L’anziano è visibilmente scosso mentre ascolta, seduto su una poltroncina, le parole della sorella che, a sua volta, tormenta un fazzoletto asciugandosi di tanto in tanto le lacrime. È la mattina del 2 luglio 1892 e a Cosenza si prevede una giornata afosa
– Allora, se le cose stanno così, stamattina non vado al lavoro ma vado in Questura – dice quasi tra sé e sé Gaetano Li Trenta, sessantaduenne impiegato della Conservatoria delle Ipoteche
– Gaetà… sei sicuro? Non credi che, prima di andare in Questura, potresti tentare…
– Ma che vuoi tentare Angelì, con gli animali non si ragiona! – risponde, quasi rimproverandola
– Ma la gente…
– Ma che me ne fotte della gente! Basta, prendimi la giacca e il bastone chè vado!
L’ufficio del Delegato di Pubblica Sicurezza è a poche decine di metri, ma la ripida erta dello Spirito Santo taglia gambe e fiato e quando Gaetano Li Trenta entra e si siede, ha bisogno di un paio di minuti prima di essere pronto ad esporre i fatti al Delegato Domenico Bennati, poi con un certo imbarazzo attacca
– Mio genero Enrico Aston, civile di qui, fra gli altri figli ne ha una a nome Elvira di dodici anni compiuti. Circa venti giorni fa Elvira fece conoscere a mia sorella come il 15 aprile scorso, venerdì Santo, mio genero l’avea presa a viva forza e, condottala in una stanza della propria abitazione, otturandole la bocca per non essere le sue grida ascoltate dagli altri di casa, l’avea deflorata sfogando su di essa la sua libidine. Da quell’epoca usò sempre di lei carnalmente. Dichiarò l’Elvira che era costretta di obbedire alle libidinose voglie del padre e se qualche volta si rifiutava, la percuoteva. Di tal fatto la ragazza ne informò la coinquilina Luigina Federici, maritata Pasquale Monaco, la quale l’ha riferito alla moglie del signor Antonio Toscano. Avendomi di ciò informato mia sorella, ne fo denunzia alla Signoria Vostra per quei provvedimenti che saranno da prendersi a carico di esso mio genero ed a maggior prova aggiungo che la persona di servizio, della quale sconosco le generalità, ebbe a constatare personalmente il fatto
Un’accusa gravissima. Ma la proverbiale rettitudine morale di Gaetano Li Trenta ovviamente non basta per procedere contro Enrico Aston, altrettanto stimato figlio di Cesare Aston, noto professore di francese. Il Delegato manda a prendere Elvira, fa chiamare subito il medico provinciale Pietro Scordo e la fa visitare, ma il medico sostiene che realmente non era stata stuprata, anche se ci sono dei segnali che rivelano chiaramente che qualcosa è accaduta davvero. Il Delegato adotta subito un provvedimento drastico in attesa di chiarire le responsabilità di Enrico Aston: togliere Elvira da quella casa e affidarla ai nonni materni.
La piccola Elvira, che di queste cose non ne sa niente, liberata dall’opprimente presenza del padre, supera ogni senso di vergogna e insiste nella sua versione dei fatti che risultano essere, anche se narrati con le sue parole ingenue, molto più crudi e drammatici di quelli sommariamente narrati dal nonno
– Fin dal giorno del Venerdì Santo ultimo, mentre io me ne stavo a dormire nel letto con mia madre la notte, sentii toccarmi ed era mio padre che da un altro lettino vicino a quello dove io mi trovavo, mi prendeva per collocarmi seco. Non appena ebbe ciò fatto, incominciò a palparmi sotto nelle parti pudende e perché non gridassi e in qualunque modo mi facessi sentire da mia madre che dormiva, mi tappò la bocca con una mano, incutendomi di starmene zitta, sotto minaccia che altrimenti mi avrebbe ammazzato. Ciò fatto si mise al di sopra di me, con la sua pancia sopra la mia, immettendomi nella natura un che di duro in modo da farmi alquanto male, fino a che egli finiva per bagnarmi, asciugandomi, di poi, con la sua camicia. Mia madre quando ciò avvenne dormiva e si trovava per di più ammalata per cui di nulla si avvide. Dal canto mio nulla le dissi perché inesperta ed anche perché mio padre me lo proibì sempre dicendomi che altrimenti mi avrebbe uccisa. Dopo questo primo fatto, mio padre quasi tutte le notti seguitò a