TUTTO TRA COGNATI

Yorkville, Ohio li 12-2-1923
Mia cara sposa
Ti scrivo queste due righe di certo per imformarmi na cosa di te; la mia informazione è questa che voglio sapere se io sono capo di casa o puro siete voi. Dunque voi mi doveti fare sapere cosa siete antata a fare dove la casa di tua sorella e loro vengono da voi e questa micizia voglio assolutamente che non siste fra la mia famiglia e la sua, se poi siete stanga di stare sotto i miei ordini allora fareti como voleti che io farò come voglio che questa è la siconda volta delle tue manganze che tiricordi che tiò la sciato detto che non voglio che tu sei amica con tua sorella e la sua famiglia, anzi puro vedi che ho fatto pigliare subbito a mio figlio quado la vete dato allatare a tua sorella e tu non ai quinti nessuna cosa dame. Poi se tu marzi con la tua dea che ti credi che io per amore di mio figlio ti farò passare tutte le tue mancanze, non evero che poco ti calcolo e se tu farai ancora la medesima cosa io farò che ti farò cacciare della mia casa e il mio figlio lo farò portare amiei parenti, anzi ti farò ricordare quella parola che mi dicevi quado eravamo fidanzati che mi aveti voluto loro, ti ricordi se non ti ricordi fatello venire amente e proprio il punto che mi posso pagare e statte attenta di non parlare più a tua sorella è sua famiglia se sono patrone accomandarti, se poi non vuoi essere comandata più di me fati come vuoli e puro ti dico che le tue sorelle cilai proprio alla bocca e una e una e la cognata Pasqualina e laltre sono la cogina Rosaria e la Cogina Anna queste sono le tue sorelle, già parlare con te e lo stesso parlare con un asino che siete pari. Poi guardite bene che nella merica che sono io si dice che siamo liberi, rammenta questa parola se la vuoli capire non ti devo più nulla, tu sei patrona affare come vuoli e io lo stesso.
Scrivo io Luigi Magnone
Ma perché Luigi Magnone, contadino di contrada Salice Sottano in territorio di Belmonte Calabro, ha tanto astio nei confronti di sua cognata e di tutta la sua famiglia? Beh, ci vorrebbe un libro intero per spiegarne a fondo i motivi, ma per riassumerli in due parole, potremmo dire che Luigi rinfaccia alla cognata di non aver fatto nulla per far finire la tresca tra suo marito, Saverio De Luca, e sua sorella Rosa, la moglie di Luigi, tresca cominciata poco tempo dopo la sua partenza per la Merica e poi perché Rosa, oltre alle normali rimesse in dollari, si faceva mandare anche 70 lire al mese come retta per tenere a balia il loro figlioletto malato da una donna di Santa Barbara, altra contrada di Belmonte Calabro, invece Luigi scopre che le dava alla sorella.
Le lettere che Luigi spedisce alla moglie si fanno sempre più violente e offensive (…quando vengo se Idio vuole prima ti la devo sbattere io la testa alli mura…; …fati come voliti brutta scimia…; questo verno ti devo fare patire la fame così quando provi la fame ti ricordi come si parla, lo rispetto allo marito…; …fai uno conto che sono morto, che ti lascio da vero…; …una volta ci stava una buttana è ora ci sei tu da ruffiana…; …è meglio che ti butti nel mare da sola, non che si devono divertire altri sobra la tua casa, ma io ti dico che è meglio ti butti dalla Perrupata che sia più vicino senza di andare all mari che e distante o puro se ti basta il cuore di aspettarmi, mi fai trovare uno bello cipo di legna che voglio impararmi affare il chianchiero sobra da te, dissonorata e carogna che sei ancora, vedi che tiai ucciso il maiale e fra dui mesi tila mangiato con il tuo ganzo e famiglia… non stare più a scrivermi che tu non sei più nulla con me, tu stai con le persone che sono carogne come te; non ti vergogni ancora brutta ruffiana che miai tradito in 3 anni che mango di italia…; …se in caso ti dispiace che paghi lire 70 al mese, tilo pigli e lo buti di dove lo cieraso abbasso, perché non sei donna di figli che sei una razza di tante parole che una cosa non la finisci mai e come tu mi pigli per stupido, ma il peggio è di quello che la fa lungua… stupida che devi essere è puru ingurante che sei, ma statte accolta che sinò ciè il Padreterno. Doppo scritto: razza con razza è bella capita gia la tua testa è strunata dallo la voro che fai, povera asina che sei…) finché nell’ultima lettera che le scrive, oltre a tutte le altre cose, la accusa anche di avere commesso un furto ai danni di una sua cugina e che, forse, prima o poi tornerà a Belmonte:
io mai mi lo potevo magginare avere tanto onore di trovare una moglie così con la dea fina come sieti ora che aveti una manina così fine legiermente di guardare con locchi e toccare con le mano allo tavolato di mia cogina. Vedi che finalmente la mia fortuna lo trovata che non oppiù bisogno di stare innamerica e buttare sangue che con la tua fina dea che ai studiato non obisogno di lavorare più. Povera o Rosina come sei incatinata con catene di ferro, sula sula, vedi che tutti li amici che io vedo e conosco mi domantano della tua stupidaina che ai avuto; come io potrò venire alli Italia dello onore che miai acquestato, io non so come ai avuto il coraggio di caciarti il mezzo onore della tua vita ma non ti chredere che io non vengo più alli Italia che non appena saprò che tu sei sotterata sotto terra io allora verò alli Italia, sino permè ti potrai maritare nuovamente e non mettere più il cognome da marito che io non ti sono più nulla e non aspettare lettere da me… non mi basta il coraggio di venire dentro il mio parentato e vicinanzo che tu sei la prima ladra e io debbo portare il cappello basso che tengo vergogna da me stesso che tutti mi dicono che tua moglie arrobato le supersate alla mia cogina. O povera Rosina catinata, maio notte e giorno tipenso ma dello suo primo marito e bantonata, ma vissa rispettato allmeno uno anno che dalla Talia sono partito. O brutta traditora miai tradito con dui mesi e mezzo che addolorato 11 mila lire tio mantato e non mi meritavo di essere tradito.
Rosina, da parte sua, fa molto poco per nascondere la simpatia verso suo cognato Saverio e così tutto il vicinanzo li può vedere che se ne vanno insieme fuori dal paese e ci restano anche per lunghi giorni, tutto senza che Angela, sorella e moglie dei due amanti, muova un dito per fermarli.
Ma verso la fine di gennaio del 1924 Rosa comincia a sospettare, forse avvisata dai parenti di qualche emigrato in contatto con suo marito, che Luigi stia per tornare e comincia a guardarsi le spalle, rifiutando anche di incontrare Saverio inventandogli delle scuse.
La mattina del 21 gennaio 1924 Rosaria Pati, una vicina di casa di Rosa, sta sfaccendando quando si accorge che Saverio è sulla porta di casa della sua amante. Incuriosita, senza far rumore apre uno spiraglio della finestra e si mette ad origliare:
Perché non sei venuta iersera a casa mia a Spinetti? – Le chiede Saverio.
Non venni perché ero ammalata
Tu ora te ne vai, non mi fare inquietare perché se no ti faccio il mondo verde o rosso! – la rimprovera.
Ti ripeto che io non venni perché ero ammalata, come ti ho detto
Saverio fa un gesto di disapprovazione, scende i pochi gradini che danno accesso alla casa di Rosa e se ne va.
I sospetti di Rosa si concretizzano un mese e mezzo dopo, il 29 febbraio di quell’anno bisestile, quando Luigi ritorna a Salice Sottano e da vero capo di casa prende possesso e consuma quanto gli spetta per tutta la notte. Magari è l’occasione buona per perdonare e ricominciare ma non è così: la sera del primo marzo tutto il vicinanzo si accorge che Luigi la sta gonfiando di botte, poi la mattina seguente comincia come se niente fosse accaduto. Anzi, nel primo pomeriggio del 2 marzo, Luigi e Saverio si incontrano nella cantina del paese e bevono insieme del vino da buoni amici. Poi, quando comincia a diventare buio si incamminano insieme verso casa in compagnia di un altro paio di persone. Strada facendo, senza apparente motivo, Saverio, quasi alterato, dice a Luigi:
Sei un cretino! – Luigi replica e ne nasce un battibecco subito sedato dagli amici.
Giunti alle prime case di Salice gli amici man mano si fermano nelle proprie abitazioni. Luigi si trattiene per qualche minuto a parlare con uno di questi, mentre Saverio va avanti e arriva davanti alla casa dei Magnone. Sale i pochi gradini e bussa.
RosaRosa… – la porta si apre immediatamente – ci sono novità?
Nulla
Ci sono novità? – insiste.
Nulla… – ripete Rosa.
Gennaro Magnone vuole essere pagato quattro mazzi di paglia per canestri
Sono fatti da vedersela con mio marito – gli risponde bruscamente.
Sono fatti che mi devo vedere io che ho fatto da garante per la paglia – le risponde altrettanto bruscamente.
