LA TEMUTA IRA DEI PARENTI

Gennaro Campana e sua moglie Carolina Blasco hanno una nipote, Carmela, figlia del loro figlio, e praticamente da quando è nata la prendono in casa crescendola con amore. Quando nel mese di ottobre del 1941 Carmela ha appena compiuto 17 anni, sposa Gaetano Pulignano. Ma c’è la guerra, Gaetano viene richiamato alle armi e deve partire dopo appena tre mesi di convivenza coniugale. Come tutti, anche Gaetano spera che la guerra finisca presto e di cavarsela per tornare a casa da Carmela, ma le cose non vanno nel modo sperato. Viene fatto prigioniero e le notizie che arrivano in contrada Cozzo dell’Oro, in territorio di Rossano, sono sempre più scarse e frammentarie. Poi, nei primi giorni di marzo del 1946, la sorpresa: lacero, smunto, quasi irriconoscibile ma tutto intero, Gaetano torna a casa! Abbracci, baci, lacrime di gioia, una festa da ballo per riallacciare i rapporti, notti infuocate con Carmela. Ma la gioia di questo ritorno ha breve durata perché alle orecchie del reduce arrivano sempre più insistenti le dicerie sfavorevoli sulla condotta tenuta dalla giovane moglie durante la sua prolungata e forzata assenza. Va su tutte le furie ma non ha reazioni violente, la strada da seguire è la separazione e se ne va di casa in attesa di formalizzare legalmente la cosa. Ma l’intervento dei parenti e specialmente del nonno di Carmela, che lo rassicura con ogni fermezza dell’innocenza della nipote, lo fa ritornare sulla decisione presa e fanno pace. Niente da fare, invece di essere stata messe a tacere con il ricongiungimento, le dicerie riesplodono più fragorose di prima e questa volta la decisione di Gaetano è irrevocabile, se ne va e rifiuta categoricamente ogni ulteriore tentativo di riappacificazione da parte di Carmela, che ci prova con ostinazione negando di averlo mai tradito. Ci prova anche la mattina del 31 marzo 1946 quando cerca di farlo entrare in casa di una zia per parlargli, ma Gaetano declina l’invito e poco dopo le fa recapitare una lettera nella quale ribadisce che di lei non ne vuole più sentire parlare.

Ma queste benedette o maledette dicerie hanno un fondamento di verità o sono solo calunnie? Per saperlo dobbiamo fare un salto indietro di qualche anno. Vediamo.

In contrada Cozzo dell’Oro, a breve distanza l’una dall’altra, ci sono due case: una abitata da Gennaro Campana, sua moglie e Carmela e l’altra da Salvatore Bauleo, sua moglie Virginia Visciglia e dai figli (di primo letto di Salvatore. Nda), Francesco e Armando. Prima ancora che Carmela si sposasse, tra lei e Francesco Bauleo si era originato uno stato di simpatia che, sia pure in un campo sentimentale e platonico, era da loro stato coltivato e mantenuto costante. Dopo le nozze e dopo la partenza per le armi di Gaetano Pulignano, che si sapeva essere caduto prigioniero, perdurando la sua assenza venne dai due antichi innamorati ripresa quella relazione di simpatia tra essi nata allorché erano ancora dei ragazzi.

Ma ora che Carmela ha 19 anni ed è sposata e Francesco 17, intorno al 1943, in siffatta giovinezza, favorita dalla vicinanza delle rispettive dimore isolate in campagna, dall’assenza per prigionia di Gaetano, dalla relativa facilità di tenere nascosto il peccaminoso comportamento, la relazione da idillio platonico degenera in relazione carnale.

