Alle 9,30 del 4 gennaio 1893 c’è una gran confusione sotto una palazzina di via Rivocati a Cosenza. Ci sono anche i Carabinieri che tengono a bada i curiosi e quando arriva il Giudice Istruttore Goffredo Del Prete, accompagnato da un Sostituto Procuratore ed un cancelliere, dividono la folla e lasciano libero il passaggio. Entrati in un appartamento magistrati e cancelliere, passando per tre stanze, l’ultima delle quali ad uso di camera da letto, vengono introdotti in una stanza ad uso spogliatoio.
– Eccellenza, sono arrivati anche i periti – gli sussurra il Maresciallo Michele Rucci, indicando i dottori Cesare Elia, Pasquale Russo e Vincenzo Scola, che lo salutano con un cenno del capo.
Quando tutti sono nello spogliatoio, tra i diversi mobili ed oggetti che vi si trovano, si vedono giacenti due cadaveri, l’uno di uomo e l’altro di donna, intrisi di sangue, del quale, anzi, se ne vede una pozza sotto il capo della donna, che a modo di rigagnolo si protrae anche nella stanza attigua.
Il cadavere della donna è adagiato sul lato destro in una pozza di sangue con la testa a dieci centimetri dal comò ed i piedi che toccano un baule, mentre le natiche poggiano sulla gamba destra dell’altro cadavere. Indossa solamente la camicia e una flanella di lana, più le calze a vari colori, fermate con due elastici al di sotto del ginocchio, e gli stivaletti. Alla estremità della camicia si vedono macchie e spruzzi di sangue.
Accanto alla gamba destra della donna c’è una rivoltella a sei colpi del calibro numero dodici, colla bocca rivolta verso il corpo della donna stessa. L’arma, dalla quale risultano esplosi tre colpi, è parzialmente sporca di sangue e tra la bacchetta e la canna vedonsi appiccicati due o tre capelli. Tutto intorno schizzi di sangue, pure sul davanti di un comò e sulla pietra di marmo che ne fa da coperchio.
Accanto al cadavere dell’uomo si vedono due scompartimenti ripieni di abiti ed altro e la fondina di una rivoltella, i quali appariscono tolti da un baule, che pure trovasi in questa stanza e, ad una delle due toppe che lo chiudono, vedesi appeso un mazzo di chiavi, una delle quali immessa nella toppa stessa. Il cadavere sta semi seduto su di un angolo degli scompartimenti del baule, poggiando più verso destra e facendo puntello con la mano destra sul pavimento e colle spalle poggiate all’armadio che sta accanto al comò. La testa sta piegata sul lato destro poggiando sulla spalla, dalla quale scende una grossa macchia di sangue, che si perde con quella del pavimento.
Il cadavere, a quanto superficialmente si vede, indossa pantaloni scuri a righe giallognole, camicia di lana a righe bianche e turchine, mutande e calze bianche e ha ai piedi una sola pianella nera con fiore sulla fiocca, mentre l’altro piede, cioè il sinistro, porta la sola calza. La camicia è cosparsa di sangue partendo dalla spalla sinistra e sul davanti e lungo il braccio destro. Sangue fuoriesce anche dall’orecchio sinistro e dalla regione temporale dello stesso lato.
Dopo che il Giudice Istruttore ha dettato al cancelliere la descrizione dei cadaveri, la parola passa ai periti per descrivere le ferite presenti sui corpi e stabilire sommariamente le cause della morte dei due disgraziati:
Sul cadavere della donna, sulla regione temporale destra, si trova una larga ferita di forma irregolare, la quale rappresenta il foro di entrata di un proiettile d’erma da fuoco che, seguendo la direzione da destra a sinistra, ha prodotto la frattura dell’osso temporale destro, del parietale dello stesso lato, del frontale e del parietale sinistro. Il foro di uscita è stato prodotto da un proiettile da dodici millimetri, che corrisponde al calibro della rivoltella trovata sul luogo. Uno scempio. Nessun’altra lesione sul resto del corpo.
