L’AMANTE STAGIONATO

È la sera del 7 settembre 1936, nella sua casa in Via Sotto le Mura 40 a Grisolia, Francesco Bellusci ha appena finito di cenare con la moglie Maria Rosaria De Patto, i due figlioletti e suo fratello Pietro.
– Marì, io e Pietro andiamo a Scalea alla fiera, tu vieni domani mattina ché dobbiamo fare delle compere…
I due fratelli escono e si fermano davanti alla casa di Giovanni Mazza, che è seduto davanti alla porta con la guardia campestre Antonio Montesano.
Che bella sorte ch’ebbe lu curnutu, senza essere re fu incoronato… – canticchia come al solito Montesano non appena vede il suo migliore amico uscire di casa e scoppiando, poi,  a ridere insieme fragorosamente.
– Noi ci avviamo a Scalea, vuoi venire? – chiede Francesco all’amico Giovanni.
No, sono stancovengo domani mattina presto
– Allora, per favore, quando parti, chiama mia moglie così fate la strada insieme.
– Compà… – si intromette Montesano – se fai presto puoi usufruire del treno che passa tra poco
– Compà, non fa niente, andiamo a piedi – risponde Francesco, che si allontana insieme a suo fratello.
Maria Rosa sparecchia, poi mette a dormire i bambini. Ha sete, ma l’acqua è finita, così va a riempire la brocca al fontanino vicino e torna a casa.
– Marì… Marì… – sente sussurrare nel buio da una voce maschile. Aguzza la vista e risponde.
– Tu sei?
Adesso dobbiamo fare il fatto! – le sussurra all’orecchio l’uomo.
– No… ho paura… è pericoloso… vattene…
L’uomo, ostinato, la prende di peso e la butta sul letto. In fretta si toglie il cappello, la giacca e il panciotto, si sbottona i pantaloni, alza a Maria l’unica veste che ha addosso, le sfila le mutandine e cominciano a fare l’amore, mentre i bambini dormono profondamente accanto a loro.
La fioca luce di un fiammifero illumina per qualche secondo i due amanti avvinghiati l’uno all’altra. L’uomo, sorpreso, gira la testa in direzione della fiammella. Maria Rosaria sgrana gli occhi.
Bravi! Vi ho sorpresi sul fatto! – dice Francesco che poi rimane a bocca aperta quando, un attimo prima che il fiammifero si spenga, vede in faccia l’amante di sua moglie – tutto… tutto mi aspettavo, ma non questo… – farfuglia mentre il sangue gli sale alla testa e le tempie sembrano scoppiargli. L’amante cerca di rialzarsi in fretta per scappare. Non si abbottona nemmeno i pantaloni e cerca di uscire. Francesco, nel buio, allunga una mano dove sa di avere posato la sua scure e comincia a tirare fendenti alla cieca. Rumore di oggetti che cadono a terra, urla di dolore, bestemmie.
– Ah! Hai fatto anche a me! – urla Maria Rosaria dopo aver ricevuto un colpo di scure ad un braccio, poi cade svenuta sul letto.
Altri colpi alla cieca e il tonfo di un corpo che cade. Poi il silenzio.
Francesco accende un lume ad olio. Sua moglie, coperta di sangue, gli sembra morta. L’amante, orrendamente colpito alla testa e al collo, anche, ma forse non è ancora morto perché il sangue continua a schizzare fuori dalle ferite, ricoprendo tutto ciò che c’è intorno a lui.
  Tutto mi aspettavo, ma non questo… – ripete tra sé e sé mentre guarda per l’ultima volta il volto sfigurato del suo ex migliore amico, Antonio Montesano. Poi posa la scure, controlla che i bambini non si siano svegliati ed esce di casa.
Sulla strada lo sta aspettando suo fratello Pietro, che lo vede sporco di sangue dalla testa ai piedi; non fa in tempo a chiedergli cosa sia successo, che Francesco lo anticipa:
– Ho fatto tutto da solo… era compare Antonio… andiamo via… accompagnami alla Giustizia di Verbicaro per costituirmi…
Maria Rosaria riprende i sensi quasi subito. Perde sangue dall’avambraccio e ha seri problemi a muoverlo, ma riesce lo stesso a prendere i bambini e portarli fuori al buio per non far loro vedere quello spettacolo orrendo, poi va a chiamare Giovanni Mazza e sua sorella che la accompagnano dai Carabinieri del paese.
