LA LINEA DELLA MORTE

Il pomeriggio del 15 novembre 1942 molta gente affolla la stazione ferroviaria di Roma. Anche il binario da dove partirà il treno diretto a Reggio Calabria pullula di passeggeri e di accompagnatori; stracolma è la carrozza diretta a Cosenza che verrà sganciata dal resto del convoglio a Paola e agganciata al treno locale per valicare la montagna arrancando sulla ripidissima salita. Militari, impiegati, uomini d’affari, donne che vanno a trovare i propri mariti, gente che torna nei propri paesi dopo aver fatto ciò che doveva in chissà quale parte del regno. Ci sono anche un reduce della campagna di Russia, Ottavio Santagata di Rose, che ha avuto la fortuna di restare ferito e poter tornare a casa in licenza di convalescenza e un diciassettenne ebreo polacco di Leopoli, Abramo Kupperberg, che sta andando a trovare la madre e il fratello internati nella camerata 51 del campo di concentramento di Ferramonti. Alle 19,35 in punto il treno parte col suo carico di uomini e merci ma comincia ad accumulare subito del ritardo. “E meno male che in Italia i treni viaggiano sempre in orario!” ironizza qualcuno. Qualcun altro da lontano urla: “Disfattista!” ma la cosa finisce lì perché, seduti o in piedi, quasi tutti cominciano a sonnecchiare, mentre altri si danno da fare per corteggiare qualche bella donna e altri ancora cercano di sfilare qualche portafogli.
A Paola il treno arriva con più di un’ora e mezza di ritardo e la coincidenza per Cosenza, prevista per le 4,30, subisce ovviamente lo stesso ritardo.
Anche nella stazione di Paola c’è molta confusione e i passeggeri che stanno salendo sul treno 4731, la cui partenza è stata annunciata per le 5,40, sono molti di più di quanti il treno possa contenerne e ovviamente anche le merci e i bagagli superano l’ordinario. Il personale sta completando i soliti controlli sulla funzionalità dei freni, gli agganci e tutto il resto, ma ci sono delle perplessità sul peso complessivo del treno e l’aiuto macchinista Alfredo Malara, col berretto in mano, esprime la sua preoccupazione al Dirigente di servizio di turno:
– Siamo troppo pesanti, è pericoloso…
Stai al tuo posto, il numero dei passeggeri non è tua competenza! – gli risponde quello arrogantemente.
– Obbedisco… – farfuglia Malara abbozzando il saluto fascista, poi torna al suo posto sulla locomotiva. Poco dopo, al fischio del capostazione, il treno parte sbuffando.
Come da regolamento, la locomotiva a vapore si sistema dietro la vettura mista di 1^ e 2^ classe, la quale ha davanti la carrozza di 3^ classe che, a sua volta, ha davanti la carrozza adibita a bagagliaio con alcuni scompartimenti di 3^ classe. Una volta che il convoglio arriverà a Falconara Albanese, cioè alla fine del tratto di salita ripida, per percorrere il quale la locomotiva dovrà essere agganciata alla cremagliera e aiutata da un filo di sabbia che viene fatta cadere sulle rotaie per aumentare l’attrito, si provvederà a invertire l’ordine, in modo che durante la discesa la locomotiva dovrà trovarsi davanti ai vagoni per frenarne la velocità. Pochi chilometri e il treno arriva regolarmente alla stazione di San Lucido superiore dove si ferma, come prescritto da orario, per 5 minuti durante i quali la locomotiva viene rifornita nuovamente di acqua e il treno, rimessa in efficienza la pressione e l’acqua in caldaia, riparte. Passati gli scambi ed impegnata la cremagliera, nel richiudere gli scariche dei cilindri, il macchinista Primo Cerrai nota una perdita di vapore e si accorge che viene dai due rubinetti di spurgo del cilindro ad alta pressione di destra, ma deve proseguire perché non è possibile fermare il treno in quel tratto. Dopo il Km 8 da Paola, la pressione in caldaia divenne deficiente per il cattivo rendimento del carbone, non atto alla bisogna. Cerrai bestemmia. Deve assolutamente fermare il treno per cercare di aumentare la pressione della caldaia. Il livello dell’acqua è al minimo, il treno si ferma con i tre vagoni dentro la galleria San Giovanni e la locomotiva fuori.
