Sono circa le 23,00 del 4 dicembre 1943, una notte tempestosa in Sila, dove gli Alleati continuano inesorabilmente l’opera di disboscamento iniziata dai nazisti. Nella stazione ferroviaria delle Ferrovie Calabro-Lucane di Moccone, il treno merci LR 1927 aspetta che il personale esegua i controlli d’obbligo sugli impianti di frenatura. Questa volta devono essere particolarmente accurati perché il convoglio, composto da ben nove vagoni, sette dei quali carichi di tronchi di pino e due da assi di legno, oltre alla locomotiva e al bagagliaio per un peso complessivo di circa 150 tonnellate, dovrà affrontare una discesa molto ripida con tratti fino al 60‰.
Alcuni militari americani sorvegliano distrattamente il macchinista Nicola Fanello, i frenatori Luigi Milito e Francesco Gallo, i fuochisti Salvatore Sangiacomo e Mariano Cozza e il capotreno Luigi Turano i quali, mentre eseguono le operazioni necessarie per preparare il convoglio al viaggio, sono molto perplessi per il carico che ritengono eccessivo e lo fanno presente, ma gli americani non vogliono sentire ragioni e quindi, una volta verificato che tutto è formalmente regolare, alle 23,30 il Capostazione fischia il via libera e il treno merci parte, diretto alla stazione di San Pietro in Guarano.
La mezzanotte è passata da poco e il treno sta per affrontare uno dei tratti più ripidi. Il macchinista Fanello con i due fuochisti sono nella locomotiva, il Capotreno è nel bagagliaio, un frenatore, Luigi Milito, è nell’ultimo vagone e l’altro frenatore, Francesco Gallo, in uno dei vagoni centrali. Oltrepassata la stazione Fondente, a circa un chilometro dalla galleria Ventulilla, il treno si ferma automaticamente per la rottura della condotta dell’aria compressa. Il macchinista, istantaneamente, fa emettere i tre fischi convenzionali per segnalare al resto del personale che c’è un problema e che bisogna immediatamente azionare i freni a mano di ogni vagone. Nello stesso tempo ordina al fuochista Mariano Cozza di scendere e verificare dove il tubo dell’aria si sia rotto e procedere all’immediata riparazione.
– È qua! – urla Cozza, nel frattempo raggiunto dal frenatore Gallo, mentre sta per infilarsi tra due vagoni per riattaccare il tubo saltato, ma proprio in questo momento il treno comincia a scivolare lungo i binari in forte pendio, acquistando sempre più velocità. Una bestemmia e Gallo rimonta sul treno cercando di serrare il freno di quel vagone. Cozza invece comincia a correre accanto al treno cercando di raggiungere la locomotiva, ma il treno va troppo veloce e salta sul vagone che ha al suo fianco.
Luigi Milito è nel vagone di coda quando il treno si ferma. Scende per capire cosa stia succedendo ma, nel buio, non nota segni di agitazione o pericolo, così rimonta nel gabbiotto, fa molto freddo ed è inutile restare fuori. Poi il treno si muove. “Bene, tra poco saremo alla stazione”, pensa. Ma subito si deve ricredere perché il treno va troppo veloce e i fischi della sirena lo confermano. Aziona subito il freno a mano ma il treno continua a correre a velocità pazzesca.
Prima della galleria Ventulilla ci sono due curve, la prima verso destra e la seconda verso sinistra. Gli ultimi tre vagoni si staccano alla prima curva e deragliano sulla parete della montagna. Luigi Milito viene sbalzato fuori e, miracolosamente, atterra sul ciglione del burrone. Altri due vagoni deragliano e si rovesciano quasi al centro della curva. Il treno percorre un altro paio di centinaia di metri e imbocca la curva verso sinistra. Altri vagoni, carichi di tronchi di pino, sono rovesciati sul lato a valle nelle immediate adiacenze della galleria e precipitano nel burrone sottostante. Poi il terribile schianto della locomotiva, alla quale sono rimasti attaccati il bagagliaio e i due vagoni carichi di assi di legno, sull’imbocco della galleria lato monte. Nicola Fanello viene sbalzato fuori dalla locomotiva e cade all’interno della galleria. Salvatore Sangiacomo rimane incastrato tra le lamiere ardenti della locomotiva. Luigi Turano, il capotreno, rimane incastrato tra i rottami del bagagliaio e la stessa sorte tocca a Francesco Gallo, risalito sul treno per cercare di frenare.
