IL CORNUTO E LA PUTTANA

Filomena Iaquinta è sposata con Giovanni Mazzei. Lei ha 25 anni e lui 38, sono entrambi di San Giovanni in Fiore ed entrambi fanno i contadini. Poi, per migliorare le condizioni economiche, Giovanni emigra in America. Guadagna bene e riesce a mandare a casa molto denaro. Altri soldi li mette da parte e quando torna, nel 1906, apre un negozio di generi alimentari. Finalmente possono vivere una vita tranquilla con i loro figli.
Tranquilla? Tranquilla fino al 1907 quando Giovanni scopre che Filomena lo tradisce con il suo amico trentunenne Gabriele De Vuono, anch’egli sposato. Potrebbe vendicarsi in modo cruento ma preferisce seguire la via della legge e denuncia i due amanti che vengono arrestati, processati e, il 16 ottobre 1908, condannati a 5 mesi di reclusione con la sospensione condizionale della pena. Ovviamente Giovanni caccia la moglie da casa ma, nell’estate del 1909, i due si riappacificano per ragioni ignote, come sostiene il Delegato di Pubblica Sicurezza di San Giovanni, o forse per non somministrare gli alimenti alla moglie e per fini della sua testa, come dice Serafina Angotti, l’ex amante di Giovanni, perché nemmeno lui è un esempio di fedeltà. Per consiglio di amici ed amore dei figli, giura Giovanni stesso.
Qualunque sia il motivo del perdono, certo è che i coniugi Mazzei-Iaquinta riprendono la vita coniugale tornando a convivere d’amore e d’accordo.
– Giuvà… accorto… tu mi capisci …– lo mette in allerta suo fratello, ma Giovanni è sicuro della riacquistata fedeltà di Filomena e quasi lo manda a quel paese.
E Gabriele De Vuono? Pare proprio che non si voglia rassegnare all’idea di lasciare l’amante in braccia al marito. Egli riprova il fatto che il cornuto avesse ripreso la moglie e, di più, che pretende di impedirgli di passare sotto le sue finestre. Gabriele di questa pretesa se ne frega altamente e a niente servono i rimproveri e le esortazioni degli amici di lasciare in pace i coniugi Mazzei
No, non ci lascio stare, non ò paura di Giovanni Mazzei! – risponde ogni volta
Che non abbia paura di Giovanni è proprio vero, visto che non perde occasione per provocarlo pubblicamente. Un giorno era nella bottega di Giovanni Nicoletti ove sopraggiunse il Mazzei che prese una tazza di caffè e Gabriele ebbe l’ardire di pagare pel Mazzei, ma questi pagò ed andò via senza nulla dire. Fa anche di più: passa spesso, giorno e notte, sotto le finestre di Filomena cantando delle canzoni d’amore e non gli importa se lo vedono tutti e se tutti lo rimproverano
Statti accorto che ti potranno fare scontare i cinque mesi di detenzione avuti per l’adulterio che ti sono stati sospesi… – lo avvisa Salvatore Mascaro
La strada pubblica è di tutti… – gli risponde con noncuranza riprendendo a cantare
Le cose vanno avanti così per mesi, poi la sera del 13 novembre 1909 Raffaele Laratta, uscendo dalla sua bottega e vedendo come al solito Gabriele strimpellare la sua chitarra e cantare le solite canzoni, si sente in dovere, data l’amicizia che c’è tra i due, di dirgli
Ancora non la vuoi finire con le canzoni?
Tre sono stati gli sfortunati del paeseio, Totonnu e Petittu! – volendo intendere che solo loro tre erano stati carcerati per adulterio. Laratta, sconsolato, se ne va per la sua strada, sentendo man mano affievolirsi la voce grossa di Gabriele.
Filomena è preoccupata per il comportamento del suo ex amante e gli manda a dire di non molestarla più ma, alla donna che gli porta l’imbasciata, Gabriele risponde
Io non la vado cercando, ma si mi fa sàgliere i cazzi metterò bottega vicino casa sua!
Chiaro?