Poco fa mi sono resa responsabile dell’omicidio di Antonio Montesano perché questi, approfittando dell’assenza di mio marito, penetrato arbitrariamente in casa, voleva possedermi, riuscendo allo scopo con violenza – racconta al Brigadiere Umberto Ferrara, mentre si tampona la ferita con uno straccio sporco.
– Come l’avete ucciso?
– Sono riuscita a svincolarmi, ho preso una scure che abbiamo in casa e sono riuscita a colpire varie volte Montesano il quale, a sua volta, con la stessa scure mi ha ferita
Il cadavere di Antonio Montesano, guardia campestre comunale, giace sul lato destro un po’ in decubito con la faccia sul pavimento; è vestito in parte e cioè dalla camicia, dai pantaloni corti color cachi, calzettoni e scarpe slacciate; le brache dei pantaloni aperte, tanto da lasciar vedere in parte il pene. Il cadavere presenta una larga ferita alla parte laterale sinistra del collo con recisione completa della iucolare e delle altre arterie accessorie, nonché altra ferita sulla testa e altra sul naso. Dal modo come è stato colpito il Montesano, lascia intravedere subito che si tratta di colpi dati da polso fermo e non da una donna, per la cavità enorme delle ferite, specialmente quella del collo.
– Questa non è opera vostra, non può essere opera di una donna… ci sono voluti polsi fermi e braccia forti… dite la verità – le suggerisce il Brigadiere, ma Maria Rosaria insiste.
Quando i vicini cominciano a raccontare di aver visto uscire di casa Francesco Bellusci subito dopo aver udito dei rumori provenire dall’interno della casa, come se si fossero azzuffate delle persone, il Brigadiere si convince che l’autore dell’omicidio è il marito della donna, forse aiutato da qualcun altro, e comincia a farlo ricercare dai propri uomini, ma senza successo.
Interrogata di nuovo, la ventiduenne Maria Rosaria, davanti alle testimonianze dei vicini, cambia versione e racconta di come il marito, rientrato all’improvviso, l’ha sorpresa con l’amante e ha fatto quello che ha fatto, poi aggiunge:
– Mio marito era sicuro di avere ucciso anche me…
– Ma perché vi siete accusata?
Perché siccome io avevo fatto il danno di aver tradito mio marito, io stessa volevo piangerne le conseguenze
– Da quanto tempo eravate amanti?
Da parecchio temposi approfittò di me una prima volta in campagna e successivamente in casa mia e dove lui poteva pescarmi, non mi risparmiava. Nessuno si era accorto della nostra tresca, data la fraterna amicizia che correva tra la mia famiglia e quella del Montesano… spesse volte lo avevo pregato di lasciarmi stare perché, gli dicevo, “se eventualmente si accorge mio marito, non finisce certamente bene”… lui non solo che volle continuare, ma, poco curandosi di mio marito, ogni volta che si dava l’occasione e specialmente quando lo vedeva vicino casa, cantava la strofetta del cornuto
– Pensate che vostro marito si sia accorto della tresca?
– Non lo so… lui mi ha trattato sempre bene. Solo da poco tempo vedevo che non era più ilare come il suo solito, ma ho attribuito ciò a malattia oppure ad altri fatti suoi
Proprio mentre Maria Rosaria mette il segno di croce sul verbale dell’interrogatorio, da Verbicaro arriva il telegramma che annuncia la costituzione e l’arresto dei fratelli Bellusci, senza specificare altro. Il Brigadiere, a questo punto, indaga per trovare le prove del coinvolgimento di Pietro nel delitto e scopre che dal pomeriggio del 7 settembre fino a dopo la consumazione del delitto, i fratelli Bellusci sono stati visti sempre insieme, talvolta confabulando a bassa voce, e che insieme, prima di andare a Verbicaro, sono stati a casa della loro sorella per avvertirla del fatto. Stando così le cose, è chiaro che sono tutti e due colpevoli.
