IL CARABINIERE SPARÒ A MITRAGLIA

Verso le 19,30 del sabato 22 dicembre 1917, i Carabinieri Giuseppe Scelsi e Luigi Montano della stazione di Celico, finito il servizio perlustrativo dalle 14,30 alle 19,30 nel comune di Lappano, per il quale erano stati regolarmente comandati, stanno tornando in caserma. Quando arrivano al bivio della strada San Pietro in Guarano-Celico, ove in quei pressi vi è una casa colonica abitata dalla famiglia del soldato disertore Rosario Pecora, appartenente al 39° Reggimento Fanteria, Scelsi dice al collega:

– Mi hanno detto che Pecora tutti i sabati della settimana rincasa per far visita ai genitori, andiamo a fargli una sorpresa, così lo arrestiamo se anche oggi è tornato.

Fattisi animo, si avvicinano alla casa composta di due stanze a terreno, una delle quali è adibita per esercizio pubblico per vendita di vino al minuto e l’altra adibita come dormitorio della famiglia stessa. Dentro si sente un chiacchiericcio di voci. Bussano e la porta viene subito aperta. Non conoscendo personalmente il disertore e siccome in casa vi sono delle persone estranei, i Carabinieri innestano le baionette ai loro moschetti. Montano entra,  mentre Scelsi, rimanendo sulla soglia della porta col moschetto spianato, puntato contro la comitiva, urla:

– Fermi tutti!

Montano, sempre restando nei pressi della soglia, comincia a perquisire Angelo Merenda, il primo che ha sotto mano. Forse le punte delle baionette e la presenza dei militari in casa a quell’ora dà ai nervi a Teresa Spadafora, cinquantenne madre del disertore, la quale, molto risentita, urla a sua volta:

Perché entrate nella mia casa colle baionette?

A questo punto Scelsi spara un colpo di moschetto a mitraglia che colpisce in pieno Teresa Spadafora, e la fa stramazzare al suolo, rimanendo cadavere all’istante.

C’è un silenzio irreale nel locale. Scelsi e Montano capiscono che adesso potrebbe accadere di tutto e preferiscono andarsene per tornare in fretta in caserma. Escono subito e cominciano ad allontanarsi, portando con loro Angelo Merenda, quando sentono esplodere un colpo di rivoltella, indubbiamente loro diretto.

– Ho sentito un colpo di rivoltella e… ho sparato… – dice Scelsi appena arrivato in caserma. Il Vice Brigadiere Paolo Jacono è furibondo, non doveva accadere. Si prepara in fretta e furia e, accompagnato da due sottoposti, si precipita sul posto. Teresa Spadafora giace cadavere nel basso della casa in posizione supina, presentando ferita sulla mano destra e diverse al petto. Ma ora bisogna identificare le persone presenti in casa al momento della tragedia: oltre a Merenda, c’erano Eugenio Baldino di Pianette, il sedicenne Giuseppe Segreti da Carolei, il quale assieme a Merenda si era portato in quella casa per passare le feste di Natale, Pietro De Luca di Trenta, genero della morta, Giovanni Pecora, il fresco vedovo, e i figli della coppia Nicola, 35 anni, Luisa, 27 anni, Rosina, 16 anni, Angelina, 14 anni, Annina, 12 anni, Marietta, 8 anni. C’era anche Giuseppe Imbrogno di Trenta, che non faceva parte della comitiva, però nel momento del fatto trovavasi di passaggio su quella via e, come suo solito, voleva accedere in quella casa, ma gliene fu impedito l’ingresso dai Carabinieri.

Interrogati in proposito tutti i presenti, ad eccezione dei figli della morta, negano che prima e dopo lo sparo dell’arma da parte del Carabiniere, qualch’uno di loro avesse sparato qualche colpo di rivoltella. Nega anche Merenda, ma conferma di aver sentito un colpo di rivoltella mentre si allontanava per seguire i Carabinieri e che fu supposto essere stato a loro diretto.

