IO MORTA E TU IN GALERA

È la mattina del primo ottobre 1900 e a Cosenza è una bella giornata. Luigi Chiappetta e Rosario Mascaro hanno appena finito di accomodare alcuni fanali dell’illuminazione pubblica, sono entrambi accenditori di fanali, e insieme scendono da Piazza Grande verso il Ponte di San Francesco dove c’è il mercato dei contadini. Hanno voglia di mettere qualcosa di sfizioso sotto i denti e comprano dei dolcissimi fichi d’india.
– Guarda lì… c’è mia moglie – dice Mascaro indicando Olimpia Cavalcante, la moglie da cui vive separato da quasi un anno, da quando lui è andato a vivere con un’altra. La chiama e lei si avvicina. Con slancio le offre un soldo di fichi d’india, pagati però da Luigi Chiappetta, e mangiano insieme da buoni amici. Poi ognuno se ne va per la propria strada.
Mentre i due colleghi stanno tornando agli uffici del gas, vengono raggiunti da Olimpia. Rosario la chiama in disparte e le chiede 50 centesimi.
– In questo momento non li ho, ma te li do appena posso…
– Mi devo comprare una coppola di accenditore di fanali… – insiste.
– Adesso non posso darteli – taglia corto Olimpia, che se ne va lasciando Rosario deluso e arrabbiato.
Ma Olimpia sa, perché è sempre stato così, che adesso Rosario le farà pagare caro quel rifiuto, malmenandola ovunque dovesse incontrarla, così comincia a stare guardinga cercando di non farsi mai trovare da sola per strada.
Gennaro Rogato abita in Via Timpone, di fronte alla casa di Camillo Florio, dove Olimpia fa la domestica, e la sera del 2 ottobre sta godendosi il fresco davanti alla porta di casa quando vede Rosario Mascaro che si avvicina borbottando qualcosa mentre raccoglie da terra alcuni sassi.
– Che ci devi fare con quelli? – gli dice
– Stasera devo ammazzare mia moglie che non mi ha voluto dare i cinquanta centesimi che mi servivano…
Rogato sa che Rosario fa spesso queste sparate e non ci bada più di tanto. Poi lo sente urlare e subito dopo il rumore di vetri infranti.
Puttana! Ruffiana!
A quel chiasso accorre Ercole Cavalcante, il fratello di Olimpia, che con modi molto sbrigativi obbliga Rosario ad andarsene. Sembra tutto finito, invece Rosario va nel vicino ufficio degli accenditori di fanali, si impossessa di una scala ed esce fuori per salire con la stessa nella casa del Florio onde uccidere la moglie, ma il pronto intervento di Gennaro Rogato ed il contemporaneo arrivo sul posto di Luigi Chiappetta evitano qualsiasi brutta conseguenza. Almeno per quella sera.
Verso le 10 di mattina del 4 ottobre Vincenzo Ruffolo, commesso di magazzino, sta portando dei pacchi lungo Corso Telesio, quando incontra Olimpia che cammina rasente il muro guardandosi continuamente alle spalle.
– Che hai? – le chiede.
Sono perseguitata da mio marito perché non gli ho voluto dare, come al solito, del denaroho paura che se mi trova mi bastona
– Tornatene a casa per evitare ogni possibile inconveniente – le suggerisce ed Olimpia, seguendo il consiglio, se ne va a casa.
Verso l’una pomeridiana dello stesso giorno Vincenzo Ruffolo ha finito le consegne e sta tornando a casa sua per mangiare un boccone e si trova a passare davanti all’abitazione di Olimpia, che lo vede e lo chiama:
– Vincè… mi devi fare un piacere…
– Cosa?
– Mi devi accompagnare alla Delegazione di Polizia, non posso stare più così…
– Andiamo, sbrigati, però ti lascio lì che devo andare a mangiare.