Chiudi il freno a nastro – ordina a Malara che esegue bloccando così la ruota dentata della cremagliera. Contemporaneamente Cerrai blocca il freno continuo stringendo pure il freno della ruota dentata folle, poi chiude anche il regolatore. Col treno ormai fermo caricano altro carbone nella fornace e immettono altra acqua nella caldaia, poi Cerrai ordina a Malara di scendere per controllare i due rubinetti di scarico che perdono vapore.
– Ci sono dei grani di metallo che non fanno chiudere bene le valvole – gli urla Malara.
Il ragionier Renato De Rose di Rende, spazientito per l’ulteriore ritardo del treno, si affaccia dal finestrino del suo scompartimento e nota del vapore che esce da qualcosa vicino a una ruota e il fuochista che sta effettuando delle riparazioni, poi capisce che l’uomo sta dicendo delle cose al macchinista e, nonostante sembri che i due fossero sicuri del buon andamento della macchina, dal gesticolare del fuochista ha la sensazione che la macchina poteva tirare ma non andava bene.
– Il treno non va bene, scendiamo… – dice a sua moglie.
Anche il veronese Umberto Zanella si accorge che qualcosa non va quando sente un rumore prodotto da fuoriuscita di vapore, preceduto da altro rumore come da martello.
Oscar Leone di Luzzi si affaccia al finestrino e vede il fuochista che, sceso dalla locomotiva, sta battendo con un martello sopra uno stantuffo. Poi nota che essendo caduto un dado, lo aveva ricollocato battendo con un martello. Subito dopo constatò una fuoriuscita di fumo e di prille da tutte le parti della macchina. Data un’altra martellata, tolsero i freni e diedero il vapore.
Invece l’ingegner Nicola Trapani, trentaseienne palermitano impiegato della sede cosentina dell’Azienda Autonoma, sente il capotreno che a un certo momento disse a un operaio della ferrovia che era in treno, di scendere e andare a domandare al macchinista se il treno si fermava ancora molto tempo per prendere le precauzioni necessarie ad arrestare con i dovuti segnali i treni che eventualmente sarebbero potuti sopraggiungere dall’una e dall’altra parte. L’operaio scende.
– Fatto! Le valvole sono a posto – dice Malara rimontando a bordo.
Cerrai controlla i manometri e tutto gli dice che adesso si può riprendere il viaggio. Riporta il rubinetto di comando del freno continuo in seconda posizione, ricarica la condotta a 5 Kg di pressione, toglie il freno della ruota dentata a folle, apre i regolatori ordinario ed ausiliario e ordina a Malara di allentare gradualmente il freno a nastro.
Durante la salita, il manovale FF SS Luigi Marchesano è nella vettura di testa del treno 4731. Il Capotreno Antonio Caridi è al suo posto nel bagagliaio, accanto al freno a mano, come da regolamento. Quando il treno si ferma nella galleria San Giovanni, Caridi ordina al manovale di andare a chiedere al macchinista se ci voleva molto per rimettersi in viaggio.
Marchesano fa per scendere dal treno ma, appena messo il piede sul predellino, il treno si muove e lui rientra in vettura.
La locomotiva ha un sobbalzo in avanti, poi si mise a slittare fortemente, malgrado la sabbia che cadeva regolarmente. Cerrai, per dare più potenza e superare il momento critico, apre maggiormante il regolatore, ma è inutile. Poi tutti avvertono distintamente un forte colpo che fece sobbalzare la locomotiva e dietro questo sobbalzo si ruppe la conduttura del fischio della locomotiva, inondando la gabina di acqua e vapore bollenti, impedendo di vedere. La locomotiva invece di procedere avanti, retrocedeva. Cerrai dà un colpo di [frenata] rapida e, mentre Malara stava chiudendo il freno a nastro, si accorge che il treno sembra rallentare il suo retrocedere. Poi serra il freno della ruota folle.