Mariano Cozza è stordito. Ha forti dolori dappertutto ma si rialza e, nel buio, cerca i compagni. Trova Milito, tutto insanguinato. Sentono dei lamenti provenire da ciò che resta dei vagoni centrali: è Gallo, ma non riescono a trovare nessuno in quel groviglio di enormi tronchi e ferro contorto. Decidono di andare verso la galleria per cercare gli altri. Non sentono lamenti. Allora decidono di andare fino alla stazione di Santo Janni per dare l’allarme ed entrano nella galleria. Inciampano in qualcosa di morbido, è Fanello, ma deve essere morto perché non emette alcun gemito e nel buio non possono avere altri segni di riferimento. Poi Cozza, a tentoni, trova la testa del macchinista e la solleva. Sente il flebile alito che gli riscalda la mano: è vivo! Lo prendono per le spalle e lo trascinano in una nicchia della galleria, poi cercano di andare più in fretta che possono alla stazione a dare l’allarme.
La littorina di soccorso arriva dopo poco più di mezz’ora. Ci sono anche i Carabinieri di San Pietro in Guarano. Con l’ausilio delle torce elettriche vanno subito verso i vagoni centrali dove, gli è stato riferito, sono stati uditi dei lamenti ma è troppo tardi, adesso non si sente più niente.
Alle prime luci dell’alba la portata della catastrofe comincia ad essere chiara: la locomotiva, il bagagliaio ed i due primi carri carichi di listelle formano un groviglio indistinguibile e ostruiscono l’imbocco della galleria. Gli altri carri, deragliati e rovesciati sui fianchi e sotto la scarpata, sono inservibili. Man mano che le ore passano vengono recuperati i corpi dei tre ferrovieri morti.
Francesco Gallo, 46 anni da San Pietro in Guarano. Ha il volto annerito per abbruciamento, le mani spellate; dall’orecchio sinistro, nonché dalla bocca, fuoriesce del sangue. sul volto esistono notevoli soluzioni di continuo, abrase e sanguinanti. Il resto del corpo è estesamente ustionato e contuso. La morte è derivata da gravi lesioni interne in dipendenza di violento trauma, nonché dalle estese e gravi ustioni e dalla conseguente commozione.
Luigi Turano, 41 anni da San Pietro in Guarano. Il cadavere è notevolmente gonfio, ha il volto e le mani anneriti per abbruciamento e la regione toracica pure abbruciacchiata e contusa. Sul resto del corpo estese lesioni di varia entità. La morte è derivata da commozione interna dipendente da violento trauma sulla regione toracica.
Salvatore Sangiacomo, 45 anni da Cosenza. Il cadavere presenta la mutilazione quasi totale del capo in conseguenza di schiacciamento. Il resto del corpo è cosparso di ustioni ed abrasioni varie. Manca il braccio destro.
Dei tre feriti quello meno grave è Mariano Cozza, che se la cava con qualche ammaccatura. Luigi Milito ha varie ferite lacero-contuse e traumi contusivi su tutto il corpo. Nicola Fanello ha ustioni di 1° e 2° grado al viso, al cranio, alle mani e agli avambracci; ferite lacero-contuse al cranio, frattura di 2 costole. La mano sinistra non gli tornerà mai più come era prima e le ustioni al viso gli hanno causato la perdita dell’occhio destro. Non potrà più lavorare.
– Debbo rilevare che il numero dei frenatori, cioè due, era insufficiente per frenare un treno così carico come era quello che io guidavo – denuncia Fanello – e per il quale, data anche la forte pendenza, era necessario un frenatore per ogni due carri. Infine, noto che, dato l’attuale periodo di guerra, non si trova materiale di ricambio e quindi è stato impossibile sostituire il materiale in dotazione alle ferrovie, vecchio ed avariato, con altro nuovo.
– Quindi secondo voi il treno era troppo carico per quella locomotiva?