Intanto è arrivato anche il Vice Pretore di Spezzano Grande per i primi rilievi: Nella località denominata Pianette, e precisamente nella casa colonica detta Lazzaretti, abbiamo rinvenuto in una stanza a pianterreno con diversi letti il cadavere di una donna, giacente per terra a circa metri due distante dalla porta di entrata. Detto cadavere, dell’apparente età di anni cinquanta, è in posizione supina con le gambe stese, la mano destra sul petto e la testa leggermente inclinata sulla spalla sinistra. È completamente vestita con indumenti di lana in costume da contadina e ha la camicia dalla parte del petto intrisa di sangue. Sul dorso della mano destra e sul petto presenta diverse ferite prodotte da piccoli proiettili di arma da fuoco. La prima cosa da fare è disporre il trasferimento del cadavere al cimitero, in attesa dell’autopsia, poi bisognerà interrogare formalmente i testimoni, a cominciare dal vedovo, Giovanni Pecora:

Ci stavamo divertendo, quando fu picchiato all’uscio della porta. Alla domanda “Chi è?” fu risposto “Carabinieri” e Teresina, mia moglie, fu sollecita ad aprire la porta. Ci trovammo in presenza di un Carabiniere che, stando sulla soglia col fucile spianato, in attitudine di sparare, gridò: “Nessuno si muova altrimenti vi brucio!”. Alla minaccia del Carabiniere noi rimanemmo tutti fermi, mentre l’altro Carabiniere entrò dentro e, dopo aver perquisito in ogni sua parte la mia abitazione, cominciò a perquisire Angelo Merenda. In questo mentre la mia povera moglie, con la mano destra sul petto, disse al carabiniere che stava col fucile spianato: “Perché ci volete ammazzare? Entrate dentro e cercate come volete”. A queste parole il Carabiniere rispose tirando un colpo di fucile contro mia moglie, uccidendola all’istante. Dopo di che i Carabinieri se ne andarono come se nulla fosse

– Sapete perché i Carabinieri erano venuti da voi?

– Si, i Carabinieri erano venuti in mia casa perché andavano in cerca di mio figlio Rosario, il quale è disertore da parecchio tempo.

Tutti gli altri, come hanno già fatto col Vice Brigadiere, confermano questa versione e tutto ciò complica le cose. Scelsi e Montano, per i fatti su esposti, devono dar conto di sé e il 24 dicembre vengono accompagnati nella caserma capoluogo di Cosenza e trattenuti per essere a disposizione dell’autorità giudiziaria e ciò quasi contemporaneamente alla costituzione presso il Distretto Militare di Rosario Pecora, il figlio di Teresina, ricercato per diserzione.

Il 26 dicembre, svolte alcune indagini, esclusivamente basate sugli interrogatori di Scelsi e Montano, il Maggiore Basso, comandante la Divisione Carabinieri di Cosenza, spedisce al Pretore di Spezzano un verbale con una ricostruzione dei fatti alquanto diversa da quella fornita dal Vice Brigadiere Jacono nel suo primo verbale:

Il fabbricato rustico è composto di due soli ambienti a pian terreno, intercomunicanti a mezzo di una porta praticata nel muro divisorio. Uno dei locali è adibito a rivendita di vino, l’altro ad abitazione. A detti vani si accede per due diverse porte, ambedue prospicienti sulla strada maestra Cosenza-Celico. Il Carabiniere Scelsi dispose che l’ausiliario Montano sorvegliasse l’ingresso della cantina che era chiuso al di dentro, mentre egli bussò all’altra porta di abitazione. Gli venne aperto dalla moglie dell’esercente, Teresa Spadafora, alla quale il Carabiniere domandò chi fossero le persone ivi riunite. Questa, in tono risentito, si rifiutò d’indicarle, replicando non essere quella l’ora di entrare nella sua casa. Malgrado il Carabiniere Scelsi le facesse presente trattarsi di un esercizio pubblico, la donna non si acquietò e tacciò i Carabinieri di “ubriaconi”. Alle insistenti richieste si decise, infine, ad aprire l’altra porta, per modo che anche l’ausiliario Montano poté così entrare nel locale adibito a cantina ove, assicuratosi non vi fosse alcuno, venne poi a fermarsi sulla soglia della porta di comunicazione dei due ambienti. Per l’ora avanzata era già buio e solamente la camera adibita a dormitorio era rischiarata da un unico lume ad olio, collocato su di un tavolo, che faceva così poca luce da permettere appena ai Carabinieri di scorgere nell’interno una decina di persone, tra le quali alcune donne. Dato il contegno intollerante della Spadafora e poco rassicurante dei presenti, né conoscendo il soldato disertore, i Carabinieri, inastata la baionetta, ingiunsero agli astanti di non muoversi ed agli uomini di esibire, uno alla volta, i rispettivi documenti personali accertanti la loro identità, in rapporto ai loro obblighi di servizio militare. Tal Merenda Angelo, d’anni 22, che trovavasi più vicino all’ausiliario Montano, ottemperò all’ingiunzione esibendo i propri documenti che, per l’oscurità, non fu possibile verificare. In quel mentre, però, gli altri presenti, protestando e tumultuando, si assieparono verso la porta che mette sulla strada e s’intese l’esplosione di un colpo di rivoltella. Alla detonazione, il Carabiniere Scelsi esplose un colpo di moschetto che uccise la Spadafora, la quale si trovava nel mezzo della stanza. I testi negano d’aver assunto, nell’occasione, contegno minaccioso. Dichiarano di non aver compreso le frasi rivolte dalla Teresa Spadafora ai militari e negano l’esplosione del colpo di d’arma da fuoco, tanto nell’interno della casa, quanto al di fuori. Solamente il Merenda, nella deposizione raccolta a verbale, dichiara di avere udito esplodere un colpo di rivoltella diretto verso i Carabinieri che lo traducevano, quando con lui si trovavano discosti circa 100 passi dalla casa ove si erano svolti i fatti.

Essendo però tutti i testi complicati nell’accaduto, è logico come si mantengano negativi, ma dappoiché il Merenda ammette il colpo di rivoltella esploso fuori dalla casa, ne viene di conseguenza che qualcuno dei presenti era armato. Acquista pertanto maggior fondamento l’asserto dei Carabinieri d’essere stato esploso un colpo di rivoltella anche all’interno nel momento del subbuglio. Nella cantina non fu possibile rinvenire il proiettile esploso dalla rivoltella, né constatare quale possa essere l’abrasione da esso prodotto sulle pareti, dato il cattivo stato di manutenzione di queste e le molte scrostature.

Mal si regolarono, però, i Carabinieri nel non perquisire gli altri uomini rimasti nella casa, come pure nel non tradurre qualche altro dei più giovani nella caserma, per aver modo di meglio dar ragione dell’accaduto ed impedire così che avessero tempo di accordarsi nella deposizione. Difatti, l’unico ad ammettere parte della verità è quello accompagnato in caserma, che dall’Autorità Giudiziaria venne rilasciato in libertà.

Ora, senza voler essere dei profani malpensanti, dal verbale del Maggiore Basso, da quello del Vice Brigadiere Jacono e dalle dichiarazione di Scelsi e Montano viene in mente una domanda assai banale: perché tutti parlano di “aver sentito” l’esplosione di un colpo di rivoltella all’interno della stanza (e accidenti se si sente!), mentre nessuno dice di “aver visto” la fiammata di una revolverata? Eppure sono tutti d’accordo nell’affermare che la stanza era praticamente al buio e la fiammata del colpo di rivoltella sarebbe stata visibile. O no? Al contrario, ci sarebbe stata la dimostrazione che tutti i testimoni, oltre ad essere sordi, erano anche ciechi.