Sul cadavere dell’uomo si trova una ferita d’arma da fuoco, il cui foro di entrata corrisponde alla regione temporale destra ed il foro di uscita al parietale sinistro. Si riscontra la frattura del temporale e del parietale destro, nonché la frattura del parietale sinistro e lesione della massa encefalica. Il proiettile è dello stesso calibro dell’altro riscontrato sulla donna e apparisce appartenere alla stessa arma. Un altro scempio. Nessun’altra lesione sul resto del corpo.
Mentre i periti eseguono le ispezioni dei cadaveri, conficcato in una delle pareti dello spogliatoio, viene rinvenuto un proiettile di piombo che, estratto ed esaminato, ha tutta l’apparenza di appartenere ad uno dei colpi esplosi dalla rivoltella. E qui sorge un problema: nella rivoltella a sei colpi sono stati rinvenuti tre bossoli e tre cartucce integre, mentre sembra certo che i colpi che hanno ucciso i due disgraziati sono stati solo due. Dove e quando è stato esploso il terzo, considerato che il proiettile conficcato nel muro è certamente uno dei due che hanno provocato le morti? Si vedrà, forse.
Gli investigatori conoscono benissimo l’identità dei due morti, ma, viste le condizioni dei volti, è necessario procedere al riconoscimento formale, così vengono chiamati due testimoni, vengono fatti giurare e pronunciare i nomi: l’uomo era il trentatreenne Capitano Eduardo Mosciaro, in servizio presso il 52 reggimento Fanteria di stanza a Mantova, mentre la donna era sua moglie Amalia Martino di trent’anni.
Ma di cosa si è trattato? Un duplice omicidio? Un omicidio-suicidio o un duplice suicidio? E se si è trattato di un omicidio-suicidio, chi dei due è stato l’omicida? Ed il movente? Si rischia di finire in un vicolo cieco, anche perché, man mano che i testimoni vengono ascoltati, nessuno è in grado di fornire il benché minimo straccio di indizio, nemmeno i familiari più stretti:
– Intorno il lugubre avvenimento non sono in grado di fornire alla giustizia i particolari – dice Francesco Martino, padre di Amalia, tra le lacrime –. Intesi dire che si sarebbe trattato di suicidio determinato da causa rimasta fin qui ignota…
– E si, infatti non sono stati trovati biglietti o lettere scritti per spiegare il gesto, ammesso che si tratti di duplice suicidio. Avete notato dei comportamenti strani in vostra figlia e vostro genero?
– No. Ieri sera tre gennaio fui a visitare mio genero Eduardo e mia figlia, che il mattino erano arrivati in Cosenza, reduci da Mantova e li trovai in perfetta giovialità per essere riusciti ad ottenere una licenza per ottanta giorni e godere, così, le affezioni degli amici e dei parenti. Li avea invitati di venire a passare il giorno appresso nella mia casa ed avevano con piacere accettato l’invito, tanto che stamattina avea mandato la carrozza a rilevarli e, mentre li aspettava avanti il portone di casa, essi diedero fine ai loro giorni…
– Io non mi trovavo in casa, ma bensì al mio ufficio, dove venni urgentemente chiamato verso le dieci… – racconta Federico Mosciaro, fratello del Capitano – dalle persone che trovai a casa venni a sapere che ambedue si erano uccisi…
– Sapete se c’erano dei motivi che possono aver spinto ai gesti fatali?
