Sono le 9,30 del 7 novembre 1940 e c’è il sole in contrada Merenzato di Mendicino, così Maria Parise, 12 anni, può andare a raccogliere olive nel fondo che suo padre tiene in fitto. Nel pezzo di terra c’è anche una casetta colonica dove Maria entra per prendere il paniere, ma calpesta un pezzo di legno e una piccola scheggia le entra nel piede sinistro. Si, è scalza come moltissimi. Il dolore non è fortissimo, ma è abbastanza fastidioso camminare in quelle condizioni, così la ragazzina si siede sulla soglia della porta e cerca di estrarre la scheggia di legno. Non si accorge che un giovanotto la sta osservando, che sta osservando le sue gambe scoperte perché le ha accavallate per guardarsi la pianta del piede. È Salvatore Gaudio, ventisei anni, e lei lo conosce perché abita a una cinquantina di metri dalla casetta colonica, così quando la saluta non ci trova niente di strano a restare nella stessa posizione. Salvatore le si siede accanto e comincia a parlare, lei non gli da retta e continua la sua operazione sul piede. Poi Salvatore allunga una mano e la mette sul petto della bambina.
– Ancora non le hai fatte le minne?
– Sono piccola ancora… – gli risponde distrattamente.
– Che belle cosce che hai – continua, spostando la mano sulle gambe di Maria e carezzandogliele. Poi si fa più audace e le alza la gonna, mentre con l’altra mano si sbottona i pantaloni, ma non mise fuori nulla. A questo punto la Parise si svingolò dal Gaudio chiamando a voce alta la vicina Angelina. Ma la donna non le risponde e Maria, terrorizzata, scappa in casa e chiude la porta col catenaccio. Salvatore sorride e si allontana.
Passano forse un paio di minuti e alla casetta arriva il fratello più piccolo di Maria. Lei apre la porta, guarda intorno per vedere se in giro c’è ancora Salvatore e poi, tranquillizzata, si avvia col fratellino verso la casa della vicina per raccontarle l’accaduto, ma Salvatore sbuca dal nulla e i due bambini, terrorizzati, corrono di nuovo in casa e si chiudono dentro.
– Perché siete scappati? Non ho fatto niente di male… non voglio fare niente di male… potete uscire, ma non dite niente, mi raccomando.
– Non diciamo niente, ma tu vattene…
Silenzio. Maria decide di aprire la porta e correre dalla vicina, ma Salvatore è lì davanti, immobile.
– Per favore… non dite niente a vostro padre… – li implora.
Proprio in questo momento sentono la voce della vicina che chiama Maria. È il momento buono per correre e i due bambini lo fanno più velocemente che possono, ma Salvatore resta immobile, solo si tiene l’indice sulla bocca a raccomandare il silenzio.
Maria racconta tutto alla vicina e Salvatore, dai gesti e dalla concitazione dei bambini, capisce che stanno spiattellando tutto, così si avvicina.
– Pure tu non dire niente al padre, non sono andato là per rubare…
Ricevute altre rassicurazioni, Salvatore se ne va per la sua strada e i bambini vanno a raccogliere olive. Ma Maria non mantiene la promessa fatta e quando torna a casa racconta tutto a sua madre, che a sua volta racconta l’accaduto al marito, il quale si preoccupa seriamente. Non è la prima volta che Salvatore dà fastidio a una ragazzina e una volta l’hanno pure arrestato e condannato per questo. Meglio andare subito dai Carabinieri a fare la denuncia.
– Domani mattina lo andiamo a prendere – lo rassicura il Brigadiere Salvatore Villano – tornate a casa e tranquillizzate la bambina.
Appena fatto giorno i Carabinieri della stazione di Mendicino si mettono in marcia per contrada Merenzato ma, arrivati a casa di Salvatore, sua madre dice loro che è appena uscito e che non ha detto dove andava. I militari iniziavano la via del ritorno quando, a circa 400 metri dall’abitazione del Gaudio, notarono la presenza dello stesso davanti la porta, senza giacca. Ritornati indietro, il Gaudio alla vista dei militari se la diede a gambe rendendosi irreperibile.
– Un modo per arrestarlo subito c’è: andate a casa di Gaudio e cercate di avvicinarlo col pretesto di voler fare remissione della querela per cui occorre la sua presenza per sottoscrivere l’atto di accettazione – propone il Brigadiere Villano a Mariano Parise, il quale accetta e si avvia, accompagnato dal suo amico Luigi Filippelli.
Con queste premesse rintracciarlo non è difficile e non è difficile convincerlo ad andare immediatamente in caserma per regolarizzare il tutto. Salvatore è felice e per tutta la strada non fa altro che parlare, parlare e ringraziare Mariano per la sua bontà.
Verso le ore 20 il Gaudio, accompagnato dal Parise e da Filippelli, comparve in questa caserma.
