L’OMICIDIO DEL SOCIALISTA ANTONIO PICCININI

Verso le
20,30 di giovedì 28 marzo 1924, Antonio Piccinini è a casa, intento ad
illustrare alle sue due bambine – Renata di 9 anni e Bruna di poco più di 2
anni – le illustrazioni di un libro.
Bussano alla
porta, la moglie apre e si presenta un giovanotto di una ventina di anni, dall’aria civile e col cappello calato sugli
occhi
, che chiede di Antonio
– Compagno,
vengo a nome del ragionier Carboni, dobbiamo andare ad una riunione alla Giustizia
Piccinini è
perplesso e dubbioso
Io non ho rapporto alcuno col ragionier
Carboni
L’altro,
nervoso, insiste e gli mostra una tessera del Partito Socialista dell’anno in corso, intestata al nome di Rodolfo
Magnani di Villa Cavazzoli.
Antonio, sempre più sospettoso, tergiversa e
non si decide a seguire il giovanotto. A questo punto, sulla porta di casa
compare un altro figuro avvolto nel mantello, mentre il giovanotto cambia modi
e toni. Scuotendolo per un braccio, continua
– Devi
venire, hai capito? Muoviti!
Lo tira sul
pianerottolo, così com’è, senza cappello
e senza pastrano
. È chiaro che qualcosa non va, la moglie e la figlia
maggiore di Antonio, intimorite, scoppiano a piangere
Devo almeno sapere dove mi conducete
protesta, mentre riesce a mettersi il cappotto
Via, via, non vogliamo scenate! –
replica lo sconosciuto trascinandolo fuori
La moglie,
impaurita, segue il marito e gli altri due giù per le scale chiedendo aiuto, ma nessuno degli inquilini osa affacciarsi.
Senza più coraggio, la donna si arresta
sul pianerottolo, udendo il marito che dice
Che almeno mia moglie e la mia bambina
sappiano dove mi conducete
– poi il gruppo si perde nell’oscurità del
cortile.
Giunto sul viale che unisce la provinciale
con la stazione della Reggio-Ciano, il gruppo, invece di proseguire verso
Reggio, si dirige dalla parte opposta, lasciandosi dietro un “palo”
.
Arrivato dopo il ponticello della Reggio-Ciano, il gruppetto si ferma dove si
apre un viottolo che dà nel fondo Betonica. Alcuni
colpi di rivoltella, delle grida, un’invocazione di pietà, poi il silenzio
.
E intanto nella sua casa una povera donna si
dibatteva nella tragica ansia dell’incertezza, sempre in attesa di un ritorno
ed una bambina piangeva
.
Non piangere – le dice Bruna,
svegliandosi verso mezzanotte – papà è
andato a prendere due “Cuore”. Uno per me, uno per te
Ed invece un “cuore” aveva cessato di
battere, quello del suo papà, suppliziato
.
Verso le 4
del mattino qualcuno trova il cadavere di Antonio Piccinini. La notizia si
diffonde in un baleno destando grande impressione. Bisogna attenuarla. Viene dapprima sparsa la voce che si tratta di
suicidio, ma siccome è impossibile che qualcuno si spari alle spalle per
suicidarsi, viene cambiata versione e Il
Giornale di Reggio
scrive che sono stati i suoi stessi compagni socialisti
ad ammazzarlo. Non si erano forse gli
assassini presentati a nome del ragionier Carboni, presentando una tessera del
Partito Unitario?
Ma nemmeno questa versione viene digerita dalla
popolazione. Fortunatamente la vedova e la figlia maggiore di Antonio ricordano
il nome a cui era intestata la tessera ed emerge subito che poche sere prima
del delitto, quattro fascisti si erano presentati a casa di Rodolfo Magnani,
gli avevano perquisito la casa e gli avevano sequestrato la tessera del
partito.
A questo punto
la Questura,
per ordine della Federazione provinciale Fascista, ed in accordo con la Milizia, identifica gli
esecutori della perquisizione operata a Magnani: i gemelli Giuseppe e Venceslao
Bonilauri, Vincenzo Notari e Vittorio Calvi. I primi tre vengono arrestati, ma
Calvi, il più pericoloso e ben noto per
altre violenze commesse, i cui connotati corrispondono esattamente a quelli
riferiti dalla vedova
di Antonio, non viene trovato.
Tutti e
quattro vengono denunciati per le violenze in danno di Magnani e quali sospetti
autori dell’omicidio di Antonio Piccinini. In casa di Notari viene sequestrata
una pistola dello stesso calibro usata per l’omicidio,  con soli tre proiettili nel caricatore.
