– Marescià… mi minacciava con un lungo pugnale e mi diceva Puttana di tutti… e continuava a venire avanti… io ho preso la scure e…
– Aspetta, facciamo tutto con calma – la ferma il Maresciallo Cosimo De Vittorio, comandante la stazione di San Martino di Finita – allora… addì 14 luglio 1928 eccetera eccetera… la prevenuta Ruà Adelina, nata e residente qui nella frazione Santa Maria le Grotte il 7 novembre 1892, esatto? – Adelina fa un cenno di assenso con la testa mentre tormenta nelle mani un fazzoletto – coniugata Amantea Francesco nato 31 marzo 1891, nato e residente qui come la presente, esatto? – Adelina annuisce ancora – bene, adesso raccontami come sono andati i fatti…
– Mi trovavo in casa con mia madre a scodellare la pasta. I miei due fratelli e mia sorella si trovavano sull’aia intenti a trebbiare. Ad un tratto, mentre mi trovavo, come ho detto, intenta a scodellare colle spalle rivolte verso la porta di ingresso, nel voltarmi lo vidi entrare con fare irato…
– Chi hai visto entrare? Il soggetto!
– Mio marito… aveva la giacca nel braccio sinistro e l’altra mano in tasca. Poiché egli cominciò come al solito ad ingiuriarmi e a minacciarmi malgrado io lo avessi esortato a lasciarmi in pace, temendo di qualche male, io mi armai colla scure che nascosi dietro la schiena…
– Possibile che non ha visto una cosa del genere?
– Non posso precisare se egli di tale atto si sia accorto. Or poiché io lo vedevo avvicinare sempre più a me che mi trovavo vicino la porta e proprio sul limitare dell’uscio, prima che lui potesse fare qualsiasi atto, gli diedi un colpo di accetta al collo. Tale colpo egli ricevette sulla nuca perché io, sfuggendogli, arrivai a farmi dietro di lui. Contemporaneamente gliene assestai un altro sul di lui braccio, dentro la cui mano egli teneva nella tasca dei calzoni… no, scusate, sono confusa… dico meglio… allorchè gli assestai il primo colpo sulla nuca egli estrasse il coltello dalla tasca e io gli assestai un altro colpo al braccio. Appena lo vidi a terra continuai a dare dei colpi…
– Mentre tua madre ti aiutava ad ammazzarlo…
– Non è vero che mia madre abbia concorso al delitto che fu solo da me consumato. Mia madre durante la discussione con mio marito si era ritirata nella stanza attigua e sopravvenne solo quando io avevo già inferto il primo colpo. Mentre tentava di dividerci cadde a terra e alla vista del sangue corse fuori. Ritornò solo con Perri Pietro e il figlio di lui… no… venne prima mia madre col Perri Pietro e mio fratello il piccolo e subito dopo accorse mio fratello il grande… nel frattempo io mi vestii e sono venuta a costituirmi…
– Va bene – dice il Maresciallo alzandosi dalla sedia, abbastanza perplesso per le troppe, evidenti incongruenze nel racconto di Adelina – portatela in camera di sicurezza e preparatevi ché andiamo a dare un’occhiata.
In questi stessi momenti qualcuno è andato ad avvisare i Carabinieri di Rota Greca che si precipitano sul posto, anche se il territorio non è di loro competenza e quando il Maresciallo De Vittorio arriva, li trovano lì. Entrano: Alla sinistra della porta d’ingresso è dislocato il letto costituito da pagliericcio ricoperto da una coperta bianca ma sudicia e circondato dal solito panno che i contadini chiamano “tornalietto”; alla destra della porta d’ingresso trovasi un grande focolare con due treppiedi in ferro, una grossa padella che contiene dell’olio e pochi utensili da cucina. Su di esso è posato uno scopino in cannuccie che è stato adoperato per pulire il focolare dalla cenere, la quale infatti si trova ammucchiata in un angolo, lasciando il focolare stesso in perfetto ordine. Poggiata alla parete di fronte, tra la finestra e la porta che immette nella seconda stanza trovasi una cassapanca con un grosso piatto in terraglia ripieno di vermicelli conditi, intaccato soltanto da una parte, evidentemente rosicchiato da bestie. Sulla cassapanca trovasi pure un pane intero e pochi pezzetti, una falce, un canestro con sopra altra falce e sopra ancora un crivello. Non vi si trovano posate che invece sono ritrovate in bell’ordine dentro un cestino deposto su di un tavolino. Sul tavolino trovansi altre stoviglie ed utensili, tutti in ordine. Fra il tavolino ed il focolare trovasi un orciuolo, una casseruola grande e dentro