– La prestazione primitiva della locomotiva da me guidata era di 100 tonnellate, ma dopo una seconda prova fatta da una commissione di funzionari dell’amministrazione delle Ferrovie Calabro-Lucane, la prestazione fu portata a 150 tonnellate…
– Avete fatto notare che c’erano pochi frenatori e quindi si deve dedurre che non tutti i freni a mano siano stati azionati. Secondo voi, azionando tutti i freni si sarebbe evitata la tragedia?
– Certo, se i freni a mano fossero stati azionati appena io ebbi a dare i fischi regolamentari, può darsi che il disastro non si sarebbe verificato…
Le Ferrovie Calabro-Lucane non sono d’accordo con le dichiarazioni di Fanello e per bocca dell’ingegner Mario Sirignano controbattono:
– Dalle indagini fatte mi risultò che la causa tecnica dell’incidente fu la sfrenatura di tutto il treno dopo che questo era stato fermato dal macchinista azionando il freno automatico ad aria. Accadde infatti che il macchinista, durante il percorso, si accorse che da una delle condotte vi era perdita di aria per cui ritenne opportuno, data anche la nottata tempestosa, di fermare il treno e di fare scendere uno dei due fuochisti per provvedere alla necessaria riparazione. Senonché, dato che il macchinista aveva fermato il treno servendosi soltanto del freno a pressione d’aria e non di quello a mano, come avrebbe dovuto fare per normale precauzione, avvenne che il treno si sfrenò non appena il fuochista cominciò ad eseguire le riparazioni alla condotta.
– Quindi la colpa è del macchinista?
– Ritengo che la responsabilità del disastro gravi sul macchinista che, per imprudenza o imperizia, non provvide, appena fermato il treno, ad assicurare la locomotiva con il freno a mano e ritengo, inoltre, che responsabilità vi sia pure a carico dei due ferrovieri addetti ai freni a mano dei vagoni i quali avrebbero dovuto, non appena il treno si fermò, provvedere ad assicurarne il bloccaggio azionando i loro freni a mano. Penso però che questi due ultimi si sono accorti in ritardo che il treno si era sfrenato e che quindi non fecero in tempo, data anche la velocità assunta dal treno in discesa e la brevità del tempo intercorso, a mettere in azione il freno a mano e neppure a salvarsi.
– Erano presenti altri sistemi per il bloccaggio del treno?
– C’era, su ogni vagone, un apposito rubinetto d’isolamento nella condotta del freno ad aria che, chiuso, impedisce che tutto il treno si sfreni ma, dato che la locomotiva nell’urto rimase fracassata completamente, non si poté accertare se il fuochista, prima di provvedere alla riparazione a terra, mise in azione il rubinetto d’isolamento…
Con questa dichiarazione i tre superstiti vengono incriminati con l’accusa di aver cagionato, per colpa, un disastro ferroviario nel quale trovarono la morte Gallo Francesco, Turano Luigi e Sangiacomo Salvatore e del delitto di omicidio colposo per avere cagionato, per colpa, la morte dei tre.
– Io, nel dare ordine al fuochista Cozza di scendere dalla macchina per verificare il freno ad aria, diedi ordini all’altro fuochista Sangiacomo di mettere in azione il freno a mano, che era lui e non io, che doveva azionare perché il freno era dalla parte del fuochista, mentre dalla parte mia vi erano i freni ad aria che dovevo manovrare io e non il fuochista – replica Fanello –. Data l’oscurità della notte non mi sono accorto se il Sangiacomo avesse eseguito il mio ordine. Del resto il disastro sarebbe successo lo stesso, dato il peso del convoglio e la forte pendenza…
Per accertare se risponde a verità il fatto che le Ferrovie non avevano pezzi di ricambio, viene interrogato Ferruccio Inverardi, Capo Deposito delle Calabro-Lucane.
– Certo oggi non si trovano tutti i pezzi di ricambio, ma il Deposito provvede con qualsiasi mezzo idoneo a rendere efficienti i pezzi di ricambio avariati o a costruirli di sana pianta…
Viene ascoltato di nuovo l’ingegnere Sirignano.
– Azionando i freni a mano prima che il convoglio acquistasse velocità pericolosa, si poteva evitare il disastro. Nel dicembre 1943 i magazzini erano regolarmente forniti di tutti i pezzi di ricambio necessari a mantenere i veicoli in condizioni di sicurezza. Faccio inoltre osservare che a Cosenza abbiamo un’officina attrezzata in modo tale da potere costruire i pezzi necessari in caso di mancanza.
