L’ONORE MIO

È il 30 giugno 1936, tempo di mietitura del grano. Anche il trentatreenne Nicola Tarasio è impegnato a dare di falce in contrada Iardinu di Montalto Uffugo. Il sole picchia forte sulle spalle dei contadini che di tanto in tanto si fermano per asciugare il sudore della fronte. È in uno di questi brevissimi istanti che Giuseppe Ingribelli si avvicina a Nicola e gli dice:
– Nicò… lo sai che ti potrei essere padre e per questo devo dirti una cosa…
Pè… dimmi…
– Quindici o venti giorni orsono, tua moglie Rosaria si è chiusa in casa di Domenico Franzese…
– Ma che vai pensando… quello è più vecchio di te! – Nicola è scettico, sa che la gente spesso parla a sproposito per divertirsi a seminare zizzania.
– Nicò… io quello che dovevo dirti te l’ho detto… fai come vuoi…
Poi i due tornano a falciare le spighe sotto il sole cocente e dalla lena che Nicola mette nei colpi di falce non ci vuole molto a capire che il dubbio si è insinuato nella sua testa. Tornato a casa, Nicola chiede spiegazioni a sua moglie.
– Non è vero! La gente è maligna!
– Si, la gente è maligna, ma questa cosa mi ha fatto tornare in mente quella volta che ti ho vista mentre Micuzzu Franzese cercava di baciarti!
– E mò la colpa che era ubriaco è mia? Ne abbiamo già parlato abbastanza di quel fatto…
– Si, ma ti avevo anche ammonito a non dare confidenza alla gente estranea come fai tu che parli con tutti, maschi e femmine e Micuzzu Franzese parla spesso con te, l’ho visto parecchie volte con i miei occhi, qui davanti alla porta di casa o sui gradini… ora dimmi la verità se no è peggio e, perlamadonna, ti giuro che t’ammazzo se non mi dici la verità…
– Nicò… è vero… ma non è come pensi tu… ero andata a portargli un po’ di olio per friggere i pesci e ha chiuso la porta… io non volevo…
– Ma vi siete congiunti carnalmente?
– Mi ha obbligata…
Bestemmiando, Nicola esce di casa e da questo momento non ha più pace. Comincia a sorvegliare Rosaria per sincerarsi se i rapporti carnali fra i due fossero continuati ulteriormente, e così la notte del 2 luglio, roso dal sospetto, si alza dal letto, si veste e dice alla moglie che sta andando a San Pietro in Guarano, suo paese natale, per far visita ai genitori, ma invece si nasconde in un orto sottostante alla via del Carmine da dove vedeva benissimo le finestre di casa sua e poco dopo vede Rosaria che si affaccia continuamente alla finestra in atteggiamento piuttosto sospetto. Dopo circa un’ora vede Franzese camminare lungo la strada rotabile che passa dinanzi alla scalinata di casa e, nel contempo, sua moglie che esce sulla strada! Non riesce a vedere se i due parlano tra di loro e il sangue comincia a salirgli alla testa. Decide di tornare a casa e si rimette a letto.
– E tu sei tornato? Non sei andato a San Pietro?
– No, ci ho ripensato… è meglio se resto qui a sbrigare i miei lavori campestri… – le risponde simulando noncuranza, poi si gira dall’altra parte e finge di addormentarsi. Verso le 6,00 si alza lasciando Rosaria a letto e finge di andare al lavoro, invece si nasconde in un angolo del sottoscala della sua abitazione e aspetta pazientemente. Aspetta pazientemente per cinque ore spiando i movimenti della moglie. Poi Rosaria si carica sulla testa un sacco pieno di farina per portarlo al forno di Micuzzu ‘u chiacchiarune. Nicola ne approfitta per sgranchirsi un po’ le gambe, poi si nasconde dietro l’imposta di una finestra non appena sente Rosaria salire lungo la gradinata di casa e da qui può vedere che sua moglie è seguita a breve distanza dal Franzese. Bestemmia sottovoce e poi sorride compiaciuto: sta per coglierli sul fatto! Vede Franzese che sciorina due giacche sulla ringhiera di Via Carmine e poi entra in casa. Approfittando del fatto che Rosaria e il suo amante stanno parlando vicino alla porta, torna nel sottoscala, il suo primo nascondiglio e comincia a origliare ciò che i due si stanno dicendo.