Da notare che
Vincenzo Notari fu quello che verso le 4 del mattino del 29 marzo 1924, di ritorno da una festa da ballo,  fece la
scoperta del cadavere. Tanto egli che i Bonilauri stettero quasi sempre vicino
al cadavere, dimostrando un cinismo ributtante
[fonte: Alba Nuova, Chicago
26 aprile 1924].
In prossimità
del processo-burletta contro i 4
fascisti colpevoli dell’uccisione del candidato massimalista, il Fascio
reggiano di combattimento diramò una eloquente circolare:
Egregio amico, il 12 ottobre [1925] prossimo avrà luogo il processo Piccinini.
Quattro giovanissimi ed innocenti imputati dovranno, a fine del giudizio,
riavere la loro libertà. Di questo noi non dubitiamo. Soltanto è bene ricordare
che nei giorni del processo occorrerà a tutti la massima calma, il massimo
riservo, il massimo silenzio. Dalla compostezza del nostro agire maggiore
risulterà la nostra vittoria. Unica manifestazione in quel periodo sarà
l’indossare la camicia nera per tutti i giorni della durata del processo, quasi
a voler indicare la nostra incrollabile fede nell’avvenire del nostro movimento,
nonostante le galere e i processi
[!!! nda]. Non dubito che la S.V. si atterrà scrupolosamente a quanto è qui
esposto. Alalà
.
Ovviamente
l’esito del processo è scontato: assoluzione per tutti gli imputati,
assoluzione (scandalosa) che sarà confermata nel nuovo processo tenuto nel
1950, dopo l’annullamento del primo processo.
Ma chi era
Antonio Piccinini?
Antonio
Piccinini nasce a Reggio Emilia da modesta famiglia il 14 agosto del 1884. Dopo
un apprendistato di circa tre anni a Genova, dove tra il 1905 e il 1909 aveva
acquisito professionalmente l’arte tipografica, rientrato a Reggio, continua la
sua attività presso una tipografia e parallelamente inizia ad occuparsi del
sindacato della sua categoria. Nel 1914 si associa alla “Cooperativa lavoranti tipografi”
di via Gazzata, la stessa che stampava i due giornali del PSI locale, il
quotidiano La Giustizia e la La Giustizia settimanale, la cosiddetta Giustizietta, che usciva la domenica.
Dal 1914 Piccinini è dunque un cooperatore e un sindacalista nella Federazione
del libro e si iscrive al Partito Socialista.
Nel giugno
del 1919, quasi inaspettatamente, il Congresso provinciale socialista lo
proietta ai vertici del Partito.
Nell’agosto
del 1922, Piccinini subisce un bando da parte del cosiddetto Comitato di salute pubblica fascista, a
causa del quale deve lasciare Reggio e riparare a Parma dove rimane per sei
mesi e da questo esilio può recarsi spesso a Milano per partecipare alle
primissime riunioni dei Comitati di difesa socialista costituiti agli inizi del
1923 grazie ad un’iniziativa “autonoma” di Pietro Nenni (allora giornalista
dell’Avanti!).
Quando nel
1923 da Parma Piccinini rientra a Reggio ed assume l’incarico di segretario
provinciale (fiduciario, si diceva allora) dell’ormai decimato partito socialista
reggiano, le conquiste del proletariato si stanno dissolvendo sotto i colpi del
manganello e dell’olio di ricino fascisti, con la complicità delle istituzioni
regie. Nel frattempo, siamo nell’aprile 1923, al Congresso nazionale del PSI
le posizioni del Comitato di Difesa Socialista conquistano la maggioranza.
La
semiclandestinità nella quale, ormai stabilmente, operano i dirigenti dei
partiti proletari fa sì che Piccinini si trovi praticamente solo nel 1923,
quando stanno profilandosi le elezioni politiche della primavera dell’anno
successivo. Svanite le possibilità di un accordo per un blocco elettorale
PCd’I- PSI, i socialisti sono in difficoltà nella ricerca dei candidati.
Piccinini allora va a Bologna per incontrare Nenni e l’altro socialista reggiano
Ernesto Tamagnini. È il 31 dicembre 1923 quando i tre vengono sorpresi e
arrestati dalla forza pubblica in un caffè, ma sono tutti rilasciati il giorno
dopo. Viste le difficoltà a trovare candidati, all’ultimo momento Piccinini viene
inserito nella lista del PSI per espresso volere dell’Esecutivo del Partito. Antonio
sa benissimo, dato il clima di intimidazioni e violenze che si è instaurato a
Reggio Emilia, che l’accettazione della candidatura lo espone a terribili
rischi, ma il suo senso di responsabilità non gli consente di rifiutare. Poi
ciò che abbiamo letto.
Non è finita.
