CONCETTINA

Concetta Sciarrone, è una bambina di sei anni e vive a Ganzirri con la famiglia quando suo padre, nel mese di aprile del 1918, parte Allamerica in cerca di fortuna e la lascia con la mamma ed i tre fratelli maggiori, uno dei quali, Vincenzo, sta facendo il servizio militare e ha scoperto di soffrire di una malattia a trasmissione sessuale, la cosiddetta ulcera molle, certamente contratta frequentando qualche bordello. Quando Vincenzo torna a casa, ben presto cominciano a manifestarsi altri strani sintomi come febbre, mal di gola, problemi intestinali, dolori alle ossa e le cose si complicano perché sono i sintomi caratteristici della sifilide, che consiglierebbero cure adeguate e l’astenersi da contatti sessuali per non causare danni ad altre persone. Ma Vincenzo è ossessionato dal sesso e non potendo sfogare la sua esuberanza giovanile comincia a guardare in modo strano la sorellina.

Siamo ora verso la fine del mese di luglio del 1920, in un giorno durante il quale Concetta e Vincenzo sono da soli in casa. Lui guarda la sorellina che gioca sgambettando qua e là, guarda quelle gambette nude muoversi vorticosamente e gli prende quella voglia tante volte repressa, ma questa volta Vincenzo non si frena: afferra Concetta, le tappa la bocca e poi, come gli animali, se la mette davanti piegata in due e la stupra, violandola in tutti i modi possibili.

La bambina è un cencio buttato a terra quando quello che chiamano suo fratello le mette un dito sulla gola facendo l’atto di tagliargliela in due e le dice:

– Muta o t’ammazzo!

E Concetta sta muta, ma verso la fine di agosto comincia ad avvertire strani fastidi: mal di gola, dolori alle ossa, inappetenza, chiazze rosa ispessite nelle zone umide della pelle. La mamma se ne accorge e, preoccupata, nei primi giorni di settembre la porta all’Ospedale Consorziale di Messina ed al medico che la visita non serve molto tempo per capire che si tratta di sifilide contratta per contagio diretto alla vulva e all’ano.

– Chi è stato? – le chiede la madre alla presenza dei tre figli maschi.

– Uno sconosciuto… mi ha presa all’improvviso…

Se la devono bere o se la vogliono bere? Forse la mamma sì, ma i due fratelli maggiori no e cominciano a sospettare che sia stato Vincenzo. Nel giro di qualche giorno per i fratelli non ci sono più dubbi e minacciano pesantemente Vincenzo di ammazzarlo, tentando più volte di mettere in atto il proposito, senza riuscirci. A questo punto lo scellerato capisce che se non sarà oggi e né domani, la sua sorte è segnata e scappa di casa, si imbarca per le Indie e sparisce definitivamente dalla circolazione.

Intanto la voce di ciò che è successo si sparge velocemente e la notizia arriva alle orecchie dei Carabinieri, che vanno a casa Sciarrone a scambiare quattro parole con Concetta e la mamma. La bambina, forse consapevole che il mostro non può farle del male, racconta al Maresciallo l’orrore che ha vissuto e la stessa cosa fa quando la interroga il Giudice Istruttore. Anche i fratelli maggiori accusano Vincenzo, mentre la mamma ha una posizione più sfumata, dice e non dice, ma il fatto grave è che si rifiuta di denunciare Vincenzo e a questo punto il Tribunale decide di nominare un curatore speciale per tutelare gli interessi di Concetta, il quale provvede a sporgere la opportuna querela e la Giustizia inizia a fare il suo corso.

La bambina adesso deve subire un’altra violenza, sebbene necessaria: la perizia ginecologica, che conferma la deflorazione sofferta, con conseguente sifilide, apparentemente guarita entro sette mesi dall’origine.

Le testimonianze dei fratelli, dei parenti e quella, sempre dai contorni sfumati, della madre, unite alla perizia e alla latitanza dell’imputato costituiscono le prove sufficienti alla Procura, dopo avere vanamente atteso quasi un anno e mezzo la costituzione o la cattura di Vincenzo Sciarrone, per chiederne e ottenere, il 6 dicembre 1921, il rinvio a giudizio davanti alla Corte d’Assise di Messina. Ovviamente tutti sanno che si tratterà solo di una giustizia formale perché il mostro è al sicuro a migliaia di chilometri dalle patrie galere, ma bisogna comunque fare qualcosa che dia il senso di una Giustizia in grado di perseguire chi commette reati e l’unica cosa che si può fare nei casi di irreperibilità dell’imputato è procedere in contumacia.

Ma la speranza di acciuffare il mostro resta salda e anche la Corte, prima di mettere a ruolo la causa, aspetta perché è sempre una sconfitta per la Giustizia procedere in contumacia. Alla fine, trascorsi 5 anni e 5 mesi dall’orrore, bisogna arrendersi all’evidenza e il 21 ottobre 1925, si tiene il dibattimento col rito contumaciale e bastano pochi minuti per arrivare alla sentenza di condanna e alla quantificazione della pena: partendo da dieci anni di reclusione, aumentati della metà per l’aggravante di aver commesso il reato abusando delle relazioni domestiche, la pena deve essergli comminata nella misura di anni quindici di reclusione, oltre alle spese, ai danni e alle pene accessorie.[1]

Non sappiamo cosa ne è stato di Vincenzo Sciarrone, ma sappiamo che era ammalato di sifilide che, se non trattata adeguatamente, può causare danni al sistema nervoso e ai vasi arteriosi, disordine mentale e morte.

[1] ASME: Sentenze della Corte d’Assise di Messina.