Micù… Nicola ha saputo di quando ci siamo chiusi in casa tua… che cosa mi hai fatto… tu mi fai ammazzare da mio marito… perché mi hai inquietato… perché mi vieni dietro tu che sei un vecchio e mi fai perdere mio marito ch’è giovane? – dice lei.
Non ti preoccupare che qualora tuo marito dovesse abbandonarti te ne verrai con me… ad ogni modo adesso me ne vado, che cosa faccio più qui?
Resta ancora un po’… dove vai?
Nicola serra i pugni e digrigna i denti per la rabbia che deve reprimere, poi, facendo molta attenzione, esce dal sottoscala e si avvicina alla porta della cucina dove i due si sono spostati. La porta è chiusa. Nicola si piega e sbircia all’interno attraverso il buco della serratura ma non vede niente. Bestemmia mentalmente perché la serratura dall’altra parte ha una specie di coperchietto girevole che gli impedisce la visuale. Non è detta l’ultima parola, più in basso ci sono un forellino e una crepa nel legno e da qui qualcosa si può vedere: Rosaria e Domenico Franzese si stanno abbracciando e baciando mentre si dirigono nel ripostiglio attiguo alla cucina, indubbiamente per congiungersi.
Allora facciamo un’altra sciammerga? – le propone Domenico.
È troppo, non può frenare ulteriormente il suo sdegno. Con uno spintone spalanca la porta, prende la scure che abitualmente lascia in cucina e si scaglia contro i due che, udendo il fracasso, sono usciti dal ripostiglio e vengono sorpresi da una tempesta di colpi, nessuno saprà mai quanti, tutti diretti sulle loro teste. Rosaria e Domenico cadono come rami spezzati quasi contemporaneamente e quasi contemporaneamente muoiono, ma Nicola non frena la sua furia e continua a colpire senza pietà con le lacrime di rabbia che gli solcano il viso. Poi si ferma all’improvviso ansando, ansando stanco come quando ha appena abbattuto un albero. Butta per terra la scure, esce di casa, richiude la porta e va dai Carabinieri.
È mezzogiorno quando, con frasi smozzicate, dice al Maresciallo Maggiore Francesco Diana di andare a casa sua dove troveranno i cadaveri di sua moglie, la trentanovenne Rosaria Scarlato, e dell’amante, il sessantanovenne Domenico Franzese.
La vista della scena del crimine è raccapricciante: il cadavere di Rosaria giace supino in una pozza di sangue con le braccia aperte e stese, le gambe, nude dal ginocchio in giù, leggermente divaricate. I capelli bruni sono sciolti e accanto, nel sangue, c’è la pettinissa che li teneva raccolti, con una ciocca di capelli ancora attaccata. Sulla testa, nella regione sopraorbitaria sinistra c’è una ferita lunga quasi 25 centimetri che arriva quasi alla nuca. Il lobo dell’orecchio sinistro è staccato e le ossa della faccia sono frantumate, ridotte quasi ad una poltiglia. Girato il cadavere, sulla nuca c’è un’altra ferita, lunga una decina di centimetri e profonda 7 che ha quasi decapitato Rosaria. Che Nicola abbia tentato di staccare la testa di sua moglie dal corpo risulta evidente da altre due ferite: la prima, lunga 5 centimetri e profonda 2, sulla parte destra del collo, la seconda, lunga 10 centimetri e profonda 5, tra la nuca e il dorso. Ma le ferite non sono solo queste. Con certezza il medico ne identifica altre tre: una sulla spalla sinistra, un’altra sulla scapola sinistra e l’ultima sotto l’ascella destra. Poi ci sono i segni di colpi dati col dorso della scure, ma è impossibile determinarne il numero.
