I GAROFANI

Sono le 18,30
dell’11 luglio 1909. Amalia Capparelli sta innaffiando un vaso di garofani sul
davanzale della finestra di casa sua a San Benedetto Ullano. Nel recipiente è
rimasta dell’acqua e la quindicenne, senza pensarci su, la versa sulla strada
sottostante
– Oh! Mi hai
bagnato tutto, mò lo vado a dire a papà! – esclama l’undicenne Leone
Capparelli, bagnato da capo a piedi, poi prende dei sassi e comincia a
lanciarli contro la finestra aperta e uno dei sassi va a cadere proprio ai
piedi del padre di Amalia, il cinquantacinquenne Francesco. Amalia si precipita
fuori di casa e vede Leone con un sasso in mano nell’atto di lanciarlo contro
la finestra
– Ma sei
impazzito? Non l’ho fatto apposta a buttarti l’acqua addosso, per poco non
colpivi mio padre con la pietra!
Leone, per
nulla convinto delle scuse, le lancia il sasso e la colpisce alla schiena.
Amalia allora gli si avventa contro e gli tira un paio di sonori ceffoni in
faccia. Mentre i due ragazzini si azzuffano, accorrono il padre e la madre di
Amalia, Maddalena Reale,  per dividerli.
Ma, proprio nello stesso momento, passano casualmente da lì il padre di Leone,
il quarantunenne Cassio, e la madre, Virginia Chimenti, i quali, senza sapere
nulla dell’accaduto, invece di adoperarsi per far finire la zuffa, cominciano a
sbraitare contro Francesco Capparelli, poi aggrediscono Maddalena e la
colpiscono con calci e pugni. Non
contenti, danno uno spintone ad Amalia che batte la fronte su di un muro e il
sangue comincia a rigarle il viso. Arriva sul posto anche Antonio Capparelli,
il figlio maggiore di Cassio, che tira un paio di calcioni a Maddalena Sabato.  Accorrono i vicini e la zuffa finisce. Un paio
di uomini prendono per un braccio Antonio, visibilmente alticcio, e lo accompagnano a casa con il resto della famiglia.
Non passano
che una decina di minuti e, mentre Amalia viene medicata, dalla strada si sente
urlare
– Attenti!
Antonio sta tornando con un ferro in mano!
Francesco,
allora, onde evitare ogni altra cosa
conoscendolo molto impulsivo ed essendo persona assai temibile pel suo continuo
fare da bravo abusando della sua forza erculea e perché era anche notorio che
egli sempre andava armato di lungo pugnale
, chiude la porta col saliscendi e con una maniglia di ferro
un po’ debole
.
Antonio, con aria furibonda, procede con passi veloci. Imprecando e minacciando s’avvicina alla porta e con due forti spintoni
fa si che la maniglia si storce e la porta si apre, irrompendo in casa come un
forsennato
.
Appena
entrato, Antonio vede rannicchiata nell’angolo della porta la figlia maggiore
di Francesco, Evelina, e le si avventa contro come una belva, percuotendola con calci e pugni e prendendola per i
capelli
. Evelina, terrorizzata, urla per chiedere aiuto, ma tutti gli altri
sono più terrorizzati di lei e non intervengono; due ragazzini amici del figlio
più piccolo di Francesco, temendo per la propria vita, si lanciano fuori dalla
finestra. Poi Francesco prende il coraggio a due mani, afferra un coltellaccio
da macellaio, il famoso scannaturu, e
si lancia contro l’aggressore colpendolo due volte. Antonio guarda sbigottito
il sangue che gli macchia la camicia. Non dice una parola, gira i tacchi e se
ne va.
Lo
accompagnano alla farmacia del dottor Adelchi Conforti per farlo medicare
Ho ricevuto due colpi terribili… – dice
mentre tenta di tornare indietro e farla finita con Francesco Capparelli
Ha fatto bene perché l’imprudenza tua era al
colmo
– lo rimprovera Camillo Vozza che lo accompagna
Nella
farmacia c’è anche il medico del paese, Aristodemo Milano che gli presta le
prime cure, mentre Antonio racconta il fatto ai presenti
– Ho spinto
la porta e sono entrato… improvvisamente
mi sono sentito colpire da Francesco Capparelli che stava dietro alla porta e
sono dovuto uscire di fretta per non essere ridotto come una grattugia
Il dottor
Milano scuote la testa, preoccupato. Ha notato che una delle due coltellate è
molto profonda e probabilmente ha leso qualche organo vitale, d’altra parte è
evidente che le condizioni del ferito peggiorino di minuto in minuto.
La
preoccupazione del dottor Milano è fondata, Antonio muore due giorni dopo a
causa di quella coltellata che gli ha perforato la milza e il polmone sinistro.
Francesco Capparelli si presenta spontaneamente dai Carabinieri di Montalto
Uffugo e viene arrestato con l’accusa di omicidio volontario.
Non mi accorsi di avere neanche ferito
Antonio e molto meno di averlo ferito mortalmente
– si difende – perché quando uscì dalla mia casa dimostrò
un’andatura veloce, tanto che io non pensai a scappare
– Però poi
siete scappato…
– Solo quando
don Luigi Bisceglie, dal quale ero
