L’EVASO E LA BAMBINA

Sono le otto di sera del 22 giugno 1934 e il sessantenne Antonio Pulice sta chiacchierando con la nipotina che abita con lui, l’undicenne Maria Rosa Lopetrone, nella casetta colonica in contrada Macchia di Crovia, territorio del comune di San Giovanni in Fiore. Il rumore di passi che si avvicinano alla casetta attira la loro attenzione. È strano che qualcuno passi da lì in montagna a quell’ora. Poi le nocche di una mano che picchiano sull’uscio e Maria Rosa che va ad aprire. È un uomo, uno sconosciuto dall’apparente età di 35 o 40 anni, scalzo, vestiti rattoppati, capelli arruffati, con a tracolla una bisaccia e due fucili.
– Buonasera, ho bisogno di riposarmi, potete farmi dormire qui per stanotte?
Antonio Pulice rispetta la legge non scritta di dare ospitalità a chi ne ha bisogno e, senza fare inutili domande, fa cenno all’uomo di entrare e di sedersi. L’uomo ringrazia con un cenno del capo e, posati in un angolo i fucili, si accomoda su di una sedia accanto ad un tavolino, prende il tascapane e ne toglie del pane e del prosciutto offrendone al padrone di casa e alla bambina i quali, cortesemente, rifiutano.
È ormai buio. Antonio dice alla nipotina di accendere un po’ di fuoco per far lume alla stanzetta, quindi le dice di sistemare della paglia in un angolo per fare coricare lo sconosciuto.
– Buonanotte – dice Antonio che si corica nel letto con la nipotina accanto.
– Buonanotte – risponde lo sconosciuto che si stende sulla paglia.
È più o meno mezzanotte quando Antonio Pulice e Maria Rosa vengono svegliati di soprassalto dalla detonazione di un colpo di fucile. La bambina, senza sapere come, si ritrova seduta sul letto e, illuminato fiocamente dalla brace nel camino, vede davanti a sé lo sconosciuto con un ghigno satanico sulle labbra mentre punta un fucile contro il nonno.
– Non m’ammazzare… non m’ammazzare, per l’anima dei morti… – lo implora Antonio quasi piangendo, mentre Maria Rosa si copre gli occhi con le mani. Poi una fiammata e una detonazione. Antonio Pulice viene violentemente spinto all’indietro dalla forza d’urto del proiettile che gli trapassa il torace e muore all’istante. La bambina non emette alcun suono dalla bocca, paralizzata dal terrore, ma lo sconosciuto le accarezza dolcemente la testa e le dice:
– Vieni, vieni con me che andiamo insieme a prendere un tesoro
 Maria Rosa si alza barcollando mentre lo sconosciuto prende il tascapane e l’altro fucile, poi apre la porta. La bambina lo segue docilmente e lo sconosciuto esce dalla casa.
La bambina, con la forza della disperazione, capisce che deve approfittare di questo momento e con uno scatto felino chiude la porta e la sbarra. Lo sconosciuto tenta subito di sfondare la porta che resiste ai colpi dati col calcio del fucile, poi capisce di essere fottuto e preferisce non insistere oltre, sparendo nel buio.
La bambina non sa cosa fare. Suo nonno non risponde e il sangue ancora zampilla dal buco nel petto. Sa che deve tamponare la ferita ma non trova uno straccio, così si toglie le mutandine e le preme sulla ferita arrestando lo zampillo che la terrorizza.
Piange, vomita, è stremata, impaurita, bloccata in casa con suo nonno morto accanto a lei. Crolla e si addormenta accanto al cadavere.
Si sveglia alle prime luci dell’alba più stremata di prima. Non ha più lacrime da piangere o urla da emettere. Gira per la stanza strappandosi i capelli, poi decide. Senza far rumore si avvicina alla porta per cercare di capire se lo sconosciuto sia ancora nei paraggi, ma sente solo il rumore del silenzio mattutino tutt’intorno. Si fa coraggio, apre la porta e corre all’impazzata verso la casa di un vicino, Domenico Rolli. È senza fiato, a stento riesce a fargli capire che suo nonno è stato ammazzato e l’orrore che ha vissuto. Rolli si arma e corre subito con lei a vedere il vecchio, poi a San Giovanni ad avvisare i parenti del morto e i Carabinieri i quali, arrivati sul posto chiedono alla bambina se è in grado di descrivere lo sconosciuto e, in base ai connotati forniti, si convincono che si tratti di Saverio Curcio, persona temibilissima, più volte condannato per delitti contro la persona e la proprietà ed in stato di latitanza, essendo evaso dalle carceri di Petilia Policastro nella notte dal 2 al 3 del precedente mese di maggio, ove trovavasi associato in attesa di giudizio quale responsabile del reato di violenza carnale in pregiudizio di una sedicenne.
E con queste credenziali è facile supporre quale tesoro possa avere avuto in mente Curcio quando invitò la bambina a seguirlo.
I Carabinieri sospettano che Curcio sia anche responsabile di due furti aggravati commessi nei giorni immediatamente successivi alla sua evasione e non si tratta di furti da poco, si tratta di due fucili e di qualche cartuccia, uno dei quali, con tutta probabilità gli è servito per ammazzare Antonio Pulice.