In questo frattempo arriva Luigi e Saverio si rivolge direttamente a lui:
– Mi devi restituire duemiladuecentocinquanta lire.
– Semmai sono mille e in ogni caso te la devi vedere con mia moglie che ha contratto il debitofatteli dare dalla sua dote, tu sapevi che l’avevo abbandonata da un anno e non dovevi darcele!
Io, allora, domattina, in presenza di quattro testimoni mi prendo tua moglie e la porto dinanzi alla legge! – lo provoca Saverio, ma Luigi non perde la propria calma e replica:
Per mio conto puoi pigliartela stasera stessa!
Allora perché l’hai percossa? – adesso le cose potrebbero cominciare a degenerare, adesso non si tratta più della restituzione dei soldi.
Non è vero… del resto è mia moglie e non la tua, io a casa mia posso fare quello che mi piace!
Anche io pure. Guarda, Luigi, tu la prima sera che sei ritornato ti sei coricato con tua moglie… – gli occhi dei due cognati sono come lampi che illuminano la notte incombente. La bufera è sempre più vicina.
A te che t’importa? Saverio, vedi, io son tornato dall’America per farmi gli affari miei a casa mia, tu vattene! – adesso non è più in ballo nemmeno l’onore dei due cognati, ma l’esercizio del proprio potere su di una donna, anzi due perché c’è di mezzo anche la moglie di Saverio che ha sopportato silenziosamente la situazione, da parte di due maschi.
Io qui ci voglio stare! – ribatte Saverio con arroganza guardando il cognato dritto negli occhi, mentre fa il gesto di aprire la giacca cercando di estrarre la pistola di cui è armato.
Ma Luigi, che si aspettava quella mossa, è più veloce e, tirata fuori la sua rivoltella, gli spara contro un colpo centrandolo in pieno petto.
Saverio si accascia sul pianerottolo ed a sangue caldo riesce a rialzarsi e scendere i pochi gradini cercando di imboccare un viottolo, poi stramazza al suolo morto stecchito. Luigi scappa mentre i vicini, che hanno visto tutto, accorrono sul posto, dove ancora si respira il fumo acre della polvere da sparo. Sono le 18,00 ed è già buio.
I Carabinieri di Amantea sentono bussare ed aprono la porta della caserma alle 23,30. Due donne raccontano i fatti di Salice al Vicebrigadiere Pasquale Barbato, il quale in pochi minuti si avvia verso la contrada di Belmonte Calabro con un suo sottoposto.
Addosso al cadavere di Saverio De Luca vengono rinvenuti una pistola carica di 10 colpi, imbrunita, calibro 38, collocata in una fondina scanciata, un portafoglio con carte diverse, tra le quali una lettera di Luigi Magnone indirizzata alla moglie, due brandelli di un’altra lettera ed un coltello di genere vietato a molla fissa, la cui lama con punta acuminata è lunga cm 15. Tutto l’occorrente per affrontare un duello all’ultimo sangue.
In casa di Magnone vengono rinvenuti e sequestrati un vecchio fucile ad avancarica, 17 lettere e tre fotografie dell’assassino, magari potrebbero tornare utili per le ricerche, se non si riuscisse a rintracciarlo in tempi brevi.
L’autopsia accerta che ad uccidere De Luca è stata l’anemia acuta provocata da un proiettile calibro 6,25 esploso a circa 80 centimetri di distanza che ha trapassato l’aorta, il lobo superiore del polmone sinistro per terminare la sua corsa contro l’impianto vertebrale della 3^ e 4^ costola di destra, entrambe fratturate.
Mia sorella Rosa è stata la rovina della mia famiglia facendo rimanere me vedova con quattro figli in tenera età perché ella, contrariamente a quanto le scriveva suo marito, frequentava la casa mia, con mio marito andava spesso insieme a lavorare fuori paese per parecchi giorni. Io avvertivo sempre mia sorella di non venire a casa mia, arrivai financo a percuoterla ma ella, caparbia ed ostinata, veniva sempre e diceva che avrebbe continuato lo stesso sino alla venuta del marito e che non si curava delle dicerie della gente. Io non ho creduto mai, e neanche sospettato, che mia sorella mi tradisse con mio marito. La sera del 29 febbraio, quando mio cognato rimpatriò, mia sorella era a ballare in casa di Anna Magnone ed esso mio cognato la sputò in faccia e le disse: “quello che hai fatto io ti perdono, salvo che non ci sia questione di onore. Quindi voglio otto giorni per accertarmene ed in questo frattempo dobbiamo vivere separati”. Quella sera andò a dormire non a casa sua ma in quella di una cognata. Mi consta che il giorno successivo alla sua venuta, mio cognato andò a dormire a casa sua portandovi anche la valigia. Ritengo, e ne sono convinta, che l’omicidio fu consumato per ragioni di interesse e non di onore – accusa Angela Pate.