Anche la madre di Filomena gli manda un’imbasciata
Io non so che farmene di Filomena, se passo cantando sotto le sue finestre non vi passo per lei… – risponde
Che fare? Il 14 novembre 1909, domenica, Filomena prega una vicina di andare a dire a Gabriele di passare da casa sua perché deve dirgli due parole dall’ultimo gradino della sua scala, ma la vicina non vuole entrare in questa storia e rifiuta. Poi ci ripensa e va a portare l’imbasciata il giorno dopo
Io non mi frego di lei né di suo marito… le debbo dare un grosso cazzo! – risponde indicando il suo membro
Filomena non si arrende e martedì 16 manda da Gabriele un’altra donna, Caterina Oliverio, a rinnovargli l’invito di andarla a trovare verso quattro ore di notte, più o meno le dieci e mezza di sera. Caterina deve essere stata più convincente dell’altra donna perché, mentre i due stanno confabulando nella bottega di Gabriele, il sessantenne Giovanni Teti si accorge del sorriso equivoco sulle labbra di Gabriele e, conoscendo tutta la storia, ma soprattutto conoscendo Caterina Oliverio come una donna compiacente a portare imbasciate amorose, pensa subito che si tratti di cose segrete ed esce dal negozio
– Compà Giuvà! Vieni cca! – Gabriele lo invita a rientrare
Fesso! Statti attento, fatti gli affari tuoi che male te ne incoglie! – lo rimprovera Giovanni salutandolo e cambiando bottega.
Sono ormai le otto di sera del 16 novembre 1909. Gabriele chiude la bottega insieme al suo amico Antonio Adamo e insieme vanno a bere qualcosa. Poi, verso le 22,00, si avviano verso la casa di quest’ultimo nelle adiacenze dell’antica Via Taverna. È buio pesto, fa freddo, minaccia di nevicare e in giro non c’è un’anima
– Filomena mi ha mandato a chiamare… vado adesso a casa sua… – confida all’amico
– Statti accorto… non è che marito e moglie ti fanno qualche scherzo?
Noil marito non c’è e poi dirò poche parole solamente dalla porta
Così i due arrivano ad una svolta della strada e si salutano. Gabriele si guarda intorno e poi, con circospezione, sale la scala che conduce alla porta di casa Mazzei. Bussa, ma forse sarebbe esatto parlare di una specie di struscio con le nocche sul legno.
Giovanni e Filomena sono coricati quando sentono quella specie di struscio o raschiamento sulla porta. Giovanni resta immobile, come se non avesse sentito niente. Filomena invece si leva piano piano e, indossata la sola camicia, si avvicina alla porta. Adesso si alza anche Giovanni, il quale mette una mano sotto il materasso e ne tira fuori una pistola. Si avvicina di soppiatto alla porta mentre Gabriele da fuori, a bassa voce dice
Apri che sono io
Filomena sussurra
Aspetta che ti apro
La porta si apre ma c’è una sorpresa: davanti a Gabriele non c’è Filomena ma Giovanni con la pistola puntata contro di lui.
Gabriele non ha nemmeno il tempo di pensare, ché tre proiettili blindati lo raggiungono. Uno al collo che gli trapassa il midollo spinale e due alla coscia destra. Precipita giù dalle scale e resta immobile. Alle esplosioni segue silenzio e soltanto minuti dopo si sentono lamenti invocanti soccorso.
La puttana che mi ha fatto! Mi ha mandato a chiamare due volte per farmi ammazzare!
Giovanni si gira verso Filomena e le spara gli ultimi due colpi di cui è carica la pistola. Poi scappa dileguandosi nel buio.
Il Maresciallo Virgilio Zucchini e il Delegato di P.S. Giacinto D’Ippolito arrivano sul posto dopo poco. Trovano De Vuono svenuto e alcuni curiosi che sbirciano dentro casa dei Mazzei, dalla quale provengono dei lamenti. Sul pianerottolo d’ingresso raccolgono da terra un berretto, poi entrano. Di fronte alla porta di entrate esiste un piccolo letto, col capezzale a sinistra di chi entra. Non tenendo conto dell’abbondante sangue trovato sul letto istesso, traccie evidenti e non dubbie di sangue furono riscontrate tanto sul muro perpendicolare al capezzale, tanto all’altro con cui fa angolo.