Su Domenco Franzese sembra essersi accanito di meno. Il suo cadavere, anch’esso in una pozza di sangue, viene trovato in posizione quasi bocconi, con le braccia conserte al seno. Ha una ferita vastissima che va dalla regione temporale destra sino al mento con grumi di sangue e materia cerebrale; le ossa sono frantumate. Un’altra ferita contusa con avvallamento e frattura del cranio alla regione temporale destra. Una ferita da taglio interessante l’occhio destro. Una ferita da taglio nella regione clavicolare destra con frattura dell’osso. Il dottor Giovanni Catanzaro specifica che gli organi genitali di Franzese non presentano tracce di sperma e questo potrebbe essere un fatto importante per stabilire se si sia trattato di un omicidio per causa d’onore o meno.
Secondo le indagini condotte dal Maresciallo Diana, tra Rosaria, alquanto deficiente mentalmente, e Domenico Franzese effettivamente esisteva da qualche tempo relazione illegittima. A confermarlo ci sono diverse testimonianze, tra le quali quelle di Emilio Corno e Alfredo Arturi. Raccontano i due:
– Il 18 giugno verso le 11,30, Rosaria Scarlato si era chiusa assieme a Domenico Franzese, ‘U Rugnusu, nella casa di costui
– Come fate ad esserne certi?
– L’ho vista entrare – dice Arturi.
Poi per curiosità, sia io che Arturi – continua Corno – spiammo le mosse dei suddetti per accertarci quando la Scarlato sarebbe uscita. Stando noi due al davanzale di una finestra di prospetto alla casa di Franzese, scorgemmo che quest’ultimo uscì di casa e chiuse a chiave l’uscio lasciando nell’interno del locale la Scarlato. Durante l’assenza di Franzese io salii sul tetto della sua casa e, tolta una tegola, viddi la Scarlato seduta per terra. La esortai a scappare fuori dicendogli che non vi era nessuno in quei pressi, ma essa anziché ascoltare il mio consiglio si rincantucciò in un angolo della casa. Dopo circa qualche ora fece ritorno il Franzese e, avvicinatosi all’uscio di casa sua, cercò di aprire ma la porta era sbarrata dall’interno. In vista di ciò egli scese in un vicolo sottostante alla sua abitazione dove sporge una finestra e di lì fischiò alla Scarlato e questa subito aprì la porta. Subito dopo uscì recandosi a pulire il porcile lì vicino. Stamane, poco prima del delitto, ho visto che Franzese ha sciorinato due giacche sulla ringhiera della Chiesa del Carmine e poscia si è recato a casa della Scarlato che abita di fronte alla ringhiera stessa
– Avete visto il marito della Franzese nei paraggi?
– Non ho visto il marito – continua Corbo – ho inteso, invece, che la donna e il Franzese confabulavano fra di loro in casa della stessa.
– Avete viso, in passato, se Franzese visitava la casa della Scarlato quando il marito era assente?