Trovarlo nei boschi silani non sarà facile e si pensa di organizzare squadre di Carabinieri e soldati per cercarlo, ma, con grande sorpresa di tutti, Curcio si costituisce spontaneamente qualche giorno dopo nella caserma dei Carabinieri di Parenti, a qualche decina di chilometri dal luogo del delitto.
L’ho ammazzato con un colpo di fucile caricato a pallottola – confessa subito. Poi racconta le sue peripezie seguite all’evasione per spiegare il motivo dell’omicidio – dopo essere evaso ho girovagato per le campagne di San Giovanni per cercare lavoro e per diversi giorni ho lavorato alle dipendenze di Vincenzo Gallo al quale confidai il mio stato di latitanza e simile confessione feci anche all’ucciso Antonio Pulice, raccomandandogli il segreto. Nel mattino del 22 giugno, verso le ore 9, fui avvertito dalla moglie di Gallo del sopraggiungere dei Carabinieri e mi diedi alla fuga, senza potere prendere due fucili e una chitarra che avevo depositato in casa di Gallo. Dopo aver battuto per l’intera giornata la campagna di Savelli, rubando in una casa colonica deserta un fucile e tre cartucce, la sera dello stesso giorno mi recai in casa del Pulice al quale chiesi ospitalità. Dopo aver cenato e dopo che la ragazza si era coricata e addormentata, rimproverai il Pulice sospettando che, venendo meno alla promessa fatta, avesse riferito ai Carabinieri che mi nascondevo da Gallo. Improvvisamente acceso di sdegno, decisi di punire il vecchio. Spianai il fucile per colpirlo alle gambe ma, mentre inarcavo il grilletto, questo casualmente si abbassò sul percussore e Pulice rimase mortalmente ferito. La ragazzina si svegliò e mi pregò di non ammazzare il nonno: io le dissi che era rimasto colpito alle gambe e la invitai a recarsi nella stanza adiacente qualora avesse avuto paura di dormire accanto al ferito. Me ne andai e girovagai per la campagna di Cotronei, poi sono venuto a costituirmi
– Vedremo… però hai parlato di aver rubato un fucile e invece a noi risulta che avevi due fucili e siccome ci sono due denunce per furto di fucile vuol dire che anche l’altro lo hai preso tu…
– Io ne ho rubato uno solo…
– E L’altro chi te lo ha dato?
Silenzio.
Può bastare. Il 27 luglio 1934, dopo sei giorni dal suo arresto, Salvatore Curcio viene rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza. Per il dibattimento bisognerà aspettare fino al 6 maggio del 1935.
Non può menomamente dubitarsi che l’imputato esplose il colpo di fucile con la volontà e la coscienza di sopprimere il Pulice, né fa difetto una causale proporzionata alla gravità del delitto commesso, anche quando detta causale anzicchè quella secondo cui il Curcio sarebbesi indotto a sopprimere il vecchio per essere poi libero di sfogare le sue voglie impudiche sulla nipotina bella e procace del Pulice, fosse stata quella, indicata dall’imputato, secondo cui egli avrebbe ucciso il vecchio per punirlo della supposta delazione da costui fatta ai Carabinieri circa la sua presenza in quella contrada, perché ognuno vede, data l’indole malvagia del Curcio, che questo sospetto dovette costituire un motivo sufficiente  a indurlo a consumare la strage del suo preteso delatore. Questa è la tesi sostenuta dall’accusa.
La difesa, dal canto suo, invoca l’applicazione della diminuente del vizio parziale di mente, prevista dall’articolo 89 del Codice Penale, dal momento che l’imputato fu dispensato dal servizio militare perché affetto da epilessia e perché durante la sua permanenza nelle carceri è stato colto da diversi attacchi epilettici.
 La Corte accoglie la tesi del Pubblico Ministero e respinge la richiesta della difesa, motivando che è risaputo che non tutti gli epilettici sono malati di mente, anzi vi è una gran parte di essi che, pur soffrendo di accessi più o meno frequenti, non presentano mai disturbi psicopatici da escludere o grandemente scemare la loro capacità di intendere o di volere. Per l’applicabilità delle norme in tal senso, non basta genericamente dimostrare che l’imputato sia un epilettico, ma è necessario anche determinare i rapporti dell’atto criminoso con l’epilessia; occorre, cioè, dimostrare che l’imputato nel momento in cui commise il delitto versava, a causa della malattia, in uno stato di mente da escludere o menomare la di lui capacità di intendere e di volere. Cosa che la difesa non ha fatto, non ha chiesto di sottoporre l’imputato a perizia psichiatrica e non ha nemmeno esibito il foglio di congedo militare che attesterebbe l’epilessia. Quindi, stabilito che Salvatore Curcio è responsabile dei reati per i quali è a processo, la Corte stima giusto irrogare per il delitto di omicidio la reclusione per la durata di anni 24 e per ciascuno dei furti la stessa pena della durata di un anno. In tutto fanno 26 anni di reclusione, oltre alle pene accessorie e al pagamento dei danni e delle spese verso la parte civile, che vengono liquidati, definitivamente, in 35.000 lire, comprese le 2.000 lire per l’onorario dell’avvocato Franco D’Ippolito, difensore della parte civile.[1]