Francesco è un giovanottino inesperto e per vanteria dice in giro qualche parola di troppo e quindi, nonostante l’ostinata difesa di Carmela, le dicerie rispondono a verità. L’unico a non crederci, confortato dalle ostinate rassicurazioni di Carmela, è nonno Gennaro, ormai ottantenne, che va in giro a minacciare fuoco e fiamme contro Francesco Bauleo e la sua famiglia e contro tutti coloro i quali continuino a far girare quelle che lui crede calunnie sul conto della sua adorata Carmela. Ovviamente la notizia viene a conoscenza anche della famiglia di Francesco e la matrigna si mette a controllarlo, riuscendo a ritrovargli nel portafogli taluni biglietti amorosi che Carmela gli aveva diretto; avvisa i parenti di Carmela, così quei biglietti vengono dati alle fiamme alla presenza di Carmela, che non può fare altro che tacere alle fiere rimostranze rivoltele dalla nonna. Perché distruggere i biglietti? Nella speranza di soffocare la cosa, secondo nonna Carolina.

Ora possiamo tornare alla mattina del 31 marzo 1946, mentre Carmela è in casa di sua zia e, fattasi leggere la lettera che le ha mandato Gaetano, capisce che deve correre ai ripari e pensare al suo immediato avvenire. Così fa sapere a Francesco Bauleo che ha bisogno di parlargli. Il giovanottino, dopo una certa esitazione manifestata alla matrigna, che lo sconsiglia, nel pomeriggio va a casa della zia di Carmela dove trova la sua amante, che lo informa di quanto accaduto la mattina e poi gli dice:

Noi abbiamo fatto il male e noi lo dobbiamo piangere… scappiamo insieme per una qualunque lontana destinazione, sì da poter vivere in pace e lontano dall’ira dei parenti

L’ira dei parenti, queste parole, che gli suonano come una terribile minaccia, convincono Francesco ad accettare la proposta e i due definiscono i particolari della fuga, programmata per la sera dell’indomani, primo aprile 1946.

Francesco e Carmela tornano nelle rispettive case e cominciano a prepararsi per la fuga, ma non è facile mettere insieme la roba necessaria senza essere visti e nonno Gennaro, tornato da una inconsueta passeggiata in campagna col fucile a tracolla, sicuramente si accorge dello strano comportamento di sua nipote, capisce che tutto ciò che Carmela ha negato è vero, capisce che l’onore della famiglia è compromesso e quella roba che frettolosamente finisce in un sacco sarà la rovina definitiva del suo buon nome. Però resta in silenzio, sebbene la rabbia lo assalga, e continua a comportarsi come se nulla fosse.

È la mattina del primo aprile, Salvatore Bauleo con i due figli sta percorrendo il sentiero che da Cozzo dell’Oro mena a Rossano. A circa cinquecento metri da casa i tre arrivano in un punto ove il detto sentiero trovasi incassato tra due alte pareti di terra e roccia, completamente coperto da una fitta vegetazione di cespugli. Un fruscio tra le frasche e, istintivamente, Francesco e Armando capiscono che su di loro incombe un imminente pericolo e si addossano ad una delle pareti, mentre il loro padre, per nulla intimorito, si ferma a guardare incuriosito. All’improvviso una detonazione e la rosa di pallini da caccia lo colpisce al braccio sinistro e alla testa, poi un altro colpo, che va a vuoto. Dalla sterpaglia emerge la figura curva di Gennaro Campana che con calma ricarica la doppietta e poi si dirige verso la casa dei Bauleo. Francesco e Armando urlano e soccorrono il padre che, fortunatamente, non è ferito in modo serio.

Nonostante i suoi ottant’anni, il passo di nonno Gennaro è sicuro mentre va verso la casa, dalla quale è uscita di corsa Virginia, la moglie di Bauleo, che intuisce cosa siano state quelle due fucilate e le urla dei figli. Vede nonno Gennaro che le va incontro col fucile spianato e capisce che quasi sicuramente non avrà scampo, ma nonostante tutto continua a correre verso il punto da cui provengono le urla dei figli. I due sono ormai a poco più di dieci metri di distanza l’uno dall’altra, nonno Gennaro tira su i cani della doppietta e fa fuoco contro Virginia, che stramazza al suolo dietro il tronco di un ulivo. Il vecchio, credendola morta, continua a camminare verso la casa dei Bauleo.

