FACCIA DA PORCA

Salvatore Pezzano ha 18 anni e fa il falegname a Scalea dove la sua famiglia, da San Giorgio Morgeto in provincia di Reggio Calabria, ha raggiunto un parente. Nel nuovo paese conosce la sedicenne Maria Bongioanni e i due si innamorano, ma Maria non ha dote e non si può sposare. Per facilitare il matrimonio, Maddalena Pagliaro, una zia della ragazza che gestisce una macelleria, si impegna sia a fornirgliela, sia ad ospitarli in casa e così i due innamorati possono coronare il loro sogno.
Per qualche tempo le cose vanno bene, nasce anche una bambina, e Salvatore col frutto del proprio lavoro ripaga la zia per l’ospitalità. Visto che le cose vanno bene, Salvatore, Maria e la bambina vanno ad abitare per conto proprio ma poi gli arriva la cartolina di precetto e deve partire soldato nel 52° Reggimento Fanteria di Viterbo. La vita, senza più lavoro, comincia a farsi dura e si fa ancora più dura quando, nel giugno del 1899, si fa seriamente male e viene mandato a casa con una licenza di convalescenza di un anno, con scarsissime possibilità di lavorare.
Una soluzione, almeno temporanea, ci sarebbe per poter tirare avanti: chiedere a zia Maddalena i soldi della dote promessa e ancora non pagata. Ma la zia da questo orecchio non ci sente tanto bene e rinvia ogni richiesta a “quando mio marito mi manderà i soldi dall’America”.
Ormai Salvatore e Maria sono alla disperazione, disperazione che porta l’uomo a rubare dalle tasche di Raffaele Pagliaro, altro nipote diciassettenne di Maddalena, che l’aiuta nella macelleria, dodici soldi. Raffaele lo sorprende con le mani nelle tasche, non lo denuncia ma racconta tutto alla zia. Sarebbe un buon motivo, avendo una coscienza, per rispettare l’impegno preso e pagare la dote, ma Maddalena non è una donna che si lascia intenerire facilmente e, gelidamente lo rimprovera:
Perché non me lo hai fatto trovare morto? Se mi fossi trovata io presente, l’avrei ucciso!
Un amico di famiglia, Giacomo De Cesare, si intromette nella faccenda per tentare di arrivare ad una soluzione. Va a casa di Maddalena e cerca di convincerla:
– Fallo qualche piccolo sacrificio per la pace domestica.
Non darò niente a Salvatore e se verrà in casa mia non uscirà vivo perché lo ucciderò io o lo ucciderà Raffaele! – risponde inviperita.
Mia zia si regola bene a non dargli niente – la spalleggia Raffaele –. Lo ammazzo io, sono ragazzo ed esco… a me non m’inquietasse, se la vedesse con mia zia
– Digli che mio marito soldi non ne ha mandato e non posso dargli niente. Non mi insultasse più e non venisse più in casa mia.
De Cesare capisce che non caverà un ragno dal buco e intuisce che Raffaele è succube della zia, quindi non bisognerà aspettarsi nulla di buono. Temendo di riceverne qualche danno, si ritira in buon ordine senza immischiarsi più di cose che non lo riguardano.
Ma le minacce di Maddalena non si esauriscono qui. Un giorno che era andata a cuocere delle spighe a casa di Giuseppe Russo, in pubblico dice:
Se sale lo scalune (gradino. Nda) della mia casa e non lo uccido io, lo ucciderà mio nipote ch’è giovane e potrà uscire dal carcere… del resto ho dei denari per sostenerlo
Quindi non è vero che non ha soldi, la verità è che odia profondamente Salvatore, anche se questo odio appare immotivato.
Ormai l’inverno è alle porte. Salvatore e Maria vedono la bambina smunta, malaticcia. Devono fare qualcosa altrimenti accadrà l’inevitabile. Allora pensano di forzare la mano alla zia: andranno da lei e Salvatore le dirà che se non scucirà qualcosa dovrà tenersi Maria e la figlia perché sono sue nipoti e ci deve badare lei che li ha messi in questa brutta situazione.