Arrivati al Vicolo di Santa Chiara trovano Rosario. Olimpia, nel vederlo, incomincia a tremare e diventa bianca come un lenzuolo, ma riesce a domandargli che cosa volesse da lei.
Voglio che lasci al più presto possibile il servizio di famiglia Florio ed ora ringrazia San Vincenzo – dice facendo cenno a Vincenzo Ruffolo – altrimenti ti avrei accomodato io… – poi gira  sui tacchi e se ne va.
Olimpia, terrorizzata, decide di non andare dalla Pubblica Sicurezza, se ne torna di corsa a casa e non esce più per il resto della giornata.
L’avvocato Raffaele Pellegrini è il Segretario della Provincia e la mattina del 5 ottobre 1900 esce di casa con un paniere per andare a comprare dell’uva al mercato dei contadini. Con lui c’è l’archivista Gabriele Ruffolo.
– Questa è la migliore… ‘nu zuccaru! Riempi il paniere e pesalo per bene.
Vussuria stassi tranquillu ca li fazzu bon pisu.
Adesso che il paniere è stracolmo, l’avvocato Pellegrini ha un grosso problema: trovare qualcuno che glielo porti a casa perché per uno nella sua posizione è vergogna andare in giro con la spesa.
– Eccellenza… eccellenza, mi dovete aiutare, mio marito mi perseguita e io ho paura che mi vuole uccidere… – Olimpia lo supplica gettandoglisi ai piedi.
– Ma no! Che dici! Anzi, sentimi, me lo porti questo paniere a casa che ti regalo qualcosa?
– Eccellenza, io il paniere ve lo porto, ma a condizione che voi veniate con me, ho paura, ve l’ho detto…
Pellegrini, non sapendo come fare, accetta e fa avviare Olimpia, mentre lui e Ruffolo la seguono a 4 o 5 passi di distanza. Arrivati a casa dell’avvocato, sita al vicolo detto di Conflenti, dopo aver conservato l’uva, Pellegrini esce e si dirige, seguito da Olimpia, verso il Corso.
L’avvocato adesso è sulla strada che sbocca alla Piazza Grande ed essa Cavalcante all’angolo del Palazzo Campagna. In quello stesso momento lo spazzino comunale Luigi Pirri sta spazzando il Vicolo Conflenti, quando vede i coniugi Rosario Mascaro e Olimpia Cavalcante che in quel luogo si incontrarono.
Perché non ti ritiri a casa? – le dice Rosario.
Se finora non sono stata buona per te, neppure lo sono per l’avvenire… – Luigi Pirri nota qualcosa di strano mentre i due discutono: Rosario tiene una mano in una tasca del matinè. Anche Olimpia si è accorta di questa stranezza e lo afferra cingendogli con le sue braccia il corpo e gli dice di cacciare la mano dalla tasca e mentre stavano entrambi abbracciati, il Mascaro trasse di tasca un coltello poco lungo e con lo stesso colpisce violentemente Olimpia alle spalle.
Un urlo. Pellegrini si gira di scatto e vede Olimpia in colluttazione con un uomo e subito quell’uomo la lasciò dandosi alla fuga, mentre la Cavalcante gridava essere stata ammazzata dal marito.
Olimpia viene portata a braccia in ospedale, dove viene visitata dal dottor Felice Migliori il quale riscontra una ferita nella linea para-vertebrale sinistra, in corrispondenza della decima costola. La ferita, dopo aver reciso i comuni tegumenti, si dirige obliquamente in alto e si addentra nel nono spazio intercostale. Nel cavo toracico non si riscontrano segni di versamento intra-pleurico, però la funzione respiratoria non si compie in egual modo nei due toraci. Questo fenomeno è sintomatico dell’avvenuta lesione della pleura costale, fatto, questo, confermato dalla specillazione, la quale ha dimostrato altresì che la ferita sia penetrante nel cavo pleurico. Sempre quando la ferita non abbia determinato penetrazione di germi infettivi nel cavo pleurico che potrebbero metter capo ad una pleurite infettiva, la lesione descritta è guaribile in venti giorni.