Quello che non è chiaro è come mai nessuno, ma proprio nessuno, si sia mai accorto della relazione tra Maria Rosaria e Antonio o abbia almeno avuto dei sospetti in merito. Nemmeno la vedova Montesano si è mai accorta di niente. Addirittura sembra che nemmeno Francesco Bellusci sospettasse di compare Antonio, quello che considerava più che un amico, più che un compare, quasi un padre, visto che lui ha 24 anni e Montesano ne aveva 52. Interrogato, non ammette di avere avuto sospetti:
Io e mio fratello ci avviammo per la via Manche per raggiungere la strada rotabile che mena allo scalo di Grisolia. Fatti un paio di chilometri fui colto da forti dolori di pancia, tanto che non ho potuto proseguire e decidemmo di tornare a casa. Arrivati, notai che la porta era socchiusa e sentii dentro dei mormorii. Finiti i rumori feci segno a mio fratello di stare zitto ed entrai in casa in punta di piedi per non far rumore. Avvicinatomi al letto accesi un fiammifero e vidi che sul letto, in posizione supina, trovavasi mia moglie e su di essa un uomo che non conobbi. Istantaneamente fui preso da furia, afferrai una scure che era accanto al letto e tirai diversi colpi, non so quanti, sui due corpi che erano sul letto. Immediatamente l’uomo si lanciò su di me, io lo afferrai tra le mie braccia e dissi: “non scappare!”. Intanto il sangue sgorgava a fiotti dalle sue ferite e dopo pochissimi secondi lo lasciai e cadde riverso sul fianco. Mentre che io tenevo stretto l’uomo, che ora avevo conosciuto per Antonio Montesano, sentii gridare mia moglie: “mi hai fatto pure a me!”. io nulla risposi, accesi una piccola lampada ad olio e vidi mia moglie immobile sul letto, tutta insanguinata. Credendo di averla uccisa, mi assicurai che i miei due figlioletti si trovassero sul letto e per far svegliare i vicini gridai: “Venite per elemosina a pigliare i miei figli!”. Poi uscii, tutto sconvolto, sulla via
– Quindi avreste fatto tutto da solo? Sicuro che Pietro non vi ha aiutato?
Mio fratello rimase fuori perché glielo dissi io in quanto aveva le scarpe con i chiodi e facevano rumore ed a fatto compiuto gli dissi: “Andiamo via… accompagnami alla Giustizia di Verbicaro per costituirmi…”. Prima di partire mi recai da mia sorella per narrarle l’accaduto e per raccomandarle i miei figlioletti… non capisco e mi meraviglia il fatto che Pietro si sia costituito perché, vi assicuro, Pietro non ha in alcun modo preso parte al fattaccio. Forse ha fatto ciò per timore della rappresaglia della famiglia e del parentato del Montesano, assai esteso a Grisolia
– Possibile che non vi siate accorto della tresca?
Non ho mai dubitato della mia donna, alla quale non ho fatto mai mancare nulla… Montesano era intimissimo amico della mia famiglia… non mi sono mai reso conto di niente…
Secondo i Carabinieri e il Pretore di Verbicaro non è possibile che Pietro Bellusci non abbia aiutato suo fratello ad uccidere Montesano, poi le cose potrebbero cambiare quando si presenta un testimone, Antonio De Marco, che assicura:
Verso le 18,00 del 7 settembre, vidi che i fratelli Bellusci confabulavano tra di loro. Mi sono fermato un attimo ed ho udito che Pietro diceva al fratello le seguenti parole: “Se ove mai tu lo andrai a chiamare in casa, questo pensiero dalla testa te lo devi cacciare…”. I due, non appena hanno visto me, hanno subito cambiato discorso
Queste parole, le uniche percepite da De Marco, starebbero a dimostrare che Pietro cercava di dissuadere il fratello e quindi che davvero non ha partecipato al delitto, rubricato come omicidio per causa d’onore.