Così, il 12 novembre 1899 Salvatore, sua madre, Maria e la loro bambina sono davanti allo scalune della porta di zia Maddalena. È ormai buio. L’uomo si accorge di avere portato con sé una vecchia e inservibile rivoltella. Bestemmia. Sa che se si arrivasse ad una lite e qualcuno chiamasse i Carabinieri, per lui sarebbero guai, così manda un bambino alla cantina di Ciaccio per chiamare un suo intimo amico, Pietro Siciliano, che arriva subito, prende la rivoltella e se la mette in tasca. Salvatore adesso può bussare alla porta.
– Dacci la dote promessa… per l’anima dei morti, la bambina ha fame…
– Ti ho detto che soldi non ne ho, mio marito non mi ha dato denaro ma anche se me ne avesse mandato non lo darei a te!
Madonna che faccia da porca che hai! Hai il coraggio di negarmi la roba che mi devi! – sbotta Salvatore dopo l’ennesimo rifiuto.
Maddalena, alla luce di un lume, mentre cerca un bastone, urla:
Vattene dalla casa mia perché ti spacco la faccia!
Allora tieniti tua nipote – le risponde, spingendo in casa la moglie e la figlia, poi continua – e tu sarai responsabile se essa farà la puttana!
Io nipote non ne tengo!
Sei una puttanaccia! – la offende mentre sputa per terra.
Comincia un parapiglia tra i due. Maddalena spinge Salvatore per non farlo entrare in casa e Salvatore fa il contrario. Poi arriva in soccorso della donna la sua figliastra con un pezzo di legno in mano col quale comincia a colpire l’uomo.
Nella stanza, comunicante con la macelleria, c’è anche Raffaele, immobile con le mani dietro la schiena. Pietro Siciliano lo nota e gli sembra molto strano che se ne stia lì impalato senza correre in aiuto della zia. Poi gli balena l’idea che nelle mani tenute dietro la schiena stringa un’arma, si fa largo nel parapiglia e gli si avvicina. Ha ragione, nella mano destra Raffaele stringe un lungo, sottile e affilatissimo coltello da macellaio: il micidiale scannaturu!
– Posalo… non è venuto per far guerra ma a conciliare gli interessi suoi e di tua zia…
Raffaele resta impassibile, mentre una piccola folla di curiosi si accalca intorno ai tre rissanti, aumentando la confusione. È il momento buono. Raffaele scatta velocissimo come una molla con lo scannaturu proteso verso Salvatore e con la forza di tutto il suo corpo glielo pianta nel petto. Salvatore sgrana gli occhi per la sorpresa, vacilla, vorrebbe lanciarsi addosso all’aggressore ma le gambe gli si piegano facendolo indietreggiare quel tanto da farlo cadere morto proprio sullo scalune.
Nessuno dei presenti si è accorto di cosa sia veramente accaduto. Tutti pensano che Raffaele abbia colpito Salvatore con un violentissimo pugno al petto, facendolo cadere svenuto, così l’assassino può allontanarsi tranquillamente e andarsi a rifugiare in casa di una parente.
Nel buio e nella confusione generale, per accorgersi che Salvatore è morto bisogna che la madre, nel tentativo di rianimarlo, lo abbracci e si sporchi di sangue. Alle urla della donna accorre subito Pietro Siciliano al quale, mentre si china per sollevare il cadavere, cade la rivoltella dalla tasca e qualcuno dei presenti la vede per terra prima che l’uomo la raccolga e l’affidi a un fratello del morto.
Il Brigadiere Italo Dal Maso e il Sindaco di Scalea, avvertiti dell’accaduto, arrivano sul posto e, prima di raccogliere le prime testimonianze, perquisiscono il cadavere trovandogli nelle tasche una scatoletta metallica con della polvere da sparo e una cartuccia per rivoltella. Quando le prime persone ascoltate dal Brigadiere raccontano che Salvatore aveva una rivoltella in mano mentre litigava con Maddalena, il quadro è più chiaro. Salvatore ha minacciato la zia con la rivoltella e Raffaele è intervenuto per difenderla, prima esortandolo ad andarsene e poi quando Salvatore, non sentendo i consigli del cugino estrasse di tasca una rivoltella minacciandolo, fu costretto a colpirlo per difendersi. Tutto il contrario di quanto realmente avvenuto.