Sembra essere andata bene e Olimpia è anche in grado di rispondere alle domande del Magistrato e di sporgere querela contro il marito, del quale non c’è traccia, come non c’è traccia del coltello.
Passano nove giorni e Olimpia sta peggiorando, è febbricitante  – brutto segno – è in preda a smania ed affanno. Questa volta a visitarla è il dottor Vincenzo Scola. L’esame fisico del torace lascia notare un mediocre versamento nella cavità pleurica sinistra, probabilmente siero-sanguigno causato dalla ferita dalla paziente riportata. Giudico che l’inferma, in seguito alla sviluppatasi pleurite essudativa è in pericolo di vita e, nella più favorevole ipotesi, potrà guarire fra altri trenta giorni.
Purtroppo la più favorevole ipotesi non si realizza e Olimpia muore la sera del 16 ottobre in casa di suo fratello Ercole. La notizia si sparge subito in città e due Carabinieri in servizio di pattuglia, entrati nella cantina di Francesco Morelli in via Calata della Corda, vedono Rosario Mascaro e lo arrestano per omicidio, sebbene ancora non sia stato emesso alcun provvedimento nei suoi confronti. Redigendo il relativo verbale, il Brigadiere Davide Reverzoni mette in luce un particolare di cui ancora non si è parlato: alle ore 17 del 7 corrente mese il Mascaro, recatosi sotto le finestre del locale civico ospedale, tirando pietre nel reparto delle donne ove trovavasi ricoverata la di lui moglie per la ferita dal medesimo riportata, pronunziava all’indirizzo di questa le seguenti parole: “Porca, puttana, non sei ancora morta? Mò vengo io nell’ospedale ad ammazzarti del tutto!”. Detto Brigadiere Reverzoni, informato del fatto dalle locali monache, nel recarsi sul luogo per le dovute verifiche, il Mascaro, alla presenza dell’Arma, si dava alla fuga.
La mattina seguente, interrogato dal Giudice Istruttore, Rosario si difende:
Da sei o sette mesi dietro mi ero diviso da mia moglie. Essa conviveva con Camillo Florio ed io coabitavo con Vincenza Lupinacci nella salita Pietramala. Ma non ostante tutto ciò erano buone le relazioni tra me e la detta mia moglie, tanto che spesso veniva a trovarmi a casa e mangiava con me. Da più tempo mi sono sorti dei sospetti sul conto di mia moglie, ritenendo che aveva relazioni carnali col detto Camillo Florio, quantunque non ne sono stato mai certo e perciò la esortai a lasciare la casa Florio e di andare a servire un altro padrone, premettendole che io l’avrei soccorsa per quanto potevo, impegnandomi in ogni caso a pagarle la pigione di casa. Siccome la Cavalcante non volle seguire i miei ordini insistendo a trattenersi presso il Florio, diverse volte la minacciai di morte per intimorirla ed essa sempre ha risposto: “io morta e tu in galera”. Il giorno cinque corrente mese, e propriamente verso le ore sette e mezza antimeridiane, uscii dalla mia casa di abitazione per recarmi alla casa municipale di questa città onde pulire delle lastre e quando fui alla fine della piazza grande, alla imboccatura del vicolo Conflenti, vidi l’anzidetta mia moglie e perciò mi avvicinai a lei invitandola a lasciare la casa di Camillo Florio, ma essa mi rispose che dal Florio se ne sarebbe mai andata. A tale risposta montai in ira, trassi di tasca un piccolo coltello a piega ed avventatomi contro essa, le vibrai un solo colpo al fianco sinistro ed immediatamente essa si mise a gridare ed io mi diedi alla fuga. Se io mi spinsi a ferire mia moglie  non lo feci certamente con l’intenzione di ucciderla ma solo per incuterle timore e così obbligarla a lasciare la casa di Camillo Florio
– Dalle carte risulta che nutrivate dei rancori verso di lei perché non vi aveva voluto dare del denaro per i vostri vizi…
Non è affatto vero dappoichè se essa qualche volta mi ha dato la somma di quattro o cinque lire, ciò lo faceva a titolo di prestito ed io, non appena il 27 del mese percepivo lo stipendio di accenditore di fanali, ho sempre restituito le somme avute
– E cosa dite delle minacce che le avete fatto quando era ricoverata in ospedale?
