IL CASELLO AL KM 27

Sono le 5,00 dell’11 luglio 1918 quando una giovane donna bussa alla porta della caserma dei Carabinieri di Rende. Vuole parlare col Maresciallo Giacinto Pace, è urgente.

Mi chiamo Concetta Molezzi, ho ventuno anni, casalinga – risponde alla richiesta del Maresciallo di declinare le generalità, anche se la conosce bene. Poi continua – Come voi sapete, io convivo da circa un anno in concubinato con Davide Trombino di 34 anni, caposquadra ferroviario dimorante al casello del chilometro 27 della linea Paola-Cosenza. La madre di Davide, Innocenza Serpa, soleva recarsi in casa del figlio di tanto in quanto, rimanendovi qualche giorno. Sabato scorso, sei corrente, vi si portò l’ultima volta e, poiché non vedeva di buon viso la mia unione col figlio suo, il dì seguente, cioè domenica scorsa, sorse fra di noi un lieve diverbio, che non fu portato a conoscenza del figlio. Ieri si ripeté il litigio, in seguito al quale la Serpe andò via di casa e, passando pel luogo dove il figlio vigilava sui lavori, lo informò del nostro litigio, dicendogli per di più che io l’avevo cacciata di casa. Davide, rincasato pochi minuti dopo, mi rimproverò acerbamente, dicendomi: “Che bella figura che mi hai fatto fare questa mattina! Mia madre se ne è andata via per causa tua e tu te ne andrai per cagion sua, di guisa che non terrò in casa mia né te e né lei!”. Poi ritornò alla sua occupazione. Rincasato alle 13,00, andò a riposarsi sul letto senza neppur pranzare, ritornando poi al lavoro alle 15,00. Ritornato in casa verso le 19,30, cenò coi suoi due bambini senza rivolgermi alcuna parola. Io me ne andai a letto e quando egli venne a coricarsi, cercai di fargli qualche carezza onde riappacificarlo, ma egli mi disse: “Io te l’ho detto che non mi devi più parlare e che devi andare via senz’altro da casa mia”. Io mi rammaricai fortemente di questa seria minaccia e, pensando al disonore a cui sarei andata incontro ritornando alla casa paterna dopo aver convissuto lungamente con lui, lo pregai ripetutamente perché mi avesse perdonato, ma egli insisteva nel dirmi che dovevo allontanarmi per sempre da lui. Poco dopo fui chiamata da uno dei suoi bambini perché gli avessi dato da bere dell’acqua e, dopo ciò fatto, Davide si è levato dal letto, si è armato di un rasoio e mi ha minacciata di morte. Io allora l’ho disarmato e l’ho ucciso con la stessa arma, riportando questa lesione – si ferma per mostrare il taglio all’indice della mano destra –. Sono fuggita di casa in camicia e scalza e sono andata a picchiare alla porta dell’abitazione di Giuseppina De Bartolo, dimorante in una casa colonica a circa due chilometri dal casello ferroviario. Le dissi che avevo ucciso Davide Trombino, facendomi dare una sottanina ed un giacchettino. Pomi mi diressi verso la casa colonica abitata da Nicola Fantini, a circa un chilometro dal luogo delittuoso e, dicendo a costui d’essere stata espulsa dalla casa del mio drudo, mi feci accompagnare alla mia casa paterna in contrada Avellana. Giunti presso il ponte Vignolati c’imbattemmo col padre mio che, chiestomi il motivo del mio viaggio, gli risposi: “Trombino voleva mandarmi fuori di casa sua ed io l’ho ucciso!”. Mio padre me ne rimproverò

– Dove hai messo il rasoio?

Non ricordo dove ho gettato il rasoio, che certamente ho portato fuori di casa

Concetta, vedova del militare morto in guerra Andrea Infusino,  viene rinchiusa in camera di sicurezza ed il Maresciallo va a dare un’occhiata sul luogo del delitto per cercare conferme al racconto della ragazza.