Intanto, anche ipotizzando le legittima difesa, bisogna arrestare il ragazzo e questo avviene a notte fonda, quando viene sorpreso in casa di una cugina e portato in caserma:
– L’ha chiamata porca e faccia di porca. Io intervenni per difendere mia zia ed allora Pezzano disse: “Mi dispiace che sei ragazzo…”. A questo punto io presi un coltello che noi macellai chiamiano scannaturu e fu allora che Salvatore mi impugnò la rivoltella, ma la rimise subito in tasca, come anch’io deposi l’arma. Pezzano però non smise dall’insultare la zia e me, ond’io impugnai di bel nuovo il coltello e lo ferii al petto, mentre lui contemporaneamente mi scagliava contro un ombrello che teneva in mano e cercava, dopo offeso, di metter fuori la rivoltella, ma non ebbe tempo perché gli mancavano le forze… – racconta Raffaele, il quale aggiunge di non ricordare dove ha buttato lo scannaturu. Il Brigadiere gli crede e scrive un verbale molto favorevole.
Le sorprese, però, iniziano quando la madre e la moglie del povero Salvatore si presentano dal Pretore per sporgere querela contro l’assassino e raccontano, chiamando in causa altri testimoni oculari, una storia completamente diversa da quella raccontata dall’imputato, da sua zia e da un paio di testimoni, compresa la figliastra della donna. Racconta la madre:
– Andammo a casa di Maddalena e l’intenzione era di lasciare la moglie in casa della zia, credendo che in questo modo l’avrebbe obbligata a farsi dare la dote. “Ti restituisco due invece di una persona perché non posso menare avanti la famiglia senza la dote che mi hai promesso. Sono pronto a riprendermele appena mi dai quello che mi spetta” mio figlio le disse. La Pagliaro rispose con modi irruenti “Non conosco né a te e né a tua moglie e quindi non ti do niente!”, spingendo fuori il mio povero figlio con grande violenza. Per questo trattamento mio figlio disse: “madonna che faccia da porca! Come puoi dire che non conosci né a me, né a mia moglie?”. A queste parole intervenne Raffaele dicendo in tuono minaccioso: “Mia zia è faccia di porca?” e in questo mentre imbrandiva uno scannaturu per correre contro mio figlio, ma l’intervento di varie persone, e specialmente di Pietro Siciliano il quale rivolse all’omicida le seguenti parole: “Son fatti vedersi tra le donne, tu non c’entri!”. Intanto la zia, eccitata da Maria Giuseppa Leonardi la quale imbrandiva un legno, spingeva fuori mio figlio. In questo momento riuscì a Raffaele di farsi largo e ferire mortalmente il disgraziato mio figlio… me lo vidi cadere innanzi ma realmente non mi accorsi quando fu ferito
Poi la giovane vedova:
D’accordo con mio marito mi recai in casa di mia zia per tentare un ultimo espediente onde ottenere la dote promessami. Mio marito, prima di entrare, aveva consegnato un revolver scarico al suo amico Pietro Siciliano, temendo di essere sorpreso dai Carabinieri. Alle giuste pretese di mio marito, zia Maddalena rispose con la violenza, spingendolo fuori dalla porta. Sorpreso per questo trattamento esclamò: “Madonna che faccia di porca!”. Fu allora che l’omicida imbrandì uno scannaturu e cercò di correre verso la vittima, ma s’interposero in parecchi, in special modo di Pietro Siciliano. Continuando la zia a spingere mio marito fuori, l’assassino approfittò della distrazione dei presenti
– Ma ci sono testimoni che giurano di aver visto vostro marito armato…
Certo non si può credere alle asserzioni di Maria Giuseppa Leonardi che à preso parte attiva nella rissa avendo, con un legno alla mano, aiutato mia zia a cacciar fuori mio marito… e poi la Leonardi è a servizio da mia zia ed è figlia naturale del primo marito di zia Maddalena!