Anche sua sorella Rosa nega che si sia trattato di un delitto d’onore e ci mancherebbe pure! Nemmeno per il Pretore di Amantea ci sono dubbi: tutto è partito dalla richiesta di restituzione del denaro prestato.
Luigi Magnone resta latitante qualche giorno e poi si costituisce nel carcere giudiziario di Cosenza ed è subito interrogato dal Giudice Istruttore. Per lui le cose sono andate in modo diverso:
Nel 1920 io partii per l’America e dopo circa un anno dal mio arrivo colà, i miei compaesani che venivano mi riferivano che mia moglie era divenuta l’amante di De Luca Saverio, il quale aveva sposato una sorella di lei. In sul principio non credetti a tali voci ma esse diventarono così persistenti che il mio dubbio cominciò a diventare così forte che decisi, alla fine, di venirmene in Italia per sincerarmene. Arrivai a Belmonte la sera del 29 febbraio e non andai a casa mia ma bensì a casa di un mio fratello ove mi trattenni per due giorni. Mia moglie, pur avendo saputo del mio arrivo, non si fece viva ed io il terzo giorno mi recai in Amantea per comperare un vestitino per il mio bambino che avevo potuto vedere solo di sfuggita… al mio ritorno da Amantea trovai per via il De Luca il quale, con fare da prepotente, cominciò ad apostrofarmi con le parole: “cretino… vigliacco, carogna”. Quando fummo a casa mia, egli, stando sulla strada, chiamò mia moglie la quale a quella voce si fece sulla porta ma io, ferito a sangue come ero nella mia dignità, le imposi di rientrare. Fu allora che il De Luca, con fare sempre beffardo e provocante, mi disse: “ma non sai che di tua moglie sono stato il padrone per parecchi anni e voglio esserlo ancora?”. Avendogli io risposto che, giacché egli stesso mi confermava le sue relazioni con mia moglie, poteva pure portarsela via per non farla più rimanere in casa mia. Egli replicò: “e se non mi dai 2250 lire…”. In così dire mise mano alla rivoltella che aveva al fianco con l’evidente intenzione di spararmi. Fu allora che io esplosi un colpo con la mia rivoltella a circa tre passi di distanza, freddandolo.
Si, è vero che per Luigi si trattava di questione d’onore, ma se ha sparato lo ha fatto per difendersi, non ha cominciato lui e questo è confermato da tutti. Legittima difesa, quindi.
Il Pubblico Ministero concorda con l’impostazione data dal Pretore di Amantea e, nel formulare le sue richieste, conclude: La causale fu dovuta non all’odio che il Magnone nutriva contro il De Luca per l’offesa arrecatagli al suo onore, ma a ragioni e contrasti d’interessi. È il 27 settembre 1924. Due mesi dopo la Sezione d’Accusa sposa questa tesi e rincara la dose: La sera del 2 marzo esso Magnone si incontrò col De Luca nella frazione Annunziata, lo avvicinò, gli diede e ne ricevè baci ed abbracci e, insieme a lui entrò nella bettola di tale Arlia dove col concorso di comuni amici furono consumati quattro litri di vino, pagati per metà dall’imputato e per metà dal De Luca. Essendo tali i risultati della prova generica e specifica, riesce evidente come l’imputato si sia reso responsabile dell’omicidio ascrittogli. Non può, in suo favore, invocarsi la discriminante della legittima difesa perché egli non si trovò di fronte ad una violenza attuale, ma ad una semplice minaccia e non fu costretto ad uccidere da alcuna necessità, non potendo escludersi la possibilità che il De Luca si sarebbe limitato al solo atto compiuto, senza mai estrarre l’arma.
Il dibattimento inizia il 5 febbraio 1925 e due giorni dopo la giuria emette il verdetto di assoluzione perché riconosce che l’imputato ha agito per esservi stato costretto dalla necessità di respingere da sé una violenza attuale ed ingiusta. Legittima difesa. Per la giuria Luigi Magnone non è nemmeno colpevole del reato di porto abusivo di arma da fuoco, nonostante non fosse provvisto della relativa autorizzazione e non avesse nemmeno pagato la tassa dovuta.[1]
Sui debiti si può soprassedere, sulle corna no.

 

[1] ASCS, Processi Penali.

Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

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