– Non so dare alcuna spiegazione, in quanto mio fratello Eduardo non ne aveva dato il benché minimo precedente sospetto. Anzi, arrivato qui in Cosenza insieme colla moglie la mattina del tre corrente, lo trovai giovialissimo ed in perfetta salute…
Forse qualcosa in più potrebbe dirla la domestica Carolina Mazzuca:
– Fui avvertita dalle grida della mia padrona, la signora Angelina Martucci, circa le nove e mezzo antimeridiane, ed ebbi ad accorrere nell’appartamento occupato dal signor Capitano Eduardo Mosciaro e dalla di lui moglie Amalia Martino, arrivati il giorno precedente. Entrai nella camera da letto mentre la signora Angelina Martucci si batteva le mani nel capo; passata nell’attigua stanza ad uso di spogliatoio, trovai che la signora Amalia stava appresso al marito che gemeva sangue dal capo, chiamandolo ripetutamente e questi non rispondeva che mugolando. Mi avvicinai al signor Mosciaro per soccorrerlo e mi avvidi che era moribondo. In questo mentre la signora Amalia raccolse da terra una rivoltella e, profittando della circostanza che io, per soccorrere il Capitano, le volgevo le spalle, si sparò due colpi, cadendomi ai piedi – ecco svelato il mistero del terzo colpo –. Corsi allora sui passi della padrona, signora Angelina Martucci, per cercare soccorso, ma tutto fu inutile perché, rientrate in quella stanza, tanto il Capitano quanto sua moglie erano già cadaveri, immersi nel sangue…
– Come mai siete accorsa alle urla della vostra padrona e non alla prima revolverata?
– Non intesi il primo colpo di rivoltella col quale si uccise il capitano perché mi trovavo assai distante dall’appartamento, intenta alle faccende della cucina…
– Sapete o avete sentito dire qualcosa sulle cause della tragedia?
– Non so spiegare la causa del luttuoso avvenimento, tanto più che il Capitano non aveva dato nessun segno precedente sospetto. Anzi, in quella mattina avrebbe dovuto recarsi colla moglie a visitare il suocero e la signora Angelina, pochi momenti prima era andata a bussare alla loro porta di camera per sollecitarli ad approntarsi ad uscire…
Nessuno dubita che si sia trattato di un duplice suicidio ed a nessuno viene in mente – chissà perché – di ascoltare la signora Angelina Martucci che, stando al racconto della domestica, era in compagnia della signora Amalia Martino al momento del primo sparo e tutto resta avvolto da un alone di mistero che può dar adito solo a supposizioni o spiegazioni che potrebbero trovare conforto nei trattati ad uso dei medici alienisti. È ciò che fanno i periti alla fine della relazione autoptica: Quanto al fatto che nessuno scritto siasi rinvenuto nel quale il suicida abbia manifestati i movimenti della tristissima risoluzione, giova notare che, in individui nevropatici o psicopatici, talora l’idea suicida sorge nel fondo dell’animo o con le più belle parvenze della blandizia, come godimento sovrano, ineffabile, come piacere dolce e soave, cui non si può resistere o come un senso di disgusto amarissimo e profondo della vita, contro cui invano ribellansi il sentimento di conservazione di sé e della specie e tutti quei freni morali, religiosi, sociali, intellettivi che sono tanto determinanti della condotta umana. A tal uopo abbiamo riscontrato quanto sull’argomento dicono i più pregiati scrittori di psichiatria e medicina legale.
Ma, attenzione, se tutti argomentano e sprecano parole per cercare di capire come mai il Capitano Eduardo Mosciaro si sia suicidato, nessuno dice una parola sul perché si sia suicidata sua moglie Amalia Martino. Questo perché l’opinione comune del tempo ancora ritiene (in realtà per tanti, troppi anni a venire, compresa la nostra contemporaneità) che il carattere femminile sia debole e facilmente impressionabile, quindi non c’è da meravigliarsi se Amalia, visto Eduardo morire suicida tra le sue braccia, abbia deciso di farla finita, perché finita era la sua ragione di vita.
Il 6 gennaio il Maresciallo Rucci termina il suo verbale con queste parole: né dalle varie Autorità Civili e Militari intervenute si poté acclarare la vera causa del mistero che avvolge la funesta determinazione del povero capitano suicida. Le salme, dopo le costatazioni di legge, vennero in giornata stessa trasportate al cimitero di questa città per esservi seppellite.[1]
Si, meglio chiudere in fretta questa brutta storia, evitando inutili polveroni e possibili scandali nella Cosenza bene.
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[1] ASCS, Processi Penali.