A quest’ultima affermazione il Pretore resta sorpreso, sorpreso dalla sufficienza del Brigadiere che non ha citato questa circostanza nel suo verbale. Adesso tutto potrebbe cambiare verso e Pietro Siciliano ha una grande responsabilità, quella di confermare il racconto delle due donne e, soprattutto, spiegare che fine ha fatto fare alla rivoltella, se è vero che gli fu consegnata:
– Ero nella cantina di Ciaccio quando mi venne a chiamare un fratellino di Salvatore per avvertirmi che stava quistionando con la zia della moglie e mi pregava che andassi a metter pace. Corsi in fretta e trovai Salvatore che non era ancora entrato, mentre sua moglie stava già dentro. Salvatore, appena mi vide, mi consegnò un revolver scarico, temendo di esser sorpreso dalla forza pubblica con quell’arma addosso, nel caso che si quistionasse con la zia. Entrammo insieme in casa e subito chiese la promessa dote, dicendo che il frutto del suo lavoro non bastava a tirare innanzi la famiglia e perciò era disposto a lasciarle in casa la moglie e la figlia se non avesse soddisfatto le sue giuste pretese. Lo trattò malissimo e Salvatore le disse che aveva la faccia di porca a negargli quanto promesso. Maddalena lo spinse verso la porta e Maria Giuseppa, figlia naturale del primo marito, la aiutava con un legno in mano. Nell’entrare in casa trovai già l’assassino con uno scannaturu in mano, che teneva quasi nascosto dietro la gamba destra. Mi avvicinai e gli dissi che non si veniva a far guerra, ma bensì a conciliare gli interessi tra zia e nipote. A queste mie parole non diede alcuna risposta e continuò a tener l’erma come prima. Durante il diverbio non intervenne giacché Salvatore non gli rivolse mai la parola. Nel mentre Maddalena si sforzava, aiutata dalla Leonardi, a cacciar fuori il nipote si fece un po’ di confusione e di questa approfittò Raffaele per correre contro la vittima e ferirla mortalmente. Tutto questo avvenne in un attimo tanto che né io, né gli altri astanti ci siamo accorti che il povero giovane era stato feritoDopo poco uscii dalla casa e trovai Salvatore alle braccia della madre, già morto.
– E la rivoltella?
Nell’abbassarmi per alzare il cadavere mi cadde il revolver che mi aveva consegnato Salvatore. Lo raccolsi e lo consegnai ad un suo fratellino. Ieri i Carabinieri mi hanno imposto di consegnare la rivoltella ed io eseguii i loro ordini recandomi dal fratello e facendomi dare l’arma… Raffaele era già mal disposto verso Salvatore, tanto è vero che la voce pubblica afferma di aver la Pagliaro detto “Se Raffaele non lo uccide, l’ucciderò io”.
È solo la sua parola, certo, ma le parole diventano tre quando si presentano due giovanotti, Michelangelo Manco e Biase Cardillo che giurano di aver visto il revolver cadere dalla tasca di Pietro Siciliano.
Tra i testimoni citati dalla madre e dalla moglie della vittima c’è anche Giacomo De Cesare che racconta delle minacce ascoltate con le proprie orecchie e aggiunge:
Ritengo che le parole dette da Maddalena Pagliaro alla presenza di un giovane siano le più adatte a determinarlo al delitto. La Pagliaro, con le sue parole, voleva dire al nipote “Se tu sei un vile non lo sarò io”, almeno così ognuno le interpreta giacché non si può ritenere che un giovane, che abbia sangue nelle vene, voglia figurare di meno di una donna
L’idea che zia Maddalena abbia potuto istigare Raffaele a commettere l’omicidio è plausibile e si fa strada nella mente degli inquirenti che lavorano su questa nuova ipotesi investigativa. Le cose si mettono molto male per zia e nipote quando Maria Giuseppa Leonardi, forse temendo di essere coinvolta nell’omicidio, ritratta quanto ha dichiarato ai Carabinieri:
Se ai Carabinieri ho detto di avere visto il revolver in mano del Pezzano, ciò feci per la paura avuta e per la confusione in cui mi trovavo. Posso assicurare di non averlo mai visto in mano dell’ucciso.