Il ragionier De Rose e sua moglie stanno per scendere dal treno quando questo ha un sobbalzo e poi comincia ad andare indietro. Guardando fuori dal finestrino vede uscire dalla parte inferiore della locomotiva fiamme e scintille e contemporaneamente si accorge che la velocità del treno in discesa verso San Lucido aumentava vertiginosamente.
Precipitiamo tutti perché il treno va a corsa pazza verso San Lucido! – dice in modo concitato a sua moglie, poi si affaccia dal finestrino e vede volare il berretto di uno dei macchinisti. Capisce che di lì a poco potrebbero farsi molto male e così ritiene opportuno scendere le valigie perché queste non producessero danni alle persone.
Nel treno scoppia il panico. La gente, impaurita dalla velocità fantastica, forse superiore ai cento chilometri all’ora che il treno sta acquistando, comincia a urlare invocazioni al Padreterno perché faccia fermare la corsa pazza del treno e salvi le loro vite.
L’ingegnere Antonio Trapani, intuendo il pericolo perché il treno aumentava la velocità, vorrebbe buttarsi giù dalla porta del bagagliaio ma il manovale Marchesano glielo impedisce.
Marchesano vede il capotreno azionare il freno a mano e sente che gli urla:
Frena! Frena! – così corre nella vettura centrale per azionare l’altro freno a mano ma trova il conduttore che già aveva stretto il freno.
All’altezza di una curva la locomotiva, unita alla vettura di 1^ e 2^ classe con un semplice aggancio, sobbalzava prima verso sinistra e poi verso destra, avvertendo un grosso strappo: le vetture
si sono sganciate dalla locomotiva che assumeva fortissima velocità, andandosi a fermare quasi di colpo allo sbocco della cremagliera in prossimità della stazione di San Lucido.
Le vetture deragliano andando a sbattere contro la parete di protezione situata a lato monte della strada ferrata. Nell’urto, la prima vettura si schiacciava completamente, la seconda deragliava e si obliquava riportando avarie di una certa entità, la terza vettura, costituita dal bagagliaio e di alcuni scompartimenti di terza classe, deragliava senza riportare avarie degne di particolare rilievo.
La scena è apocalittica: cadaveri dappertutto, corpi smembrati dalle lamiere, feriti che invocano aiuto, bagagli disseminati tutto intorno al Km 7+300 della tratta Paola-Cosenza.
Quando arrivano i soccorsi si contano provvisoriamente 15 morti, dei quali due donne e un bambino non vengono identificati, e una novantina di feriti, alcuni dei quali molto gravi in imminente pericolo di vita e nei giorni successivi moriranno altre 6 persone, così i morti diventano 21.
Quando la locomotiva si ferma davanti alla stazione di San Lucido, Cerrai e Malara scendono storditi, ma con l’aiuto della trazione di un altro treno appena arrivato da Paola, riescono a mettere in sicurezza la locomotiva. Sono le 9,40 del 16 novembre quando i due ferrovieri si incamminano a piedi verso la città per rassicurare i propri familiari.
Cerrai, Malara e Caridi vengono sottoposti alle inchieste della magistratura e a quella interna delle FF.SS. con l’accusa di disastro colposo.
A salvarli potrebbero essere solo le perizie ordinate sulla qualità del carbone utilizzato e la perizia sugli impianti frenanti della locomotiva, visto che i vertici delle ferrovie insistono, in ogni atto, sulla buona qualità del carbone e dei macchinari forniti.
Il dottor Francesco Pisani, chimico di Cosenza, riscontra due qualità di carbone, entrambe di provenienza tedesca, tra quello prelevato nella locomotiva e, seppure la loro qualità sia discreta, la resa è certamente inferiore a quella di buoni litantraci per caldaie.