Intanto l’avvocato Pietro Mancini, che ha assunto la difesa dei fratelli Bellusci, scrive al Giudice Istruttore stravolgendo il racconto di Francesco Bellusci: Vostra Signoria, che ha cuore e nobiltà di sentimenti, non può che sentire all’unisono col sottoscritto, che difende Bellusci, il marito ventenne che uccide l’amante stagionato della moglie ventenne nel momento che ne sorprende la oscena violenza sul suo letto. Il modo come venne rinvenuto… il vecchio satiro – padre di otto figli – conclama la difesa del mio assistito. Il disgraziato Bellusci non ha ferito nell’atto in cui ha scoperto la illegittima relazione. La causal d’onore è un elemento secondario all’avvenimento. Vien dopo. Causa mediata. L’elemento principale, immediato, assorbente ed imponente, è lo stato fisico-morale di legittima difesa del proprio onore e della pudicizia della moglie. Il pericolo attuale di un’offesa ingiusta (la più ingiusta delle offese), stabilisce l’art. 52 C.P., tutti i beni personali possono essere legittimamente difesi, non essendosi detto “imminente alla persona”, ma solo “da sé o d’altri”, scrive S.E. Rocco nella sua relazione. Onde la dottrina e giurisprudenza hanno sempre ammesso la legittima difesa del pudore. Ciò premesso come assioma giuridico, è necessario esaminare la “situazione di fatto”. Il momento in cui Bellusci ha ferito: entra nella propria casa (è inerme, non lo si dimentichi) al buio. Egli non rinviene nessuna lettera scandalosa che gli scopre la relazione. Nottetempo, scopre l’amante della moglie nascosto in casa. Egli ha dinanzi agli occhi esterrefatti un immondo spettacolo: un uomo sulla sua donna nell’atto di coito. Egli sa la moglie onesta, fedele, non riconosce nemmeno l’uomo. In quel momento egli ferisce per difendere la pudicizia della propria donna. Dà colpi alla cieca. Egli non può, non deve che avere un pensiero: che la moglie sia vittima dell’audacia amorosa e sensuale di quell’uomo. Non altrimenti si sarebbe armato. Non scopre dunque la illegittima relazione. Il verbo scoprire ha un significato. Vede, ha dinanzi a sé, sul suo letto, al buio, un uomo ed una donna sotto. Quella donna è la moglie. Che fa? Interviene. Io chiedo la legittima difesa e la conseguente escarcerazione del mio cliente. Noti, signor Giudice, che io non riguardo la causa  col punto di vista dell.’art. 587. Prima l’art. 52. [ART. 587 C.P. abrogato il 5 settembre 1981 recita: Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. ART. 52 C.P.: Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa. Nda].
Un azzardo, ma il gioco vale la candela. Vediamo cosa dice il Giudice Istruttore Tommaso Gemelli nella sentenza di rinvio a giudizio:
Bellusci Francesco nulla sa; i parenti, i vicini nulla sospettano perché la donna infedele è ritenuta da tutti per moglie onestissima. Non vi è altra causa se non l’onore oltraggiato, l’improvvisa dolorosa scoperta che hanno armato il braccio omicida del Bellusci. Nessun altro motivo poteva suscitare nell’animo suo quell’impeto travolgente di collera omicida se non l’immonda inattesa visione della propria moglie, stretta nelle braccia di un altro uomo, in flagrante adulterio. Bellusci è degno di ogni commiserazione e non v’è persona di onore che non trovi nel suo intimo una scusante per lui: di fronte alla improvvisa oscena rivelazione perde il controllo di sé stesso; sospinta da una volontà sovrumana ed irrefrenabile la sua mano si arma ed uccide: uccide per difendere il proprio onore, per sopprimere coloro che hanno distrutto la pace della sua casa, per purificare il talamo insozzato dall’amico infedele. Causa di onore, dunque, che la legge inquadra nel disposto dell’art. 587 codice penale, e per questo reato Bellusci Francesco va rinviato al giudizio del Tribunale. Non può ammettersi il concorso del fratello Pietro, che era rimasto fuori ad attendere e che, quindi, nulla sapeva del fatto che si svolse rapido, imprevisto, per ineluttabile fatalità. No, secondo il Magistrato non si è difeso legittimamente, ma ha ucciso per difendere il proprio onore.
Maria Rosaria De Patto deve essere rinviata a giudizio per l’adulterio commesso.
Il 22 febbraio 1937 si tiene il dibattimento davanti al Tribunale Penale di Cosenza. Su proposta del Pubblico Ministero, il capo d’imputazione viene derubricato da omicidio per causa d’onore a lesioni per causa d’onore seguite da morte – pena prevista da 2 a 5 anni di reclusione – e in mezza giornata si arriva al verdetto di colpevolezza. La pena viene fissata in 2 anni e 4 mesi di reclusione, compresa la pena per le lesioni causate alla moglie e le pene accessorie.
Per Maria Rosaria De Patto viene dichiarato il non luogo a procedere per il reato di adulterio perché estinto per amnistia.[1]

 

[1] ASCS, Processi Penali.

 

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