– Che volevi fare alla bambina?
– Alla bambina? Niente, che volevo farle?
– Dai… sappiamo che le hai accarezzato le gambe e il petto e che ti stavi sbottonando i pantaloni mentre le alzavi la gonna…
– No, non è vero! io non ho fatto niente, ho solo chiesto che ci faceva nel fondo e Mariano mi toglie la querela, non è vero?
Ma, in seguito alla conferma della querela sporta da parte del Parise e appreso il Gaudio che doveva essere rinchiuso in camera di sicurezza per il reato commesso, incominciò ad invocare perdono e poiché questo perdono non gli veniva concesso, montato sull’ira incominciò ad inveire con pugni, calci e morsi contro il sottoscritto e i due militari presenti alla stazione, opponendo viva resistenza e violenza per sottrarsi all’arresto, verbalizza il Brigadiere che continua, a nulla valsero le nostre parole persuasive per convincere il Gaudio a desistere dalla violenza e resistenza, egli diveniva più furioso, non voleva affatto entrare in camera di sicurezza; buttatosi a terra tirava calci e pugni a chi osasse avvicinarsi e poiché i tre militari non riuscivano a legarlo con i ferri, si dovette chiedere l’aiuto dei due contadini presenti in caserma che avevano accompagnato il Gaudio e così, dopo un’ora circa di fatica, riuscimmo a legarlo per le mani ed i piedi e rinchiuderlo in camera di sicurezza. Ciò non ostante, il Gaudio per tutta la notte, bensì legato, continuò a battere la porta della camera di sicurezza gridando, fischiando, borbottando parole offensive e minacciose contro i militari.
La reazione di Salvatore ha lasciato il segno su tutte e cinque le persone che, a stento, lo hanno bloccato: il Brigadiere Villano ha una contusione ed ecchimosi alla regione frontale di sinistra e una ferita da strappo al dito anulare destro causatagli da un morso, Mariano Parise presenta escoriazioni multiple alla mano sinistra, gli altri si sono beccati, chi più e chi meno dei calci e pugni. Ma c’è un’altra vittima di questa brutta situazione: la mamma di Maria la quale, a causa del trauma psichico subito il giorno 8 novembre, nella notte dall’otto al nove, ha partorito di un parto prematuro.
La mattina dopo Salvatore viene scortato nel carcere cittadino con l’accusa di tentata violenza carnale e resistenza a pubblico ufficiale. Quando il Giudice Istruttore lo interroga nega tutto:
– Io non ho fatto niente a nessuno. Non ho visto affatto la ragazza di cui mi parlate e non sono nemmeno passato davanti la sua casa di campagna. La famiglia della ragazza non è in buoni rapporti con me perché sono in lite con la stessa avendo avuto impedito io il mio passaggio vicino la sua casa per recarmi nel mio fondo. Non è vero che ho fatto violenza e resistenza ai Carabinieri, i quali invece mi hanno legato e percosso.
Il suo difensore, avvocato Antonio Sensi, lo conosce e sa che qualcosa in lui non va, così, non appena il Pubblico Ministero chiede il rinvio a giudizio dell’imputato, presenta un’istanza al Giudice Istruttore nella quale fa presente:
Avverto V.S. che si tratta di un infermo di mente (come tale non imputabile) come risulta dall’attestazione medica che alligo. Il Gaudio venne riformato per malattia mentale, del che V.S. potrà ottenere conferma presso questo Distretto Militare. Sembra opportuno farla finita con quest’infelice e, ove occorra, previa perizia psichiatrica, adottare i provvedimenti dati dalla Legge per gli infermi di mente.
Il certificato di cui parla Sensi riporta che Salvatore, nell’età di sei anni fu afflitto da encefalite letargica, in seguito alla quale residuarono gravi disturbi psichici (amnesia, ipocondria occasionale, accessi logorroici, instabilità di carattere etc.). dopo l’età della pubertà ha cominciato ad avere, ad intervalli più o meno lunghi, dei veri accessi di mania acuta di più o meno breve durata, su d’un fondo psico-amorale (cleptomania, escandescenze e manifestazioni erotiche).
Il Giudice Istruttore acquisisce l’istanza dell’avvocato Sensi ma nel frattempo rinvia a giudizio Salvatore, modificando l’imputazione da tentata violenza carnale a quella più appropriata di atti di libidine violenta, fermo restando il reato di resistenza a pubblico ufficiale.
Il dibattimento comincia il 13 febbraio 1941 a porte chiuse, ritenuto che la pubblicità a cagione della natura dei fatti può nuocere alla morale ed eccitare riprovevole curiosità.