Franzese ha sempre visitato la casa della donna durante l’assenza del marito e qualche volta anche quando si trovava in casa costui
Ora Nicola Tarasio deve raccontare la sua versione dei fatti:
Confesso il fatto. Ho ucciso in casa mia con vari colpi di scure mia moglie e il suo amante mentre offendevano l’onore mioio volevo bene a mia moglie, che sposai per affetto, sebbene mi avesse portato una dote di dodicimila lire… il mio comportamento è stato sempre di buon marito, tanto che mi sono sottoposto a lavorare di più pur di risparmiarla
– Si dice che vostra moglie fosse stupida
Mia moglie non era stupida e si fermava ben volentieri a parlare con chiunque, uomini o donne, in casa e fuori. Io non avevo sospetti sulla fedeltà di Rosaria, ma già da qualche anno, vedendola così leggera, l’avvertivo di non essere così facile ai discorsi con gente estranea. Cinque o sei mesi fa, stando alla finestra, vidi Franzese sulla strada, quasi ubbriaco, che andava incontro a mia moglie che tornava dal porcile ed infine tentava di baciarla ma mia moglie non acconsentì e, divincolatasi, tornò a casa. La rimproverai e lei mi rispose: “Che cosa ci posso fare se Franzese si ubbriaca?”. Io non ebbi sospetti… non potevo pensare che mia moglie, così giovane, mi tradisse con un vecchio! – poi racconta un episodio, avvenuto prima di quando Rosaria si chiuse in casa con Franzese, che avrebbe dovuto insospettirlo -. Nel maggio decorso, mia moglie si partì in contrada Pianette presso i suoi in occasione di una festa religiosa e vi andò pure Franzese. Alla sera, stava già imbrunendo ma si vedeva bene, io andai all’incontro di mia moglie e fui sorpreso quando un bambino mi gridò:Nicola, stai accorto ca ‘U Rugnusu ti frica a muglierta!”. Continuando nella strada incontrai mia moglie con Franzese intenti a conversare, camminando. A casa la rimproverai ma costei si giustificò dicendo che era stata raggiunta per caso lungo la strada… poi mi hanno raccontato di quando si è chiusa in casa di Franzese e non ho avuto più pace…
– Parlateci dell’ultima notte…
– Verso le due di notte ho fatto finta di partire per il mio paese e mi sono nascosto vicino casa. Mia moglie si è affacciata alla finestra e poi è arrivato Franzese, ma non ho visto scambi di parola o di segnicerto è che io, restando sempre appiattato, vidi che mia moglie scese nel portone di casa ch’era aperto e mentre io mi sono portato in altro punto della strada per spiare meglio, ho visto Franzese avanti il portone e mia moglie avanti lo stesso
– Ma come avete fatto a vedere tutto questo al buio?
Potevo veder tutto perché la strada in quel punto è illuminata da lampadina elettrica
– C’è una cosa che bisogna chiarire… come hanno fatto vostra moglie e Franzese a non sentire i vostri passi in casa, dato che portate scarpe chiodate, molto rumorose?
Spostandomi dal sottoscala alla porta mi ero tolto le scarpe, che lasciai nel sottoscala… poi ho sentito che Franzese diceva a mia moglie: “Perché non fai presto? Le altre volte hai fatto subito e adesso no?”. In preda alla furia aprii la porta con un chiavino che avevo con me ed impadronitomi di una scure ch’era in cucina, colpii per ben due volte Franzese mentre usciva dal ripostiglio, facendolo stramazzare a terra, e di poi a mia moglie che gridava: “Ammazzami che hai ragione!”… non so quanti colpi di scure detti a tutti e due…
– Ma li avete visti mentre… cioè, Franzese aveva l’asta virile di fuori che si congiungeva con vostra moglie?
– No, né vidi mia moglie svestirsi o prepararsi alzandosi le vesti per il coito. Certo è che i due intendevano stendersi nel ripostiglio, ma furono interrotti per il mio intervento
I Carabinieri hanno dei dubbi sul fatto che Nicola avesse potuto davvero vedere sua moglie e Franzese che si abbracciavano e baciavano perché da esperimento fatto è stato notato che dal foro sottostante alla serratura, esso Tarasio poteva vedere soltanto i piedi dei due uccisi, ma non poteva vedere se essi si baciavano. Poi, però, devono ammettere che era facile sentirli baciare.
Nicola Tarasio viene rinviato a giudizio e il dibattimento si terrà non davanti alla Corte d’Assise, ma davanti al Tribunale Penale di Cosenza. La differenza consiste nel fatto che a giudicarli saranno solo giudici togati e non anche la giuria popolare.
Il 12 ottobre 1936 il Tribunale ritiene l’imputato colpevole di omicidio continuato e lo condanna a 3 anni e 6 mesi di reclusione. Praticamente la pena minima prevista per l’omicidio per causa d’onore.
Il ricorso in Appello viene respinto il 22 marzo 1937.[1]

 

[1] ASCS, Processi Penali.

 

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