Il casello, a circa 500 metri dalla stazione ferroviaria di Castiglione Cosentino, è composto di due abitazioni, in una delle quali abitavano Davide e Concetta. L’appartamento è composto di quattro stanze alle quali si accede mercé scala di fabbrica. La prima stanza ha una cucina, due finestre, pochi arnesi caserecci, una macchina da cucire, altre stoviglie e nel centro di essa vi è una tavola da pranzo coperta da un tovagliolo bianco con una bottiglia contenente un quarto di vino ed un bicchiere. A mano destra vi è una camera da letto matrimoniale composto di quattro materassi di lana, due comodini, una culla, alcuni quadri e poche sedie. Sul letto si trovano un lenzuolo e quattro guanciali imbrattati di sangue. Tale camera è in comunicazione con altra adibita a stanza da letto dei bambini Trombino; vi è un’unica finestra, il letto dei ragazzi, alcune sedie e, addossata al muro vi è una cristalliera con le imposte socchiuse che, all’atto dell’apertura scricchiolano facendo rumore e in essa vi sono quattro rasoi con separati astucci ed altro astuccio aperto e vuoto. Sia dalla prima stanza che dalla camera da letto dei bambini si accede ad un quarto stanzino adibito a dispensa. Nella stanza matrimoniale esistono sul pavimento numerose macchie di sangue, che partendo dalla sponda destra del letto imbrattano la camera per circa una metà, arrivano alla stanza d’ingresso, scendono i gradini della scala, costeggiano il piazzale adiacente al fabbricato e giungono sotto l’abitazione del cantoniere Calabretta, ove si trova una finestra, sulle imposte della quale si vede una chiazza di sangue. Ai piedi del letto si trova disteso supino, completamente nudo, il cadavere del Trombino: è tutto cosparso di sangue e presenta una lesione alla gola prodotta evidentemente da arma bianca. Detta ferita, a margini oltremodo divaricati, mette allo scoperto i tessuti muscolari, in gran parte recisi, ed infine le vene giugulari, il nervo vago ed il plesso brachiale, nonché la porzione laterale destra della trachea e dell’esofago, per cui la fuoriuscita di materiali digeriti misti a gas putrefattivi provenienti dallo stomaco.

Dalle prime indagini risulta che il fatto si è svolto nel modo esposto dalla Molezzi, essendo stata confermata da De Bartolo Giuseppina e Fantini Nicola la circostanza che ad ognuno di essi si riferisce. Anche i continui litigi tra Concetta e la madre di Davide sono confermati dalla coppia che abita nello stesso casello dove è avvenuto l’omicidio.

Verso le 10,00 di ieri Concetta si lamentò con me dicendomi che Trombino le aveva ordinato di allontanarsi da lui – racconta Maria Paonessa.

Tutto sembra quadrare, ma al Maresciallo Pace qualcosa non torna. Infatti, non gli sembra possibile che un omone come Davide Trombino si sia lasciato disarmare e tagliare la gola da una ragazza minuta come Concetta. Se il contesto in cui è maturato il delitto è quello raccontato dalla ragazza, le modalità dell’azione omicida sono certamente diverse. Così il Maresciallo torna in caserma e mette sotto torchio la ragazza che, piangendo, alla fine racconta la verità:

– L’ho ucciso nel sonno tagliandogli la gola… ho preso il rasoio nella cristalliera senza che il mio sventurato concubino se ne fosse accorto… la stanza da letto non era illuminata da alcuna luce e per essere sicura di uccidere il mio drudo mi levai dal letto e mi portai dal lato ove egli dormiva. Incominciai a palpare leggermente il suo viso onde poter toccargli la gola. Avvicinai il rasoio e gl’infersi un colpo, ma lui afferrò la mia mano e io allora approfondii l’arma con maggiore forza e la tirai verso un lato della gola. Fu allora che mi ferii al dito

Tutto chiaro, ma quando vengono interrogati i familiari della vittima viene fuori che dalla casa mancherebbero un anello ed una ingente somma di denaro. Quindi Concetta non avrebbe ucciso per motivi d’onore, ma a scopo di furto e la cosa, se provata, potrebbe costarle l’ergastolo. E se non fosse stata lei a rubare, potrebbe essere stato Antonio Calabretta, che abita nello stesso casello ferroviario ed è rimasto da solo in casa dopo l’omicidio per custodirla in attesa dei Carabinieri.