Virginia, incredibilmente, è illesa, evidentemente salvata dalla vista di nonno Gennaro, accecata dall’ira e dall’età avanzata e dalla sua prontezza a farsi credere morta. Trattiene il respiro e resta immobile finché con la coda dell’occhio vede entrare in casa Gennaro Campana, poi si alza e corre, salva, verso il marito e i figli.

Il vecchio è nella casa dei suoi nemici. Con calma accatasta sul tavolo qualche sedia, un materasso imbottito di foglie di granturco e altre suppellettili infiammabili, poi dà fuoco alla catasta. Il fuoco divampa in fretta e le altissime fiamme raggiungono il solaio fatto di tavole, che prende subito fuoco e la casa diventa un inferno.

Esce. Ha fatto ciò che aveva in mente, ma non è ancora soddisfatto. Sull’aia stanno razzolando un maiale ed una pecora, vede gli animali e sorride beffardamente mentre ricarica il fucile. Si avvicina al maiale e lo fulmina, poi è la volta della pecora. Adesso ha finito.

No, non ha finito, deve sistemare un’altra questione. A circa 250 metri dalla casa dei Bauleo c’è la casa di Nicola Romeo e Gennaro sa per certo che la moglie di quest’ultimo è stata tra quelli che hanno sparso in giro la voce sulla relazione tra Carmela e Francesco, così si avvia a passo svelto, nonostante ormai senta dentro di sé una stanchezza infinita.

In casa non c’è nessuno ma la porta non è chiusa ed entra. L’unica cosa che gli viene in mente per causare ai Romeo più danni possibile è di incendiargli la casa, ma le forze gli mancano per accatastare quanta più roba possibile come ha fatto con i Bauleo e allora appicca il fuoco al letto matrimoniale e ad un lettino, poi vede il fucile di Romeo appeso ad un muro, lo prende ed esce. Anche nell’aia dei Romeo ci sono un maiale, che grufola nella terra, e poco più lontano una capra, che pascola tranquillamente. Ammazza anche queste due bestie innocenti e, finalmente, se ne va a casa, dove i Carabinieri lo arrestano nel pomeriggio.

Sembra un’indagine facile, ma gli inquirenti sospettano che nella tentata strage siano coinvolti Giuseppe Forciniti, il genero di nonno Gennaro, il figlio Giuseppe Campana e la nipote Carmela, tutti arrestati con le accuse di incendio, danneggiamenti, ingiurie, minacce e triplice tentato omicidio, triplice perché Francesco Bauleo accusa Gennaro Campana di aver tentato di ucciderlo qualche giorno prima.

L’8 febbraio 1947 la Sezione Istruttoria presso la Corte d’Appello di Catanzaro emette la sentenza di rinvio a giudizio e le cose non vanno nella direzione auspicata dalla Procura. A parte che i reati di danneggiamento, ingiurie e minacce a carico di Gennaro Campana sono dichiarati estinti perché amnistiati, viene dichiarato non doversi procedere a carico di Francesco Forciniti, accusato di concorso nel tentato omicidio dei coniugi Bauleo, per non aver commesso il fatto e di Giuseppe Campana, anch’egli accusato di concorso nel duplice tentato omicidio, per insufficienza di prove ed entrambi prosciolti con formula piena delle accuse di incendio e danneggiamento. Anche Carmela viene prosciolta dalle accuse minori per non aver commesso il fatto, ma le accuse nei suoi confronti di concorso nel duplice tentato omicidio dei coniugi Bauleo vengono confermate e nonno e nipote vengono rinviati al giudizio della Corte d’Assise di Rossano.

Il dibattimento viene fissato per il 20 gennaio 1948, ma il 4 ottobre 1947 dal carcere di Rossano arriva la notizia della morte di nonno Gennaro e quindi ad affrontare il processo resta la sola Carmela.