andato, mi disse che Antonio era stato
ferito e gravemente
anche per
sfuggire alle eventuali rappresaglie dei parenti del ferito e non appena seppi
che era morto pensai bene di costituirmi
Nello stesso
tempo partono le querele di Amalia e di sua sorella Elena contro Cassio
Capparelli per le percosse ricevute durante la prima zuffa. Partono anche le
querele di Cassio, sua moglie Virginia e la loro figlia Giovannina contro
l’assassino di Antonio. I fatti sono ricostruiti da un altro punto di vista
– Stavo
passeggiando con Michele Villecco – racconta Cassio – quando riconobbi le grida di mio figlio Leone. Accorsi e vidi che veniva malmenato da Maddalena Reale e da sua figlia
Amalia. Mi intromisi anch’io e per farle desistere non nego di avere lanciato
un calcio all’Amalia e non so dire se la raggiunsi e, malgrado avessi visto
Francesco Capparelli munito di bastone, pure nulla feci contro di lui.
Sopraggiunse mia moglie la quale, non appena fu scorta, fu presa dai capelli da
Maddalena e sua figlia Elena, riportando graffiature al viso. Dopo averle
divise, raccolsi mia moglie e mia figlia a casa, dove fummo poco dopo raggiunti
da mio figlio Antonio. Dopo circa tre minuti mi accorsi che mancavano tutti di
casa e, intuendo che era sorta qualche nuova quistione, uscii fuori recandomi
presso la casa di Francesco Capparelli, da cui venivano lanciate pietre e
appresi che mio figlio Antonio era stato ferito… lo trovai alla farmacia e mi
disse che, volendo andare alla piazza, passò dinnanzi la casa di Francesco
Capparelli e mentre Elena da una finsetra gridava: “Che viene Antonio!”, gli
tirava un sasso. Dopo di ciò egli si recò alla porta spingendola violentemente
e, non appena cedette, gli arrivarono due colpi di coltello
Tutti i
componenti delle due famiglie vengono denunciati per il reato di partecipazione in rissa.
I testimoni
ascoltati sono divisi a metà tra quanti sostengono la versione di Francesco
Capparelli e dei suoi familiari e quelli che sostengono la versione di Cassio e
dei suoi familiari. Solo un elemento ricorre trasversalmente: Antonio era un
tipaccio violento, specialmente quando aveva bevuto, cosa che avveniva molto
spesso.
Per il
Pubblico Ministero tutti meritano di essere rinviati a giudizio per la rissa.
Per quanto riguarda Francesco Capparelli il discorso è più complesso: ai fini di una completa quanto esatta
valutazione dell’avvenimento, occorre rilevare soltanto che Capparelli Antonio
accedette in quella casa perfettamente inerme, il che viene stabilito non solo
dal fatto che niuno gli vide imbrandire o asportare arma o strumento qualsiasi
atto ad offendere, ma anche dalla circostanza che il ferito, uscito
immediatamente dalla casa dopo i colpi ricevuti, fece l’atto di voler
raccogliere da terra un sasso ma non ne ebbe la forza. Tutto induce a credere
che non sia da accettare la versione che la porta dell’abitazione dell’omicida
abbia ceduto, spalancandosi agli urtoni dell’ucciso. Assai verosimilmente fu
Francesco Capparelli ad aprire la porta per respingere l’importuno che dall’esterno
faceva sforzi con l’intento di aprirsi il varco; è importante di rilevare che
contro le asserzioni di coloro che depongono altrimenti e che pretendono di
suffragare il loro assunto con la circostanza che la maniglia, per la violenza
esercitata dal di fuori, si contorse, onde fuvvi bisogno di ripararla subito,
sta la deposizione di Salvatore Bisciglia, che fu il primo ad accorrere, che
trovò la porta chiusa, onde per entrare dovette chiedere che gli si aprisse.
Che la maniglia era alquanto curva, onde non potersi chiudere la porta, deve
spiegarsi con un artifizio difensivo messo in essere dagli interessati
all’uscita del Bisciglia da casa.
Devesi conchiudere che Capparelli Francesco
volle togliere di vita Capparelli Antonio in contingenze in cui il delitto
poteva evitarsi senza seria compromissione per sé e per quelli di sua famiglia,
onde egli non può sfuggire alle conseguenti sanzioni penali, salvo, in sede
competente, a vagliare se e di quale scusante possa essere beneficiato
.
La Sezione d’Accusa concorda
pienamente con questa impostazione e, l’11 maggio 1910, rinvia Francesco
Capparelli al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza. Degli altri imputati
dovranno rispondere davanti al giudice per la rissa solamente Maddalena Reale e
Cassio Capparelli.
Il dibattimento
si apre il 24 novembre 1910, ma viene subito rinviato al 7 febbraio 1911.[1] Nemmeno
questa è la volta buona, il dibattimento viene sospeso, trasferito ad altra
sede e se ne perdono le tracce. Non sapremo mai come andò a finire.

[1] ASCS, Processi Penali.

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