Il Maresciallo Pace indaga con la massima accortezza e relaziona che resta escluso in modo assoluto che l’omicidio possa essere stato commesso a scopo di furto, imperciocché non v’ha dubbio alcuno che costei fosse fuggita in camicia e scalza subito dopo consumato il reato. Il Trombino, inoltre, pur trovandosi in buone condizioni finanziarie, non poteva tenere in casa somme talmente rilevanti da indurre la Molezzi ad un si barbaro delitto. Fra il Trombino (anch’egli vedovo e con due figli piccoli) e la Molezzi, infine, prima dei litigi sorti tra questa e la madre di quegli, cioè fino al giorno precedente a quello del delitto, regnavano concordia ed affetto sommi e quindi la Molezzi non aveva nessun motivo di premeditare l’assassinio del suo drudo a scopo di furto. Per quanto riguarda Antonio Calabretta, i sospetti che egli abbia potuto sottrarre denaro ed altri oggetti di valore sono basati sulle circostanze che egli accorse subito e pel primo in casa della vittima, rimanendovi come custode dalle ore 2 alle 5 e che fra lui e l’ucciso non correvano tanto buoni rapporti. Ma siccome non è stato possibile accertare se Trombino, oltre alla moneta e gli altri oggetti di valore rinvenuti nella sua abitazione, avesse potuto tenere in casa altro denaro od altri oggetti, ma poiché non si può ciò neppure escludere, sarà bene procedere a perquisizione nelle abitazioni del Calabretta; dico abitazioni perché egli ha trasportato i letti e gli utensili da cucina al casello N° 25, non avendo la sua famiglia più voluto dormire in quello della tragedia.

Comunque, per sgombrare il campo da ogni possibile errore di valutazione, il Pretore di Rende ordina che siano perquisite, anche di notte tempo, sia le abitazioni di Calabretta che quella dei genitori di Concetta, unici suoi congiunti. Alle 18,30 del 20 luglio si presentano al casello N° 27, la vecchia abitazione di Calabretta e poi, alle 20,30 si fanno accompagnare al casello N° 25 ed entrambe le perquisizioni riescono completamente infruttuose, se si eccettua un biglietto da 5 lire rinvenuto fra il permanente del Calabretta (permanente chiamasi il documento di cui sono muniti gli impiegati ferroviari per viaggiare gratuitamente, allorché si recassero in città per l’acquisto di viveri). Il tardo pomeriggio del 21 luglio i Carabinieri bussano alla porta di casa dei genitori di Concetta, dove rinvengono solo 7 lire dentro un tiretto di un tavolo chiuso a chiave e 76 lire nel portafogli del padre, non ritenendo opportuno procedere al sequestro, potendole i coniugi Molezzi benissimo possedere legittimamente.

Scoppia una brutta grana portata alla luce dall’avvocato Ernesto Fagiani, difensore di Concetta Molezzi, che, il 14 settembre 1918, scrive al Procuratore del re di Cosenza:

La spoliazione continuata onde fu vittima Concetta Molezzi ad opera di Davide Trombino, sciaguratamente continua oggi per l’ingordigia dei parenti dell’ucciso. Il Vice Pretore di Rende, non contento d’avere comunicato atti di gelosa e legale segretezza agli avvocati di parte civile, si compiacque anche di consegnare ad un fratello dell’ucciso tutti gli oggetti di pertinenza alla Molezzi, compresi quelli di uso esclusivamente personale: vesti, biancheria personale etc, dei quali la disgraziata è sprovvista fin dal momento della tragedia, essendo scappata nuda dal casello ferroviario. Ne reclamammo l’immediata restituzione, ma questa non ha avuto luogo e pare, anzi, che sia imminente il trasporto, per conto di Eugenio Trombino, delle casse che contengono gli oggetti di uso personale dell’imputata, dal casello ove si trovano ad ignota destinazione. Si prega la S.V. Ill.ma che voglia impedire il detto trasporto, imponendo a chi di ragione la riconsegna delle sudette cose alla Molezzi. In realtà i familiari del povero Davide Trombino si sono impossessati anche di un libretto di risparmio intestato a Concetta, sul quale è depositata la cifra tonda di 1.000 lire e non c’è modo di sbloccare la situazione.