Evidentemente qui dentro sono stati sparati dei colpi e quindi i proiettili dovettero colpire chI vi si trovava vicino, se non pure sdraiate… – osserva il Delegato
A conferma del vostro asserto milita un’altra circostanza – conferma il Maresciallo – e cioè i proiettili investirono il De Vuono al lato sinistro e la Iaquinta al lato destro
Questa è la prima ipotesi investigativa, che viene subito smentita sia dalla visita medica su Gabriele De Vuono che ha le gambe paralizzate e quindi non si capisce come abbia fatto ad arrivare al pianerottolo e poi precipitare dalle scale alte 3 metri, e sia dalle prime parole pronunciate da Filomena, trovata distesa sul letto matrimoniale, con due ferite sul lato destro della testa
Io e mio marito eravamo a letto quando abbiamo sentito bussare alla nostra porta. Domandai: ”Chi è?” e mi fu risposto: “Sono Gabriele, apri”. Io gli imposi di andarsene, ma lui insistette dicendo: “Apri altrimenti butto a terra la porta”. Allora mio marito disse al De Vuono: “vattene se non vuoi morire ammazzato!” e poiché il De Vuono continuava a molestarci, io mi alzai, andai ad aprire la porta per indurlo con le buone ad andarsene, ma non appena aprii la porta il De Vuono mi ha sparato! Fu allora che mio marito sparò contro il De Vuono
Gli inquirenti, non avendo ancora altri elementi, prendono per buona questa dichiarazione anche se c’è qualcosa che non quadra: è impossibile che non siano stati sparati dei colpi nelle vicinanze del lettino, gli schizzi di sangue sui muri lo provano; e poi, come mai né sul pianerottolo, né sulle scale e né nelle vicinanze del posto dove è caduto De Vuono è stata trovata un’arma da fuoco? Comunque, con la dichiarazione di Filomena il Delegato e il Maresciallo vanno a casa di Gabriele De Vuono per metterlo in stato di fermo con l’accusa di tentato omicidio.
Il ferito è nel suo letto, gli inquirenti frugano nelle tasche dei suoi abiti e nemmeno lì c’è l’arma che avrebbe ferito Filomena. Con un filo di voce Gabriele racconta la sua versione
Mentre passavo da lì accompagnato da Antonio Adamo, Giovanni Mazzei mi ha esploso contro cinque colpi di pistola… io sono stato ferito a tradimento giacché mi hanno mandato a chiamare con Caterina “Marafrancisca”
– Caterina chi?
– Oliverio… Caterina Oliverio…
– Questo berretto è tuo? – gli chiede il Delegato
– Si…
– Quindi Mazzei ti ha sparato cinque colpi?
– Cinque mi sembra di averne sentiti…
Questo è il particolare che convince i due funzionari che la versione di Gabriele è falsa: se fosse come dice De Vuono, come ha fatto il berretto a trovarsi sul pianerottolo della casa di Mazzei? Comunque nella dichiarazione c’è un elemento che merita di essere approfondito, cioè una possibile trappola tesa ai suoi danni con la complicità di Caterina Oliverio. Adesso, ripassando per bene tutti i particolari, diventa chiaro che anche Filomena ha mentito. A sparare contro di lei non può essere stato Gabriele De Vuono che non aveva armi e, di più, non ha avuto alcuna possibilità di nasconderla, paralizzato com’era e come è. A questo puto è chiaro che una sola persona ha sparato: Giovanni Mazzei, ma bisogna capire perché e bisogna stabilire i ruoli che hanno avuto Filomena e Caterina Oliverio, la quale viene messa in stato di fermo
Non è vero che io, per incarico di Filomena Iaquinta fossi andata a chiamare Gabriele De Vuono. Avantieri parlai con lui dinanzi la sua bottega ma non è vero che gli facessi l’invito di recarsi dalla Iaquinta. Lo pregai solamente affinché si comprasse delle patate da mia sorella… questa è la verità
Nel frattempo i Carabinieri recuperano tutti e cinque i bossoli esplosi e hanno la conferma ufficiale che i colpi sono stati tutti sparati ed espulsi dalla pistoletta Browning di Giovanni Mazzei.
Gabriele De Vuono muore nella notte tra il 19 e il 20 novembre 1919 e ora si procede per omicidio e tentato omicidio.
Filomena, che si sta rimettendo, viene messa sotto torchio
Quella sera non potetti dire tutta la verità… oggi ve la dico… la sera del 13 seppi dalla gente che Gabriele si vantava di avere avuto relazioni con me e che, nolente o volente, egli sarebbe dovuto venire a casa mia per darmi un grosso cazzo. Io, sentendo tutte quelle dicerie, mandai Caterina Oliverio dal De Vuono perché gli dovevo dire, dal primo gradino della scala, che mi lasciasse in pace. Quel giorno, domenica, non venne. Venne invece martedì sera. Quella sera mio marito era tornato dalla campagna e mentre era con me a letto, fu bussato lievemente alla porta. Era Gabriele. Io gli dissi di andarsene ma lui insisteva e allora io aprii per indurlo ad andarsene e mio marito sparò contro il De Vuono. Dopo fui sparata anch’io ma non so dire se fosse stato mio marito o il De Vuono perché dentro e fuori regnava il buio… può darsi che mi abbia ferito mio marito, ma in questo caso fu per errore perché egli sparava contro il De Vuono
Può essere stato un errore? poco credibile.