commettere quegli atti sopra di me, fino al punto che io, avvedendomi del male che conteneva, e nonostante le sue inibizioni, dovetti manifestarlo a mia madre, per cui ne nacque una seria quistione fra essa e papà, in guisa che costui minacciò di uccidere me e mamma. Non pertanto, quantunque mio padre si decidesse ad andare a dormire in altra stanza, quasi tutte le notti, quando mia madre dormiva, veniva a prendermi nel letto tappandomi il naso e la bocca col pormi anche la sua lingua nella bocca; e guai se io avessi gridato perché egli già mi avea fatto intendere che se ciò avessi fatto, avrebbe ucciso me e mia madre – il particolare della lingua in bocca, finora mai ascoltato in nessun altro racconto di violenza sessuale in famiglia, fa sbiancare il Delegato il quale adesso capisce che tutto è davvero accaduto, ma purtroppo non è ancora tutto –. E così, quando mi avea presa e collocata nel suo letto, mi faceva come sempre. Alle volte, poi, anzi assai frequentemente, approfittando della circostanza che la mia povera madre dovea starsi nel letto per la malattia della quale poi morì, e mentre mi trovavo in cucina per preparare il cibo, mio padre veniva, si poneva a sedere sopra una seggiola e, dopo essersi aperto i pantaloni ed aver messo fuori il suo membro, mi prendeva e mi metteva a cavallo sopra le sue gambe facendomi entrare il suo membro nella mia natura e non la smetteva fino a tanto che mi avea bagnato come soleva fare quando mi prendeva nel letto. Non contento di ciò, alle volte, e più specialmente quando mi prendeva in cucina ed anche in altre stanze della casa, mi metteva a sedere sopra le sue gambe facendomi entrare il suo membro nell’ano; non rare volte, poi, mi faceva prendere in mano lo stesso suo membro e me lo faceva dimenare – Elvira si ferma un attimo, le lacrime le scorrono libere sulle gote. Il Delegato versa dell’acqua in un bicchiere e glielo porge, poi si passa le mani tra i radi capelli grigi e beve a sua volta –. Per questo male operato da mio padre erano frequenti le quistioni fra esso e la mia povera madre, che poi finì per morire ai 27 giugno, ora decorso per cui io, non potendone più, mi decisi a svelare il tutto alla mia zia Angela la quale, a sua volta, ne conferì con la detta mia madre, svelandole anche meglio di me quello che mio padre mi andava facendo, ma fu tutto inutile perché mio padre, quantunque io glielo sostenessi in faccia, negava il tutto, minacciando che ci avrebbe uccisi tutti quanti se si fosse seguitato a parlare di certe cose
– Ti… ti è uscito del sangue?
– Dalla parte anteriore mio padre, nel farmi quanto ho detto, mai mi ha cagionato del sangue. Però qualche volta sangue mi ha fatto fare dal di dietro introducendomi il suo membro nell’ano… un medico mi ha visitato e mi disse che ero sempre vergine, io però non credo di essere rimasta tale perché mi sento la natura alquanto dilatata…
Siccome tutti riconoscono che la visita fatta ad Elvira dal dottor Pietro Scordo è stata sommaria ed un po’ frettolosa, il Giudice Istruttore, che nel frattempo ha preso in mano l’indagine, decide di far sottoporre la bambina ad una nuova e più approfondita perizia, questa volta affidata al dottor Giovan Battista Molezzi il quale certifica che Elvira è rimasta deflorata e dai segni dai quali tale deflorazione si presenta, giudico del pari che questa risalga a due o tre mesi e per effetto di coiti ripetuti. Esaminata poi anche la regione anale, non ho trovato segni di violenza in quella parte esercitata. Esattamente il contrario della prima perizia ma tutte e due insieme continuano ad alimentare un dubbio atroce: se il dottor Scordo non ha rinvenuto tracce di rapporti sessuali secondo natura e il dottor Molezzi non ha riscontrato tracce di violenze contro natura, stanno sbagliando i medici o c’è la possibilità che Elvira si sia inventata tutto? Per riuscire a fugare ogni dubbio Elvira dovrà sottoporsi ancora alla violenza, almeno psicologica, di un’altra perizia. A sottoporla a visita saranno i due medici che l’hanno già ispezionata e specillata e il dottor Cesare Elia.