Esiste una nuova versione più cruda di quella ufficiale, che venne alla luce
nel 1974 ed è poco conosciuta. E’ frutto del racconto fatto, sul luogo del
delitto, da Avvenire Paterlini, all’epoca esponente comunista dell’ANPI
provinciale di Reggio Emilia, al giornalista Giorgio Boccolari ed all’avvocato
Giannino Degani. Secondo questa versione, confermata anche da diverse altre
testimonianze di vicini di casa dei Bonilauri e tra queste quella fondamentale
dell’ex postino Massimo Ferri, i sequestratori e Piccinini non andarono nel
posto dove fu rinvenuto il cadavere, ma alla casa colonica dei gemelli dove il
povero Piccinini fu ucciso.
I
quell’edificio, nel 1923, c’erano dei bassi
servizi
costituiti da due vani angusti dal soffitto a volta, adibiti a
locali per la macellazione dei maiali.
A Piccinini – raccontava Paterlini – dopo una violentissima bastonatura che lo
aveva stordito, spararono quattro colpi alle spalle uno dei quali a vuoto a
dimostrazione dell’imperizia dell’improvvisato assassino, quindi lo appesero a
certi ganci infissi nella parete che servivano per la lavorazione della carne
suina
Qualcuno
infatti raccontò che il cadavere aveva il
volto tumefatto
. Insomma, dopo la
tremenda bastonatura, essendo stato ucciso con colpi sparati a bruciapelo che
avevano prodotto squarci importanti con fuoriuscita copiosa di sangue e di
materiale fecale, il povero Piccinini era stato appeso affinché si dissanguasse
in un posto che non avrebbe potuto creare eccessivi sospetti e che comunque
serviva normalmente a smaltire sangue e brandelli di carne. Solo a questo
punto, dopo l’efferata esecuzione, il corpo esanime di Piccinini fu deposto nel
luogo nel quale fu ritrovato. Il luogo prescelto è simbolico: sotto ad un
albero nei pressi della massicciata Reggio-Ciano ma prossimo al ponte sul
Crostolo affinché fosse ben visibile e servisse da monito agli operai che col
treno, il mattino dopo, si sarebbero recati al lavoro
.
Questa
versione appare confermata per il fatto che il cadavere di Piccinini fu
rinvenuto quasi completamente asciutto e sulla neve candida non c’erano tracce
evidenti di sangue, mentre la gravità delle ferite lasciava chiaramente
supporre il contrario e quindi che l’uccisione dovesse essere avvenuta altrove.
E’ pressoché
certo che dopo aver ucciso il candidato del PSI, gli assassini per crearsi un
alibi si siano recati, travestiti da Pierrot, nel vicino locale da ballo, il Ciuppinesco, nel quale si festeggiava il
giovedì grasso.
I mandanti
dell’assassinio risiedevano allora al
così detto Casermone, sede della Federazione fascista
,  scrisse Manlio Bonaccioli (alias Ursus) su Reggio Democratica
nell’ottobre del 1945.  Secondo
Bonaccioli l’incarico dell’assassinio fu affidato a Vittorio Calvi, un fascistello sbruffone, arrogante e violento che aveva mostrato la pistola con cui
avrebbe ucciso Piccinini a Bice Carrara, tenutaria di un bordello alla quale
aveva confessato spudoratamente il delitto, prima ancora di averlo commesso
.
Per onorare
Piccinini, la Direzione del PSI decise di far riversare tutti i voti
preferenziali della sua circoscrizione sul suo nome, ottenendone la simbolica
elezione a deputato post mortem.
Di Piccinini
e del clima d’intimidazioni e violenze che avevano costellato la campagna
elettorale, nel giugno del 1924 parlò alla Camera l’On. Giacomo Matteotti e
anche per questo subì una sorte analoga a quella del tipografo reggiano.
I candidati –accusò nel suo discorso
alla Camera – non avevano libertà di
circolazione… Non solo non potevano circolare, ma molti di essi non potevano
neppure risiedere nelle loro stesse abitazioni, nelle loro stesse città.
Alcuno, che rimase al suo posto, ne vide poco dopo le conseguenze. Molti non
accettarono la candidatura perché sapevano che accettare la candidatura voleva
dire non aver più lavoro l’indomani o dover abbandonare il proprio paese ed
emigrare all’estero
. (…) Uno dei
candidati, l’on. Piccinini, al quale mando a nome del mio Gruppo un saluto …
conobbe cosa voleva dire obbedire alla consegna del proprio Partito. Fu
assassinato nella sua casa, per aver accettata la candidatura nonostante
prevedesse quale sarebbe stato per essere il suo destino all’indomani
(…).
[Fonte: Giorgio Boccolari, Un socialista massimalista. L’ assassinio di Antonio
Piccinini novant’anni fa ad opera di squadristi prezzolati in: L’ALMANACCO,
RASSEGNA DI STUDI STORICI E DI RICERCHE SULLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA 
http://www.istitutomarani-almanacco.it/doc/almanacco_61_62.pdf]

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