Caterina Oliverio adesso ammette di aver riferito a Gabriele il messaggio di Filomena ma dice che Gabriele accettò l’invito e andò a casa dell’ex amante la domenica stessa. Se poi ci sia tornato anche il martedì, lei non c’entra.
Esce dal silenzio anche la vedova di Gabriele De Vuono per sporgere querela contro tutti e tre gli indagati
Mio marito mi disse che egli era stato ingannato giacché Filomena lo aveva mandato a chiamare con Caterina Oliverio, facendogli sapere che a quattr’ore di notte si fosse recato a casa sua e che come segno che in casa non vi era nessuno avrebbe trovato delle immondizie sulla scala e una pietra alla porta. A tale intesa, quella sera, martedì, si recò alla scala di Filomena ed avendo trovato i segnali convenuti salì
Quindi una trappola.
Giovanni Mazzei si costituisce negli uffici della Procura di Cosenza, accompagnato dall’avvocato Nicola Misasi, il 30 novembre e chissà che non sia la volta buona per sapere come siano andate veramente le cose
La mattina del 16 andai a lavorare in campagna ove ordinariamente rimanevo in continuazione per diversi giorni della settimana. Quel giorno, però, dovetti ritornare a casa perché sentivo dei disturbi viscerali. Giunto a casa verso le diciassette, mia moglie mi disse che non mi aveva preparato da mangiare perché non mi aspettava. Dopo un’ora e mezza o poco più andammo a letto ma non potetti prender sonno e verso le ore ventuno sentii raschiare alla porta. Non mi mossi ma mia moglie invece si levò pian piano ed indossata la sola camicia si avvicinò alla porta. allora mi levai anch’io e per mia sicurezza, prima di aprire la porta, mi armai della pistola che tengo sotto il materasso. Appena accostatomi alla porta, dal di fuori fu mossa la maniglia per alzare il lucchetto e nel tempo stesso intesi la voce di Gabriele De Vuono che diceva: “Apri che sono io…”. Aprii per domandargli che cosa venisse a fare a quell’ora in casa mia ed il De Vuono tentò subito di introdursi in casa; ebbi l’impressione come se volesse scagliarsi contro di me ed un po’ per il timore che egli mi incusse in quel momento ed un po’ anche per la gelosia, perdetti i lumi della ragione e gli esplosi contro tre colpi. Dopo di che rivolsi l’arma contro mia moglie ed esplosi contro di essa due colpi
– Eravate d’accordo con vostra moglie?
– No! ho sparato anche a lei!
Un’altra versione poco credibile per alcuni aspetti: se davvero dietro la porta c’era Giovanni e non sua moglie, perché aprire? Se avesse risposto e Gabriele avesse sentito la sua voce invece di quella di Filomena se la sarebbe certamente data a gambe levate e non avrebbe certamente cercato di entrare come sostiene l’imputato. No, non regge. Ma non può reggere nemmeno l’ipotesi della trappola tesa da tutti e due con la complicità di Caterina Oliverio. O potrebbe darsi che Giovanni si sia servito delle due donne per attirare nella trappola Gabriele e liberarsene e liberarsi contemporaneamente anche di sua moglie? È un mistero.
Per la Procura deve essere andata più o meno così: Filomena, tramite la vecchia ruffiana Caterina Oliverio fissa un appuntamento con Gabriele per la sera di martedì 16 novembre 1909 ma rimane spiazzata dall’inaspettato ritorno di suo marito; non avvisa, o non le riesce di farlo, Gabriele che si presenta puntuale all’appuntamento, vede i segnali convenuti e bussa. Filomena, convinta che suo marito stia dormendo si alza piano piano e va ad aprire per avvisare Gabriele di andarsene, ma non si accorge che Giovanni è sveglio e si è accorto di tutto. È in questo momento che decide di uccidere tutti e due.
Con questa ricostruzione dei fatti è logico prosciogliere in istruttoria sia Filomena Iaquinta che Caterina Oliverio, mentre Giovanni Mazzei deve rispondere di omicidio volontario e tentato omicidio.
La Sezione d’Accusa sposa questa tesi e Giovanni Mazzei viene rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza. è il 3 settembre 1910.[1]
Il 18 marzo 1911 inizia il dibattimento ma da questo momento si perdono le tracce del processo. Certamente è stato trasferito ad altra sede, a noi ignota, perché il nome di Giovanni Mazzei non è presente nei registri delle sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.

 

[1] ASCS, Processi Penali.

 

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