Il 10 agosto Concetta chiede di essere interrogata dal Giudice Istruttore e fa delle rivelazioni gravi sul conto di Davide:

Debbo rivelare una circostanza che ho taciuto per un senso di vergogna… Davide mi costringeva  spesso con violenza e minacce a congiungimento sessuale contro natura, ai quali purtroppo dovetti sottostare… poi negli ultimi tempi si mostrava mal disposto verso di me, anche perché aizzato dalla madre, la quale desiderava che egli facesse altro matrimonio

– A proposito di matrimonio, ci risulta che Trombino manifestò ai suoi amici il proposito di regolarizzare la vostra unione una volta finita la guerra, è vero?

A me non risulta affatto che Davide, parlando con i suoi amici, avesse manifestato il proposito di sposarmi dopo la guerra. Piuttosto ero io che, volendo legalizzare la mia posizione, spesso gli proponevo di sposarmi, ma egli si mostrava sempre refrattario.

La violenza che Concetta riferisce potrebbe essere un elemento che, unito all’onta subita, potrebbe costituire un’attenuante, ma bisogna fare una perizia per valutare i danni provocati dai rapporti anali ed il medico che la sottopone a visita però non ne riscontra alcun segno caratteristico e per Concetta è un problema in più perché appare non credibile.

È tempo di tirare le somme delle indagini e dalla relazione del Pubblico Ministero emerge, prima di tutto, la storia d’amore tra Concetta e Davide; il coraggio della ragazza nello sfidare i pregiudizi quando decide, il 6 dicembre 1917, di rendere pubblico il legame con Davide, andando a vivere con lui nel casello N° 27, in prossimità della stazione di Castiglione Cosentino e la sincera volontà di Davide di legalizzare l’unione col matrimonio, appena finita la guerra. La convivenza uso maritale fu tranquilla e quieta fino al 10 luglio 1918, poi il frivolo litigio tra Concetta e la futura suocera e la tragedia.

La futura suocera, Innocenza Serpa,  ha, per il Pubblico Ministero, un ruolo centrale nell’omicidio: la mattina del 10 luglio 1918 Innocenza e Concetta si erano recate ad un orticello attiguo al casello per legare delle piante di pomodoro quando, ad un certo punto, Concetta espresse il desiderio di recarsi a casa a pettinarsi. Secondo l’unica testimone Maria Paonessa, l’altra occupante del casello con suo marito Antonio Calabretta, a ciò la vecchia le avrebbe rivolto la frase: “E già! La signora del cazzo deve fare toletta!” e, secondo l’imputata, avrebbe anche aggiunto: “Deve fare toletta per sembrare bella ai cornuti…”. Concetta, dispiaciuta di tale ingiuria, ebbe a protestare rispondendo: “Dicesti che te ne dovevi andare stamattina, perché non te ne vai?”. A tali parole, Innocenza Serpe, raccolti i suoi oggetti, se ne andò via dicendo ai nipotini: “Restate con questa puttana fottuta…”. Quindi passò per il sito ove il figlio si trovava a lavorare con altri operai e, piangendo e battendosi la faccia con le mani, disse al figlio, che la invitava a tornare a casa: “Che debbo fare più in casa tua, cornuto fottuto, quando hai in casa una puttana fregata?”. Poi l’ordine a Concetta di lasciare la casa perché tra loro era tutto finito per la lite con la madre, ma evidentemente egli era combattuto fra il rispetto verso la madre e l’amore verso la sua donna e non aveva intenzione di eseguire il minacciato allontanamento, altrimenti non ne avrebbe rimandato l’esecuzione al giorno seguente, non dando così credito alle dichiarazioni di Concetta.

Con questa ricostruzione dei fatti viene chiesto ed ottenuto il rinvio a giudizio di Concetta Molezzi davanti alla Corte di Assise di Cosenza con l’accusa di omicidio volontario.

Durante il dibattimento non ci sono novità di rilievo e la Giuria popolare, il 17 novembre 1921, può esprimere il proprio giudizio: Concetta Molezzi ha ucciso volontariamente Davide Trombino mentre si trovava in stato d’ira o d’intenso dolore determinato da grave ed ingiusta provocazione. Di più, visti i suoi immacolati precedenti penali, le vengono concesse le attenuanti generiche. Tradotto in cifre fanno anni 7 e mesi 11 di reclusione.

Il 2 marzo 1922 la Suprema Corte di Cassazione rigetta il ricorso di Concetta Molezzi.[1]

[1] ASCS, Processi Penali.