Nelle ore pomeridiane del giorno sette volgente mese, sapendo mia moglie degente in ospedale, mi avviai alla volta dello stesso per informarmi delle condizioni della sua salute. Arrivato presso l’ospedale, da una finestra della parte di dietro vidi affacciata la moglie di Ercole Cavalcante e le domandai come stava Olimpia. A tali mie parole, la donna mi rimproverò dicendomi che pure avevo la faccia tosta di andare in quel luogo, invitandomi a ritirarmi subito e contemporaneamente mi chiuse la finestra in faccia. Io mi ritenni offeso e perciò ingiuriai ad alta voce col nome di puttana la moglie di Ercole Cavalcante. Non è quindi vero che andai sotto la finestra per inveire contro la defunta mia moglie, né lanciai pietre
– E i cinquanta centesimi che le avete chiesto e non vi ha dato quando la incontraste al mercato?
Non è affatto vero che in quel rincontro le chiesi in prestito la somma che non volle darmi… con me c’era Luigi Chiappetta
Peccato per lui che tutti i testimoni ascoltati in occasione del ferimento lo abbiano già smentito.
Nel frattempo arrivano i risultati dell’autopsia: Olimpia non è morta per la pleurite essudativa che le era stata diagnosticata, ma per la letale anemia e per la grave compressione del cuore, entrambe prodotte dalla copiosissima emorragia nel cavo pleurico sinistro, emorragia causata esclusivamente per la lesione dell’undicesima arteria intercostale di sinistra.
Da tutto ciò che abbiamo letto finora sembra evidente il ruolo di padrone assoluto che Rosario avrebbe voluto avere sulla moglie, nonostante se ne fosse separato per andare a coabitare con un’altra donna. Un comportamento molto comune anche ai giorni nostri, purtroppo, è la considerazione immediata che a ciascuno di noi verrebbe da fare. Ma questo caso, secondo le dichiarazioni di Ercole Cavalcante, il fratello di Olimpia, confermate da molti testimoni, sembrerebbe diverso, anche se la sostanza non cambia. Vediamo perché:
Mia sorella da moltissimo tempo dietro sposò il nominato Rosario Mascaro e siccome, or sono pochi anni, fu colta da una malattia uterina e non si poteva unire al marito, perciò i detti coniugi di comune accordo si divisero. Il Mascaro andò a convivere con una donna di cui ignoro il nome, mentre mia sorella la faceva da domestica con Camillo Florio, dove viveva di giorno e di notte. Non ostante mia sorella fosse divisa dal marito, pure gli somministrava del denaro per far fronte ai suoi bisogni perché non gli era sufficiente il mensile che percepiva perché menava una vita troppo scioperata e stava sempre ubbriaco
Racconta Angiolina Pancaro:
Circa quindici mesi dietro trovandomi a passare innanzi l’abitazione di Camillo Florio, fui invitata dalla Cavalcante ad entrarvi ed avendo io annuito alla sua richiesta, entrai e trovai ivi anche il marito. Sedutami, essa Cavalcante mi offrì un bicchiere di vino che accettai ed in presenza del marito mi disse che avessi convinto mia cugina Giuseppina di andarsene con esso suo marito perché ella non poteva avere commercio con lui trovandosi da più tempo ammalata con l’utero, però io feci presente alla Cavalcante che non potevo consigliare una mia parente di andare a fare la mantenuta
Poi Saveria Dattilo:
Da due anni dietro circa, la Cavalcante ripeteva continuamente che non poteva avere più commercio carnale con uomini perché era gravemente ammalata con l’utero, tanto che si divise dal marito ed essa stessa cooperava a trovargli delle donne perché impossibilitata a congiungersi con lui carnalmente
Riguardato il referto autoptico dove il perito ha riscontrato l’utero leggermente prolassato, queste affermazioni sembrano veritiere.