 

[1] ASCS, Processi Penali.

 

6 commenti

  1. Sono il pronipote dell' ucciso,ma non creodo che le cose fossero andate cosi`: Il condannato, avendo subito una testimonianza da parte di un altro, Antonio Pulice, questi si voleva vendicare da questo testimone. Ed andando, a domandare di qua e di la`, riusci` a capire che questo Antonio Pulice viveva alle vigne, un posto che apparteneva al comune di Savelli oppure di San Giovanni in Fiore. Il fatto sta, che mio zio fratello di mia nonna Maria Pulice e altri, era solo con mia cugina MariaRosa Lopetrone, Poi se aveva due o un fucile non m' interessa.Questi giunto sul posto, chiede asilo e mio zio lo concesse. Dopo aver mangiato e bevuto, questi si alza e dice a mio zio, che gia` si trova al letto con sua nipote e dicendo: Dove voleva il primo colpo, e ` sparo` alle gambe, Ma avendo deciso di eliminarlo, gli sparo` il secondo colpo al petto. che mori` sull' istante, e uscito fuori la nipote chiuse la porta con tutto cio` che gli era possibile. Lui tento` di far si` che, la bimba non dormisse con un cadavere; e` cercava di dissuaderla e di seguire lui. Certo non si sanno le sue intenzioni. Cosi` passo` tutta la notte con il nonno morto e togliendosi le mutandine e la sottanina, cercava di assorbire il sangue che usciva a zampillo dal nonno. Certo che ci vuole coraggio ad assistere un nonno sparato a brucia pelo, davanti ad una bimba. Venuta i primi schiarori dell' alba la Bimba si fa coraggio ed, ad, guardare la scena v' era un gatto, che mio zio teneva caro; Il gatto che conosceva bene la strada, arrivo` al paese, ma i parenti che stavano di casa tutti attorno, vedendo il gatto hanno mangiato il limone dicendo: Come mai il gatto si trova qui e non mio padre , mio fratello e cosi` via? Si insospettirono e tutti corsero alla vigna. Trovarono l'osceno dramma e la nipote con il vicino che si chiamava Domenico Belli. questa e` la pura storia che mi racconto` mia madre nipote dell' ucciso.

  2. I fatti che ho raccontato sono quelli riportati nei verbali e nelle testimonianze agli atti del processo e più o meno concordano con quelli che le raccontò sua madre, ma non ci sono dubbi sul fatto che Maria Rosa sia andata a chiamare il vicino e fu il vicino ad andare in paese ad avvisare i familiari e i Carabinieri. Grazie per la testimonianza che arricchisce la ricerca.

  3. Che la bimba sia andata a chiamare il vicino, che si chiamava Belli, non lo metto in dubbio, che sia andato al paese ad avvisare; ma il gatto, che era un gatto intelligente arrivo` prima, ed avviso` i suoi. Mia madre che era giovanissima aveva 33 anni a quel tempo mi racconto` la storia e anche la bimba MariaRosa.

  4. Il 1956, ritornai al seminario a Castiglione Cosentino ed, alla fermata del bus, vidi l' uccisore di mio zio e lo confrmarono anche gli altri che lo videro dicendo: E` Ciccio acciardi, colui che uccise Antonio Pulice (Frora), ricordo bene quest' episodio, facevo il Ginnasio.

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