MISERIA E CODA DI PAGLIA di Matteo Dalena

Giuseppe De Marco era un pittore squattrinato ventottenne che viveva in un tugurio di via Fontana Nuova a Cosenza. Per tirare a campare coi frutti del proprio lavoro pare che l’uomo le avesse provate tutte: un giorno di novembre del 1897 all’uscita di una riunione della Deputazione provinciale finì persino per inginocchiarsi nella speranza che qualche buon uomo, muovendosi a compassione, si convincesse a farsi tinteggiare l’abitazione. Raccolse appena pochi spiccioli, sufficienti per una bevuta nella cantina di Gaetano Perna. Tanto ad attenderlo nel tugurio non c’era nessuno. Non la compagna Rosina, “donna di strada” dalla cattiva fama, che sarebbe rincasata sul far del mattino. Giuseppe non le avrebbe posto nessuna domanda: non che non gli interessasse! Semplicemente lei aveva portato a casa del denaro e lui no. Avrebbero potuto così comprare del pane per i due figlioli, cui quotidianamente badava un’attempata signora più per pena che per effettiva mansione. A pochi giorni dal Natale, De Marco ricevette un invito a cena dalla propria famiglia ma – come annotava la “Cronaca di Calabria” – «l’infelice pensando che da questi non poteva menare i due figlioletti, e la moglie, perché non era unito con essa in matrimonio secondo i vincoli legali, e quindi sarebbe stato mal accolto dai commensali rifiutò l’invito».

Ancora alla fine dell’Ottocento le vite erano scandite da passaggi obbligati, come in questo caso il suggello matrimoniale, in mancanza dei quali uomini e soprattutto donne erano sottoposti alla riprovazione morale da parte della comunità, parenti in primis. Si trattava di convinzioni inveterate che, nella maggior parte dei casi, erano più forti persino degli affetti, e che in condizioni di vita miserande potevano portare a conseguenze tragiche.

La sera della vigilia di Natale del 1897 Giuseppe tornò a tarda ora perché «piuttosto che rincasare senza poter portare un pezzo di pane ai suoi». Lesto si recò sul soppalco, dove conservava gli arnesi del mestiere, compreso un sacco contenente una poltiglia che emanava un forte odore. Si trattava di “calce blu”, un composto fatto di calce aerea, latte di calce e solfato di rame, molto economico, e che Giuseppe utilizzava per la tinteggiatura di interni e facciate. Senza pensarci nemmeno tanto l’uomo ne assunse una certa quantità: «All’infelice, colpito dai sintomi dell’avvelenamento furono prodigate le prime cure, ma invano giacché dopo poco spirò».

Ai primi di gennaio del 1898 la Cronaca di Calabria, forse imbeccata da qualche vicino, pubblicò “Gli effetti della miseria”, in cui si narravano le ultime ore dello sciagurato pittore. La voce si sparse in fretta, arrivando alle orecchie dei parenti di De Marco che, quel giorno stesso, invitarono il giornale della famiglia Caputo alla rettifica: «Quello sventurato Giuseppe De Marco, di cui dicemmo che si suicidò per miseria, da migliori informazioni assunte, risulta che si avvelenò perché affetto da manie di persecuzione. Da parecchi mesi si credeva minacciato da tutti e mostrava un timor panico di cui spesso era in preda. Inutili furono le più amorevoli cure dei fratelli, i quali oltre che lo sostenevano quando era privo di mezzi, cercavano di convincerlo che nessuno lo minacciava». Non solo, l’articolo di rettifica non conteneva traccia della “moglie” o dei due figli, ripiombati nuovamente nell’anonimato della storia. Fu un clamoroso abbaglio della Cronaca o c’era qualcosa sotto?  Non è dato saperlo. Ciò che è certo è che i fratelli di De Marco querelarono il giornale: secondo i residui cavallereschi del tempo, la lite avrebbe potuto portare anche a un duello. Il giornale preferì comunque fare dietrofront: «Ciò rettifichiamo perché non si accusino i parenti dello sventurato De Marco di poco affetto, mentre verso il defunto furono sempre larghi di aiuti e di amorevoli cure». Non solo: «Il fratello Rosario, un bravo operaio, fece tutte le spese dell’accompagnamento funebre».

Del contenuto di questi articoli, più che della giovane vita spezzata di Giuseppe, si parlò per giorni in città. Fu istruito persino un procedimento penale, di poche pagine, che non ebbe alcun esito. Il bailamme mediatico si dissolse nella successiva colonnina di cronaca nera.

 

 

 

Fonti:

Cronaca di Calabria, Gennaio 1898

“Gli effetti della miseria”

“Pel suicida De Marco”

ASCS, Processi Penali