Elia, Scordo e Molezzi trovano faticosamente un salomonico accordo e mettono nero su bianco: l’apertura dell’imene potrebbe dirsi di periferia, alquanto più grande che non d’ordinario, ma non può dirsi l’imene che sia stato scontinuato. Vero è che la costituzione flaccida della ragazza non fa escludere, per la presenza dell’imene integro, reiterati atti incompleti di copula. Diciamo incompleti giacché l’indice della mano destra, unto di olio, con modica pressione penetra in vagina sino alla seconda falange, ma lasciando sentire la normale resistenza dell’ostio vaginale, provocando dolore nell’osservata e, senza dubbio, lacerazioni ove si spingesse ancora più dentro il dito esploratore. Quindi escludiamo la deflorazione nel senso anatomico ma ci sono ragioni per presumere i subiti atti incompleti di coito.
In poche parole, Elvira è stata stuprata, ma non troppo. La definizione esatta è atti di libidine violenta commessi con minaccia e abuso della paterna autorità e questo ha un immediato effetto: l’emissione di un mandato di cattura nei confronti di Enrico Aston, che si costituisce il giorno dopo nella mani del Giudice Istruttore
– La mia famiglia si compone attualmente di quattro figli, tra i quali vi è una femmina a nome Elvira, di circa dodici anni. Sono circa venti giorni che mia moglie ha cessato di vivere dopo lunga malattia di tisi. Nella camera dove stava mia moglie ammalata vi era il di lei solo letto ed io per assisterla mi gettavo di quando in quando sul letto stesso, il più delle volte vestito. In una camera attigua vi era altro letto dove dormivano i ragazzi più piccoli e la Elvira dormiva nel cuore del giorno onde essere in grado di potere, la notte, assistere la madre insieme con me. Io non avevo persona di servizio, solo mi avvalevo, per fornirmi dell’acqua occorrente, ora di una donna ed ora di un’altra, secondo chi mi capitava…
– E la notte o quando si presentava l’occasione abusavate di vostra figlia Elvira…
– Queste che mi si dicono sono vere imposture tessute a mio danno, non essendo altrimenti vero che io mi sia permesso di fare verso mia figlia Elvira quanto qui mi si contesta! Tali cose, quando pure sussistessero, avrebbero spinto mia figlia a narrarlo non solo alla madre ma anche alle persone parenti che frequentavano la mia casa in occasione della malattia di mia moglie. Invece ella mai nulla ha detto a chicchessia e ha aspettato ad oggi che è morta la madre a mettere in campo certe cose, anzi, se queste fossero vere, non sarebbe a mia figlia mancata occasione di rivelarlo segnatamente quando io ho avuto motivo di inquietarmi secolei e percuoterla. Nemmeno sussiste che mia moglie, prima di morire, avesse occasione di lamentar meco certi fatti, né tampoco che io avessi motivo di adirarmi per questo e di reagire percotendo mia moglie ed Elvira. Io ritengo che i fatti che mi si addebitano altro non siano che vendetta che vuolsi esercitare verso di me, segnatamente per parte di mio suocero, il quale ha sempre nutrito inimicizia verso di me a causa dell’attuale sua seconda moglie, che era donna di mali costumi e che io, naturalmente, non avrei voluto che si sposasse!
– Però secondo ben tre medici su vostra figlia ci sono dei segni che…
– Non so come sulla persona di mia figlia possano essersi riscontrati segni di patita violenza contro la di lei verginità. Dopo morta mia moglie, io, che dovevo ingerirmi nei miei affari onde procurarmi il necessario per l’alimento della famiglia, lasciavo Elvira con gli altri bambini e praticavo la diligenza di lasciarli chiusi in casa consegnando le chiavi alla mia commare Adelina Berardi ed all’altra casigliana, donna Carolina, che abita sotto di me…
Donna Adelina e donna Carolina, nominate anche da Elvira raccontano ciò che sanno in merito a questa tristissima faccenda.
