina sgattaiola fuori e sparisce nel buio verso l’ignoto. Di lei non si saprà più nulla.

Sono vicina di casa dei Mancuso e conosco Ernestina, la quale era una brava ragazza – dice Rachele De Cicco al Pretore –. Mai ebbe a dar luogo a dicerie sul suo conto e ha fatto impressione la notizia del fatto svoltosi questa notte.

Conosco Ernestina e l’ho sempre ritenuta una sempliciona, però mai ho saputo che avesse tresche illecite… – racconta Giuseppe Vitelli.

Ho sempre ritenuto Ernestina una buona ragazza – conferma Emanuele Mendicelli.

Debbo dichiarare di aver sempre ritenuto Ernestina una buona ragazza e mai seppi che avesse tresche illecite – è l’autorevole opinione della guardia municipale Francesco Feraco –. Ernestina si trovava divisa dal marito che, recandosi nelle Americhe, l’aveva abbandonata ritenendola stupida. Coabitava col padre che le voleva molto bene.

Siccome secondo il Codice Penale vigente tutto lascia pensare che Raffaele Mancuso ha sparato e ucciso per motivi d’onore, l’avvocato Luigi Tancredi, il suo difensore, il 16 giugno presenta una istanza nella quale scrive: dalle risultanze dell’istruttoria dev’essere raccolto che il Mancuso esplose il fucile, ed uccise, per difendere l’onore suo nell’atto di flagrante attentato. Ciò dovrebbe essere motivo sufficiente per una completa assoluzione, ma se le SS.LL. non volessero scarcerare definitivamente il Mancuso, non dovrebbero negargli il beneficio della libertà provvisoria.

Ma il giorno stesso il Collegio che compone la Camera di Consiglio, udita la relazione del Giudice Istruttore, letta la requisitoria del Pubblico Ministero, letta l’istanza di libertà provvisoria, conformemente alla conclusione del Pubblico Ministero rigetta l’istanza di libertà provvisoria. Si, perché, secondo il Collegio ed il Pubblico Ministero, per quanto non possa sconvenirsi dell’applicabilità alla specie della scusante che prevede l’omicidio compiuto dall’ascendente nell’atto della sorpresa, in atti tali che diano la certezza della illecita relazione, è certo del pari che l’omicidio scusato a termini di legge non costituisce un titolo speciale di reato, trattandosi piuttosto di una forma speciale di provocazione, che il legislatore ha creduto giusto di prendere con particolare disposizione e in tali sensi la Cassazione ha statuito costantemente.

E questa è la stessa motivazione per la quale viene chiesto ed ottenuto il rinvio a giudizio dell’imputato, che dovrà rispondere davanti alla Corte d’Assise di Cosenza di omicidio volontario e tentato omicidio.

La causa si discute il primo marzo 1907 ed il giorno successivo viene emessa la sentenza: la Corte, a termini dell’art. 46 C.P. (non è punibile colui che, nel momento in cui ha commesso il fatto, era in tale stato di infermità di mente da togliergli la coscienza o la libertà dei propri atti. Nda) dichiara assolto l’accusato Mancuso Raffaele dalle imputazioni di omicidio in persona di Cesare De Donato e di mancato omicidio in persona di Filippo Morrone. Ordina che sia posto in libertà se non detenuto per altra causa.[1]

In definitiva, quindi, Raffaele Mancuso uccise e tentò di uccidere non per lavare col sangue l’onta arrecata al suo onore, ma semplicemente perché la vista di quei due uomini nudi nascosti sotto il letto della figlia gli fece perdere i lumi della ragione.

[1] ASCS, Processi Penali.