Letti gli atti ed ascoltati i testimoni, tenuta per ferma la relazione carnale tra Francesco Bauleo e l’imputata, la Corte mette in evidenza un fatto che durante l’istruttoria sembra non essere stato approfondito abbastanza: la costante perseveranza usata da Carmela nel protestare la propria innocenza al nonno, che particolarmente l’amava. Perché la Corte ritiene questa circostanza importante per il processo? Perché qualunque possa essere stata la finalità che ebbe a muoverla in questa menzogna, è certo che si determinò nell’animo del vecchio parente, con la incrollabile fiducia nella onestà della nipote, anche un particolare stato di ira e di avversione verso coloro che andavano propalando insistentemente le notizie a carico della adorata Carmela, ritenute da Gennaro Campana calunniose. Ed è lo stesso Francesco Bauleo che riferisce i dettagli di questo odio, quando in udienza racconta di come il vecchio si preoccupava specialmente di quelle complicazioni che si sarebbero potute verificare al ritorno di Gaetano Pulignano dalla prigionia, nel senso che, qualora il marito della nipote non avesse voluto riunirsi alla moglie per le anzidette dicerie, egli l’avrebbe fatta finita con esso Francesco Bauleo. Poi Bauleo precisa che questo proposito era sorto nell’animo del vecchio sin da quando la illecita relazione si era cominciata a conoscere dai vicini e dagli estranei, e cioè molto prima del 31 marzo 1946.

Ma ancora non è ben chiaro a cosa mira la Corte con queste affermazioni e allora entra nel vivo del ragionamento spiegando: affermata simile realtà di fatto, discende ineluttabilmente che la giudicabile non può aver concorso nella perpetrazione dei delitti compiuti la mattina del primo aprile 1946 dal nonno Gennaro Campana perché nessun interesse poteva spingere l’imputata alla soppressione di Francesco Bauleo poiché questi era l’unico cui potesse affidarsi: assolutamente inverosimile sarebbe, poi, il pensare che attraverso la strage del padre e della madre di Francesco Bauleo, e di quest’ultimo con essi, potesse guadagnarsi la rinnovata stima, fiducia ed affetto del proprio marito.

Poi l’affondo alle indagini: già la sentenza istruttoria ha dovuto riconoscere non avere, l’imputata, commesso i fatti di incendio e di danneggiamento in danno di Salvatore Bauleo e Nicola Romeo, compiuti da Gennaro Campana, ond’è che nemmeno si vede come volesse costei concorrere nella uccisione dei genitori di Francesco Bauleo. L’unico elemento indiziario che si è creduto di trovare a carico dell’imputata, cioè la coincidenza del tempo dell’appostamento lungo il sentiero compiuto da Gennaro Campana, perde consistenza allorché si consideri che il Campana non era il primo giorno che si aggirava in quel luogo, pure armato di fucile; Gennaro Campana ben ha potuto avere conoscenza del divisamento fatto dalla nipote di partirsene il primo aprile col Francesco Bauleo, da altri che non fossero la nipote, convivendo entrambi nella stessa casa, a prescindere che i preparativi del viaggio non potevano essere nascosti. I propositi di vendetta e di sterminio di Gennaro Campana, già da lungo tempo manifestati, si vollero dal medesimo attuare nell’imminenza della conosciuta fuga, ad evitare un clamoroso disonore sulla propria famiglia, vendetta che riteneva spettargli come il più anziano della famiglia.

Fatte queste considerazioni, non può che esserci una sola conclusione: la Corte assolve Carmela Campana dalle imputazioni ascrittele per non aver commesso i fatti.[1]

È il 20 gennaio 1948, da venti giorni in Italia è entrata in vigore la Costituzione Repubblicana ed Enrico De Nicola è diventato il primo Presidente della Repubblica Italiana.

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Rossano.