Che azionando (tutti) i freni a mano presenti sul treno la tragedia si poteva evitare lo aveva già detto anche Fanello e lo abbiamo capito anche noi ignoranti in materia. Ciò che si sta cercando di non dire, da parte delle Ferrovie, è che era materialmente impossibile azionare i freni di tutti e nove i vagoni con solo due frenatori nei due, al massimo tre, minuti durante i quali il treno restò frenato col freno di emergenza.
Che si voglia scaricare tutto sulle spalle dei tre poveri disgraziati, poi, appare chiaro nella relazione del Pubblico Ministero:
A chi la colpa del disastro? A tutto il personale ferroviario escluso il Cozza il quale aveva solo l’incarico di trovare il guasto e ripararlo. Il macchinista Fanello doveva sapere che il freno Westinghouse ha la durata di pochissimi minuti, per cui avrebbe dovuto subito azionare il freno a mano della locomotiva, chiamando nel contempo con i fischi convenzionali la frenatura a mano di tutti i vagoni. Se egli avesse azionato i freni a mano della locomotiva, che risultano efficienti, si sarebbe certamente evitato il disastro. Il capotreno Turano ed il frenatore Gallo furono trovati cadaveri nel bagagliaio, segno, questo, che non stavano al loro posto, cioè ai freni dei vagoni. Essi hanno piuttosto pagato con la loro vita l’inosservanza ai regolamenti ferroviari che prescrivono, in modo categorico, che quando il convoglio si ferma in discesa, i frenatori ed il capo treno hanno l’obbligo di mettere subito i freni a mano, passando, se del caso, da un vagone all’altro e quindi, onde assicurare migliore frenatura, ricorrere ad altri mezzi, come mettere pietre sui binari vicino le ruote ecc. Il frenatore Milito aveva l’obbligo di fermare subito il vagone e passare quindi agli altri vagoni per frenarli. Se tutti i vagoni fossero stati frenati come era dovere, essi avrebbero di certo offerto tale resistenza da evitare o almeno attenuare gli effetti del disastro
In questo delirio di contraddizioni, il Pubblico Ministero dimentica di attribuire colpe anche al povero Sangiacomo! Poi chiede al Giudice Istruttore di rinviare al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza Nicola Fanello e Luigi Milito. Mariano Cozza viene prosciolto.
Tra una cosa e l’altra siamo arrivati al 5 aprile 1946. È questa la data in cui il Giudice Istruttore accoglie la richiesta del Pubblico Ministero.
Nel frattempo viene presentata dalla difesa una perizia di parte, l’unica agli atti perché quella annunciata dalla Procura non è mai stata depositata, colmando in tal modo una lacuna del processo. L’ingegnere Dario Castagnaro smonta pezzo per pezzo le affermazioni dei funzionari delle Ferrovie Calabro Lucane e quelle della Procura e sostiene:
che per cause imprecisate e non potute accertare con rilievi tecnici, il treno si sfrenò completamente subito dopo la sua fermata improvvisa, iniziando quasi contemporaneamente e senza alcun controllo la sua pericolosa discesa;
che da parte del macchinista Fanello e di tutto l’altro personale di scorta al treno, come è stato ampiamente documentato in periodo istruttorio, furono adoperati tutti quei mezzi idonei ad evitare l’evento dannoso, con l’osservanza più scrupolosa dei regolamenti ferroviari;
che la fulmineità del disastro non consentì al personale di macchina e di scorta di ottenere risultati tangibili ed in questo caso addirittura impossibili.
Il sottoscritto consulente tecnico, nell’escludere qualsiasi responsabilità penale da parte dei ferrovieri deceduti nel sinistro, vittime del proprio dovere, esclude del pari ogni responsabilità penale da parte dei ferrovieri sopravvissuti.
Il dibattimento si svolge nell’unica udienza del 21 ottobre 1946. Entrambi gli imputati vengono assolti per insufficienza di prove.[1]
Ci saremmo aspettati più coraggio.
[1] ASCS, Processi Penali.
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