Il professionista chiamato ad analizzare gli aspetti tecnici del treno è l’ingegnere cosentino Mario Castagnaro il quale, molto scrupolosamente, analizza ogni minimo dettaglio, compresi tutti i rapporti dei macchinisti dell’ultimo anno, tutti i registri della manutenzione di tutti i treni adoperati sulla tratta Cosenza-Paola e giunge ai risultati che tutti sapevano, ma che nessuno ha voluto mai ammettere: la tratta Cosenza-Paola è pericolosissima per le carenze dei mezzi viaggianti adoperati e gli eccessivi carichi trasportati. Castagnaro si sofferma su parecchi rapporti precedenti, segnalazioni e denunce del personale addetto. Per esempio, il 15 novembre 1941, esattamente un anno prima del disastro, il macchinista Buccieri denunciava: Il servizio della Cosenza-Paola e viceversa è diventato un problema arduo a sviluppare. I pesi dei treni oscillano di sola tara dalle 107 e più tonnellate, più 300 viaggiatori in maggior numero militari carichi di bagagli e considerato un peso ciascuno di 65 kg, sono eguali ad un peso di kg 19.500, portando così il peso del treno a T. 125,500, più la resistenza che offrono tre vetture e il bagagliaio munito di ruote dentate, si aggira sulle T. 130, peso matematicamente impossibile rimorchiare. Difatti con tutti gli sforzi si arriva al km 8 con velocità sui 4 km ora, per fermarsi, dato che in quel punto la pendenza è dell’80 per mille ed in curva. Per potere proseguire bisogna far scendere i viaggiatori, superare di m. 200 quel punto critico, rifermarsi per far salire i viaggiatori scesi per diminuire il tonnellaggio. (…) prima di far scendere i viaggiatori si fanno dei tentativi resi inutili dalla maggiore prestazione, temo che i denti della cremagliera si spezzino in queste prove. Chi spetta provveda perché ritengo urgente l’interessamento della Superiorità.
Lo stesso Buccieri, il 13 febbraio 1942, lamenta:
Il sottoscritto, che espleta servizio sulle locomotive gruppo 981 è stato punito per avere superato la velocità nelle tratte a dentiere. In merito tiene a far presente alla Superiorità quanto segue: da quando è stato aperto l’esercizio della linea Cosenza-Paola, i treni viaggiatori erano muniti di doppia condotta del freno e con un peso non superiore alle T. 100; ora invece si verifica che i treni in parola hanno la sola condotta del freno continuo, eccezione fatta per il solo bagagliaio specializzato, per mancanza di vetture specializzate. Adesso, dato il peso dei treni, è assolutamente impossibile mantenere nelle tratte a dentiera una velocità costante non superiore ai 12 km ora come prescritto. In queste condizioni, non potendo regolare tale velocità sia col freno continuo che col freno della ruota folle e peggio ancora col freno a nastro, che come è noto alla Superiorità si adoperano solo nei casi di bisogno, è logico che nelle tratte a dentiera veniamo a trovarci scoperti di frenatura. (…) È necessario dunque che la Superiorità si renda esatto conto della gravità dei fatti, per l’inconveniente più volte lamentato dal sottoscritto, mentre si è ancora in tempo prima che succeda qualche catastrofe perché pare che da un certo periodo di tempo a questa parte l’esercizio della Cosenza-Paola è stato preso con troppa leggerezza e che questo stato di cose sia eliminato a scanso di eventuali responsabilità e spiacevoli conseguenze che in un domani potrebbero derivare. (…) Il macchinista ha la stessa importanza di una palata di scorie.