Ma ciò che conferma sostanzialmente tutto sono le parole di Vincenza Lupinacci, la mantenuta di Rosario:
Da circa sette mesi dietro mi trovo in Cosenza e nell’andare in cerca di un padrone, trovai Caterina Lavorato, madre di Rosario Mascaro, la quale m’invitò di andare ad abitare col figlio che andava in cerca di una governante. Trovandomi io incinta da tre o quattro mesi ed abbandonata da tutti, accettai la proposta fattami ed andai ad abitare con Rosario Mascaro. Dopo poco, per detto, appresi che costui era ammogliato e la moglie medesima si presentò a me invogliandomi a trattenermi col marito, promettendo anche di soccorrermi, ma siccome io le dissi che il Mascaro era suo marito e che perciò io ero intenzionata a lasciarlo per andare a fare la domestica, essa mi pregò di trattenermi facendomi in pari tempo osservare che era fisicamente impossibilitata ad unirsi carnalmente al marito perché difettosa – poi dice qualcos’altro di molto grave sul conto di Olimpia –. Per detto pubblico è a mia conoscenza che la Cavalcante facesse la puttana e la ruffiana
Cosa? Il Giudice Istruttore vuole vederci chiaro e richiama le due precedenti testimoni che sanno molto sul passato di Olimpia. Sanno che fu mantenuta di diverse persone ed una di esse se la sposò in fin di vita. Quindi sposò Rosario il quale, secondo le due testimoni, prima di sposarsela la conosceva certamente per donna di facili costumi.
Saputo di tutte queste voci, si presenta al Giudice un tale Carmine Corsonello, uno degli ex amanti di Olimpia il quale dichiara:
Olimpia in prime nozze sposò un ex guardia di finanza di cui ignoro il nome. In seguito al di costui decesso, la Cavalcante venne a servire nel Caffè di Napoli, posto in Via Orefice, dove io ero cameriere. Siccome stavamo continuamente assieme, così ci unimmo carnalmente e Olimpia divenne la mia mantenuta per lo spazio di quattro anni. Infine pretendeva di essere sposata, ma siccome non era della mia condizione, così non volli cedere alla sua pretesa e la lasciai. In seguito a ciò sposò Rosario Mascaro, il quale non ignorava certamente che essa da poco aveva lasciato di fare la mantenuta. E ciò tanto è vero che dopo sposata al Mascaro, spesso si presentava a me mandata dal marito per avere dei mozziconi di sigaro ed io ho sempre soddisfatto alle richieste di Olimpia per mantenerla ben vista dal marito. Rosario Mascaro sposò Olimpia perché possedeva del denaro, tanto che quando io la lasciai, le complimentai lire 100, oltre dei risparmi fatti coi propri utili.
Ecco, se mai ci fossero stati dubbi che il movente potesse essere stato l’onore in questo stato di degrado, adesso è certo che Rosario ha accoltellato Olimpia per soldi.
L’accusa in rubrica per Rosario Mascaro è di omicidio con premeditazione, ma il Pubblico Ministero chiede che venga modificata in quella di omicidio preterintenzionale, reato per il quale, il 15 gennaio 1901, la Sezione d’Accusa lo rinvia a giudizio.
Il 19 dicembre 1901 la Corte d’Assise di Cosenza condanna Rosario Mascaro a 13 anni e 4 mesi di reclusione, più pene accessorie.
La Suprema Corte di Cassazione, il 14 novembre 1902, rigetta il ricorso dell’imputato.[1]

Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

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[1] ASCS, Processi Penali.

 

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