A questo punto il Brigadiere Del Maso deve dare conto del suo operato e si giustifica così:
Essendo venuto in Scalea il giorno prima dell’omicidio mi trovai un poco a disagio nella scelta delle persone a cui rivolgermi per conoscere i particolari del reato. Mi rivolsi al Sindaco e domandammo alla ragazza Maria Giuseppa Leonardi che si trovava presente al momento dell’omicidio. Le chiesi se fosse parente colla Pagliaro e mi rispose che nessun vincolo la legava al Pagliaro o alla zia e che si trovava lì per combinazione… in seguito ho saputo che è nipote a Maddalena Pagliaro. Ciò mi fa supporre di essere stata istigata a deporre in favore della propria zia
Finalmente c’è arrivato!
Stando così le cose, bisogna procedere contro Maddalena e il Pretore chiede al Giudice Istruttore l’emissione di un mandato di cattura nei confronti della donna perché, oltre ai sufficienti indizi raccolti, si à motivo di sospettare che la medesima, trovandosi in buone condizioni finanziarie, possa raggiungere il marito in America per sottrarsi alla Giustizia. È passata una settimana dall’omicidio.
– Salvatore cacciò di tasca un revolver e… – insiste Maddalena quando la interrogano, pur sapendo ciò che gli altri hanno detto.
– C’erano dei rancori tra di voi?
Salvatore l’aveva con me per causa della dote
– Quindi Raffaele lo ha ammazzato per questo?
Causa unica dell’omicidio fu l’indignazione di Raffaele
– Eppure in passato lo avevate minacciato di morte per via della dote, mettendo in mezzo anche il ragazzo.
– Non è vero niente di quello che dicono…
Per il Pubblico Ministero e la Procura Generale può bastare così e parte la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Raffaele Pagliaro per omicidio premeditato e nei confronti di Maddalena Pagliaro per concorso in omicidio, in quanto ha determinato la volontà omicida del nipote. La Sezione d’Accusa, il 26 febbraio 1900, accoglie la richiesta e resta solo da fissare il dibattimento presso la Corte d’Assise di Cosenza.
I due imputati siedono davanti ai giudici la mattina dell’11 maggio successivo. Tutto si svolge rapidamente senza alcuna novità e nel pomeriggio si ascoltano le richieste delle parti in causa: il Pubblico Ministero e le Parti Civili chiedono la condanna di tutti e due gli imputati per i reati ascritti e la corresponsione di una liberanza provvisionale; la difesa di Raffaele Pagliaro chiede che il reato sia derubricato a lesioni seguite da morte con l’attenuante della grave provocazione; la difesa di Maddalena Pagliaro chiede l’assoluzione per non aver commesso il fatto.
Prima di sera la giuria, dopo aver chiesto dei chiarimenti ai difensori e al Pubblico Ministero, emette la sentenza: Raffaele Pagliaro è colpevole del reato di omicidio volontario, escludendo così la premeditazione, attenuato dalla provocazione lieve e, considerata anche l’età minore degli anni 18 all’epoca dei fatti, lo condanna a 11 anni e 8 mesi di reclusione ed a 3 anni di vigilanza speciale. Maddalena Pagliaro viene assolta per non aver commesso il fatto.
Non viene fatto alcun cenno a risarcimenti per le Parti Civili.
La vicenda si chiuderà definitivamente il 27 luglio 1900 quando la Corte di Cassazione dichiarerà inammissibile il ricorso dell’imputato.[1]
Non sappiamo se Maddalena Pagliaro ha mantenuto fede all’impegno di sostenere il nipote Raffaele in caso di condanna o se si è accollata almeno la spesa per gli avvocati. Certo è che i suoi avvocati li ha dovuti pagare. Siamo sicuri che dal punto di vista economico le sia convenuto non pagare la dote?
Un pensiero affettuoso va a Maria Bongioanni, rimasta vedova a 19 anni in un modo così barbaro, e alla sua bambina, rimasta orfana in tenera età.
L’odio è una brutta bestia.

Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

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[1] ASCS, Processi Penali.

 

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