Le segnalazioni di criticità al Km 8 tra il 1941 e il 1942 si sprecano senza che nessuno si sogni di intervenire, fino a un paio di settimane prima dell’incidente, quando si sfiora per due volte un’altra tragedia: il 2 novembre la locomotiva ha un guasto alla guarnitura del cilindro sinistro, ma il capo deposito di Paola, non avendo altre locomotive, mi ordinava di partire ugualmente, pur sapendo che la locomotiva non era in efficienza, lamenta il macchinista Rossi, il quale aggiunge che il giorno dopo si dovette togliere una vettura per l’inefficienza della locomotiva.
Poi Castagnaro va giù duro: In base all’art. 2 di dette norme [Norme speciali per l’esercizio della linea Paola-Cosenza, nda], tutti i veicoli sulla linea Cosenza-Paola dovrebbero essere equipaggiati col doppio freno automatico e moderabile. In Italia ne sono equipaggiate quasi tutte le locomotive e i tender delle FF.SS. e un certo numero di veicoli. Non si comprende perché questa norma non sia stata più osservata sulla linea Cosenza-Paola, pur avendo le FF.SS. una certa disponibilità di veicoli muniti di doppia condotta. Dati i forti dislivelli della Cosenza-Paola, quando tutto il treno fosse equipaggiato col doppio freno, la manovra nelle discese risulterebbe enormemente facilitata. Nel periodo prebellico il servizio sulla Cosenza-Paola veniva fatto con automotrici e da una sola coppia di treni. Durante la guerra è stata introdotta nuovamente la trazione a vapore, rimettendo in servizio quelle locomotive che da più mesi erano state accantonate nei depositi della rete. È fuor di dubbio che lo speciale stato di emergenza, con la soppressione di alcune coppie di treni abbia creato dei compiti gravosi all’esercizio della linea Cosenza-Paola e conseguentemente si sia avuta una maggiore prestazione dei treni in servizio. Soltanto dopo il sinistro l’Amministrazione ferroviaria si è resa esatto conto dei fatti, che pur erano stati denunziati un anno prima dai propri dipendenti, provvedendo a rendere più leggieri i treni e ad emanare delle disposizioni di rigore per evitare l’eccessivo affollamento di viaggiatori in piedi nelle vetture.
Castagnaro scagiona il personale: dagli accertamenti eseguiti è risultato che l’uso dei freni da parte del personale di macchina è stato tempestivo, graduale e regolato con quell’avvedutezza e urgenza che il caso richiedeva.
Ma nonostante ciò il macchinista Primo Cerrai, l’aiuto macchinista Alfredo Malara, il capotreno Antonio Caridi, il conduttore Giuseppe Perciavalle e il capostazione di Paola Angelo Amendola vengono rinviati a giudizio per disastro colposo.
Il dibattimento, a causa del precipitare della guerra, si aprirà a conflitto terminato, il 9 agosto 1946, e verrà subito rinviato al 25 marzo 1947. Esattamente un mese dopo, la Corte assolverà Giuseppe Perciavalle e Angelo Amendola per non aver commesso il fatto e Cerrai, Malara e Caridi per insufficienza di prove, nonostante riconosca che grave e palese risulta la responsabilità dell’Amministrazione delle Ferrovie o meglio di quegli organi tecnici che avrebbero dovuto rilevare tempestivamente gl’inconvenienti e disporne l’eliminazione. È ancora vivo nell’ambiente locale il ricordo di un precedente: sulla stessa linea e nello stesso punto, durante l’anno 1917 [Leggi la storia del disastro del 1917], ebbe a verificarsi un altro disastro con modalità e proporzioni quasi identiche a quelle in esame e che è valso alla linea in parola il battesimo di “linea della morte”. È un’ingiustizia e i tre presentano subito ricorso in Appello.
La giustizia arriva il 24 novembre 1949, sette anni dopo la tragedia, quando la Corte d’Appello di Catanzaro, in riforma della sentenza di primo grado, assolve Primo Cerrai, Alfredo Malara e Antonio Caridi per non aver commesso il fatto.
Nessun dirigente delle ferrovie è stato coinvolto.[1]

 


[1] ASCS, Processi Penali.

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