– Enrico Aston è mio inquilino – attacca donna Adelina Berardi, maritata Angelo Toscano – era stata pure mia inquilina la signora Federici la quale, in un giorno del marzo ultimo venne a trovarmi a casa e con mia sorpresa e ribrezzo ebbe a dirmi che Enrico Aston erasi congiunto carnalmente con la sua propria figlia Elvira. Sulle prime io non volli prestar fede a sì orrendo fatto, ma dovetti finire per convincermi per le insistenze della Federici la quale giunse a dirmi di averlo saputo per bocca della stessa Elvira, la quale glielo aveva ripetutamente affermato piangendo. Io, che conoscevo la madre della ragazza che sventuratamente trovavasi da molto tempo gravemente ammalata, mi credetti obbligata, in coscienza, di andarla a ritrovare per vedere di porre argine al fatto, come feci. Quella povera donna si sforzava di capacitarmi a non prestar fede ai detti della figlia, raccomandando anche alla medesima di starsene zitta onde non perdere il pane e la quiete della famiglia. Ma costei, che pure era presente, tornava a confermare il male operato dal padre suo, dicendo che essa non lo poteva più tollerare e che sarebbe fuggita. La povera Filomena, la madre, ben si comprende che ammalata com’era ben poco poteva riparare, e che così fosse me lo confermò anche la circostanza che non pertanto l’Elvira seguitò a venire da me lamentando sempre di esser così maltrattata dal padre e minacciata anche di morte se avesse parlato. L’Aston è un uomo di pessimi costumi, dedito al vino e affatto incurante della propria famiglia per cui anche mio marito l’ha sempre tenuto lungi da sé e l’ha voluto anche espellere di casa come inquilino, ma non gli è mai riuscito
Parole dure, dure come quelle che usa anche donna Luigina, Carolina, Federici, maritata Pasquale Monaco
– Io abito nello stesso casamento dove ha il suo quarto di abitazione Enrico Aston. Nel mese di marzo ultimo venne a ricercarmi Elvira, figlia di Aston, la quale tutta afflitta e quasi piangente mi disse che trovavasi costretta a confidarmi una cosa. Rimasi sommamente sconcertata quando mi disse che il padre suo da più tempo abusava di lei… anche successivamente Elvira si è lagnata meco di quelle turpitudini ed io la esortavo a rivelarle a sua madre, ma essa mi rispondeva di non potere ciò fare perché il padre la percuoteva e le avrebbe messo le mani alla gola per ucciderla. Dal canto mio non mi azzardai a parlare del turpe fatto nemmeno con mio marito. Solamente ne tenni parola con la mia padrona di casa. l’Aston l’ho sempre conosciuto per un ubbriacone, per un uomo di scorrettissimi costumi in modo che cercava sempre scandali e chiassi in famiglia con molestia anche del vicinato, quantunque si avesse la propria moglie gravemente ammalata…
Ma se le due vicine di casa confermano il racconto di Elvira, confermando anche l’esistenza del lettino accanto al letto matrimoniale, la ragazzina vede smentito un altro pezzo della sua denuncia: in casa Aston non c’era una persona di servizio ma, come sostenuto da suo padre, tre donne che saltuariamente si occupavano di rifornire la famiglia dell’acqua necessaria e, di più, tutte e tre sostengono non solo di non aver mai visto Enrico Aston che violentava la figlia, ma addirittura di non aver mai oltrepassato la soglia di quella casa e quindi nessun estraneo avrebbe assistito, seppure fugacemente, alle violenze.
Intanto, per quanti sforzi siano stati fatti per tenere nascosta la cosa, in città non si parla d’altro e la prima conseguenza è il licenziamento di Enrico dal negozio di Giuseppe Vetere, che dice
– Quando intesi che gli s’imputava l’incesto contro la figliuola lo cacciai. Egli si dichiarava innocente ma io lo consigliai, se il fatto fosse stato vero, di gettarsi dal fiume. Io lo conoscevo per un uomo buono, meno che la sera quando si ubbriacava… io non lo credo capace del fatto, ma lo cacciai
per il pubblico…
per il pubblico…
Per gli inquirenti non ci sono dubbi: Enrico Aston più volte, dal 15 marzo 1892 in poi, nella sua casa di abitazione in Cosenza si è congiunto carnalmente con minacce, violenza ed abuso della paterna autorità colla propria figlia tredicenne Elvira. Quindi non atti di libidine violenta come l’assenza della deflorazione nel senso anatomico si era ipotizzato, ma violenza carnale vera e propria. L’imputato deve essere rinviato a giudizio.
La Sezione d’Accusa fa propria questa tesi e rinvia Enrico Aston al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza. È il 26 agosto 1892.
Il dibattimento si apre il 10 dicembre dello stesso anno e dura una mattinata. Dopo una breve interruzione per il pranzo, il Presidente della Corte legge la sentenza: Enrico Aston è colpevole del reato per cui è a processo e viene condannato a 12 anni di reclusione, oltre ai danni e alle spese.
12 anni, un anno per ogni anno di età di Elvira.
Il 18 maggio 1893 la Corte di Cassazione rigetta il ricorso di Enrico Aston e la condanna è definitiva.[1]
Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta
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[1] ASCS, Processi Penali.
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