Comunque, le carte vengono inviate alla Commissione per le autorizzazioni a procedere che, il 13 giugno 1918, concede l’autorizzazione a procedere contro il Carabiniere Scelsi Giuseppe ed è negata in confronto del Carabiniere Montano Luigi. Adesso ad occuparsi del caso sarà il Tribunale Militare di Monteleone di Calabria, con l’accusa di Omicidio per eccesso nell’esercizio della forza pubblica. Il 3 settembre successivo si apre il dibattimento e, alla fine di un’udienza drammatica, il Pubblico Ministero chiede che, in base alle nuove risultanze emerse nel pubblico dibattimento, il reato sia rubricato come omicidio volontario. Una vera e propria mazzata. La difesa si oppone strenuamente e chiede il rinvio della causa per la presentazione di nuovi testimoni.  La Corte accoglie la richiesta e se ne riparlerà tra qualche mese, l’11 giugno 1919. Ma c’è un’altra sorpresa.  Il 6 giugno 1919, il Pubblico Ministero scrive: Ritenuto che, avendo il R.D. 21-2-1919 N° 150 sottratto alla competenza dei Tribunali Militari la cognizione dei reati di indole comune, debbono i presenti atti essere trasmessi all’autorità giudiziaria ordinaria per competenza. Si riserba di sollevare al pubblico dibattimento l’eccezione di incompetenza a giudicare del Tribunale Militare. Si perderà altro tempo, sia per i diritti della parte offesa, sia per quelli dell’imputato.

Ma nemmeno questa volta va bene, infatti il Pubblico Ministero eccepisce che in udienza si sono presentati alcuni testimoni diffidati a non comparire e chiede un nuovo rinvio della causa, alla quale si associa anche la difesa di Scelsi. La Corte accoglie e rinvia tutto a nuovo ruolo, ma questa volta ad occuparsi del caso sarà il Tribunale Ordinario, essendo stata accolta l’eccezione fatta dal Pubblico Ministero riguardo l’incompetenza a giudicare della Giustizia Militare.

Questo comporta l’inizio della normale procedura penale con una nuova istruttoria e l’emissione di un mandato di cattura per il Carabiniere Scelsi. Alla fine, la Procura del re ricostruisce i fatti in modo diametralmente opposto da quanto fatto dal Maggiore dei Carabinieri e accettata dal Tribunale Militare. Vediamo: tutti i testimoni hanno affermato non esser vero ch’egli sparò dopo la esplosione di un colpo di arma da fuoco, quale colpo non fu affatto esploso. Se precedentemente all’uccisione, in casa dei Pecora fosse stato esploso un colpo di arma da fuoco, l’altro Carabiniere Montano – che in quella stessa sera fu interrogato dal Comandante della stazione, in presenza di altri militi – ne avrebbe parlato, mentre nel verbale redatto sta detto solo: “il Carabiniere Scelsi attesta di aver sentito un colpo di rivoltella”.

Evidentemente al Maggiore Basso questo particolare era sfuggito, come era sfuggito, sebbene anche Scelsi lo avesse dichiarato, che il mandato di cattura nei confronti di Rosario Pecora non poteva essere eseguito in tempo di notte.

La ricostruzione della Procura viene accolta dalla Sezione di Accusa e Scelsi viene rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza. È il 25 febbraio 1920, 3 anni e due mesi dopo i fatti.

Ma la difesa di Scelsi non ci sta e ricorre alla Suprema Corte di Cassazione, che un paio di mesi dopo dichiara inammissibile il ricorso. Adesso non ci sono più scuse, il Carabiniere dovrà affrontare il processo.

Lo farà il 10 gennaio 1921 quando, a sorpresa, il Pubblico Ministero dichiara di sostenere la sentenza d’accusa, col beneficio dell’eccesso di difesa. Se abbiamo capito bene, il Pubblico Ministero conferma che si trattò di un omicidio volontario, ma meritevole dell’attenuante dell’eccesso di legittima difesa. Da profani diremmo che si tratta di una contraddizione in termini, però di Codice Penale non ne sappiamo niente e quindi sicuramente ci sbagliamo.

Comunque è una questione di lana caprina perché a mettere a posto le cose ci pensa la giuria popolare che, nell’affermare come sia vera la circostanza che il 23 dicembre 1917 il Carabiniere Giuseppe Scelsi esplose un colpo di moschetto sulla persona di Spadafora Teresa che, ledendo polmoni e cuore, fu causa unica e diretta della morte istantanea di colei, dichiara che il colpo di moschetto non fu esploso volontariamente al fine di uccidere e manda assolto il Carabinere Giuseppe Scelsi.[1]

 

 

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[1] ASCS, Processi Penali.