L’avvocato Sensi parte subito alla carica presentando il foglio matricolare di Salvatore dal quale risulta che è stato davvero riformato per cerebropatia, quindi si rifà anche al certificato già presentato e chiede che l’imputato sia sottoposto a perizia psichiatrica per stabilire se totalmente o parzialmente infermo di mente. La richiesta viene accolta e per Salvatore si aprono le porte del manicomio giudiziario di Napoli, sotto la tutela del dottor Ernesto Santanelli.
Dopo aver ripercorso le varie fasi della vita di Salvatore, costellata da una serie di denunce per violenza carnale, furto e resistenza a pubblico ufficiale, Santanelli passa a esaminarne il profilo psichiatrico:
Dalla storia del periziando riceviamo dei dati interessanti per poter stabilire se egli sia un soggetto sano, dal punto di vista psichiatrico, oppure, una volta esclusa una malattia congenita, vedere invece se sia affetto da disturbi mentali insorti in una data epoca della sua vita, ma di tal natura da ridurre o abolire del tutto in lui ogni grado di responsabilità.
Egli nell’infanzia è andato soggetto a meningite seguita da accessi convulsivi di natura epilettica. Questo è un dato importantissimo sia dal punto di vista clinico che dal punto di vista medico-legale.
Dal punto di vista clinico, infatti, dati questi precedenti morbosi, nessuna difficoltà si deve incontrare nel ravvisare una sindrome di equivalenti epilettici in questi fatti morbosi, consistenti principalmente in episodici disordini della condotta e più precisamente in atti impulsivi di degenerazione sessuale.
Data la natura episodica dei fenomeni, data la precedente condotta del soggetto e le modalità con cui egli si è reso reo, nonché la sua condotta successiva e dato infine il risultato delle nostre osservazioni, il concetto diagnostico non potrebbe orientarsi verso altra sindrome che quella degli equivalenti epilettici su fondo psico-degenerato e nevropatico originario.
In tali condizioni morbose, per lo stato di degenerazione psichica che esse inducono, e per l’assenza di ogni freno morale e per il profondo ottundimento della coscienza, che si determina episodicamente, il grado di responsabilità, ossia la capacità d’intendere e di volere, si deve considerare, se non del tutto annullata, almeno grandemente scemata.
I soggetti affetti da tale malattia, in tale stato morboso, compiono a volte atti o gesti automaticamente, che hanno tutta la parvenza di essere compiuti in piena coscienza mentre, riprendendo lo stato normale, o non ricordano affatto ciò che hanno compiuto o ne serbano una memoria crepuscolare, per cui si spiega il tentativo di negare che, se in parte va attribuito al sistema di difesa che ogni giudicabile presceglie, nel nostro caso si deve anche, in buona parte, attribuire allo stato morboso della coscienza al momento del fatto.
Epperò, date queste considerazioni e quindi la possibilità di poter compiere qualunque crimine nelle suddette condizioni morbose, questi infermi, nei quali la gravità del male esclude ogni possibilità
di guarigione o di miglioramento, sono da considerare persone socialmente pericolose.
di guarigione o di miglioramento, sono da considerare persone socialmente pericolose.
Per tali infermità, lo stesso, al momento del fatto era in tale stato di mente da scemare grandemente la capacità d’intendere e di volere.
Data la natura del male, il Gaudio si deve considerare persona socialmente pericolosa.
Insomma, Salvatore può essere giudicato, ma è meglio se resta in manicomio. È il 3 aprile 1941.
Il processo potrebbe riprendere, ma i tragici eventi bellici e il fatto che Salvatore si trovi al sicuro in manicomio consigliano di soprassedere e dedicarsi a cause più importanti.
Intanto la guerra, almeno nel Mezzogiorno è finita e il fascicolo viene ripreso per fissare la data del nuovo procedimento, ma di Salvatore non si sa più niente al Tribunale di Cosenza, così il Presidente del Tribunale, il 22 febbraio 1945, scrive ai Carabinieri di Mendicino per avere sue notizie:
Prego S.V. volermi comunicare se il nominato Gaudio Salvatore trovasi tuttavia ricoverato al manicomio giudiziario di Napoli o se ha fatto ritorno in famiglia o trovasi altrove.
Il Gaudio deve rispondere del delitto di atti di libidine violenta e bisogna notificargli la citazione in giudizio.
Non ci vuole molto per i Carabinieri scoprire che fine ha fatto Salvatore, basta andare al Municipio e controllare un registro dove sta scritto che, al numero quattro, parte seconda – serie C, risulta che: addì sedici del mese di giugno dell’anno 1941, nel Manicomio Giudiziario di Napoli, alle ore sette e minuti venti, è morto Gaudio Salvatore.[1] Il registro è, ovviamente, quello dei morti ed è stupefacente come mai a nessuno sia venuto in mente di comunicare la notizia al Tribunale.
Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta
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[1] ASCS, Processi Penali.
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