ad essa altra più piccola, uno scolapasta ed un mestolo e altri utensili giacenti alla rinfusa. Impossibile che nella stanza ci sia stata una violenta colluttazione, tutto troppo in ordine. Il cadavere? Il cadavere si trova ad un passo soltanto dalla soglia della porta d’entrata ad un solo battente ad apertura interna. Vicino al cadavere vi era una giacca da lavoro ed un cappello a cencio, una scure intrisa di sangue ed un coltello a manico fisso lungo oltre 20 centimetri con punta acuminata. Francesco è riverso sul pavimento con i piedi a sinistra di chi entra, la testa a destra e siccome il pavimento pende leggermente verso il lato della testa, tra il corpo esangue e il focolare c’è un lago di sangue. Lo spettacolo è raccapricciante. Gli occhi sono sbarrati; sul lato sinistro del collo si apre una enorme ferita da taglio che ha reciso la carotide; una ferita da taglio sulla regione ipocondriaca destra lunga 15 centimetri con direzione dall’altro in basso; una ferita da taglio sulla regione epigastrica lunga 15 centimetri; una ferita da taglio nell’interno della coscia destra della stessa lunghezza delle altre; una ferita da taglio nella regione anteriore della stessa coscia lunga 5 centimetri; una ferita da taglio sul ginocchio destro al di sopra della rotula; una ferita da taglio nella regione interna della gamba destra in vicinanza dell’articolazione; una ferita da taglio nella regione dell’avambraccio sinistro; una ferita da taglio sull’antibraccio destro al di sotto del gomito; una ferita da taglio sul braccio destro sopra il gomito; una ferita da taglio al terzo medio del braccio destro; una ferita da taglio al di sotto della scapola sinistra lunga cm 8; una ferita da taglio nella regione scapolare sinistra lunga cm 10; una ferita da taglio nella regione stessa, verso destra, lunga cm 8; una ferita da taglio nella regione scapolare destra lunga cm 10 che rompe le scapole; una ferita da taglio orizzontale nella regione occipitale lunga cm 10 che frattura l’osso occipitale; una ferita da taglio in direzione verticale sull’osso occipitale a sinistra lunga cm 6 che lede l’osso; una ferita da taglio identica alla precedente, 6 cm., a destra di essa; una ferita da taglio nella regione parieto-occipitale di destra lunga cm 8. In tutto 19 colpi. Ma un esame più approfondito mette tutto in discussione: le ferite non sembrerebbero essere state tutte prodotte da colpi di scure ma alcune sembrano opera di coltellate. Per la consumazione del delitto concorsero più persone!
E chi c’era in casa durante la consumazione del delitto? Certamente la madre di Adelina, la cinquantanovenne Carmela Raddi.
– Ero intenta ad amminestrare la pasta per portarla ai miei figli che stavano a lavorare nell’aia. È venuto mio genero Amantea Francesco il quale si mise a litigare con mia figlia Adelina che stava in casa con me e la insultava con parolacce. In mano all’Amantea non ho visto alcun’arma. Feci alcune lagnanze con costui e continuai ad amminestrare. In men che non si dica i due si accapigliarono, mi misi in mezzo per dividere ma costoro mi hanno fatto cadere per terra e quando mi alzai vidi mio genero disteso al suolo che non dava più segni di vita. Appena vidi ciò uscii subito fuori per chiamare a Perri Francesco, inteso Belfiore. Costui è venuto subito ed entrò in casa mia mentre io continuai a rimanere fuori. Non rivolsi parola alcuna a Belfiore. Mentre ero fuori mi misi a gridare ed i miei figli Daniele e Virgilio, che stavano sull’aia, corsero a vedere di che si trattasse. Resisi conto dell’accaduto ritornarono sull’aia a lavorare. Dopo poco anche io mi recai sull’aia. Mia figlia si allontanò…
Non ci siamo proprio. Madre e figlia più parlano e più si mettono nei guai: le due dichiarazioni sono contrastanti e poco credibili. Inoltre, se davvero ci fu una colluttazione, come è possibile che tutto nella stanza del delitto sia in perfetto ordine e Adelina non abbia riportato nemmeno un graffio? La verità, per i Carabinieri, è un’altra: le due donne videro avvicinarsi verso detta abitazione lo Amantea e prepararono ogni cosa per sopprimerlo, non essendo possibile che costoro avessero a portata di mano la scure ed il coltello per poter fulmineamente colpire lo Amantea e cioè senza dar tempo a farlo entrare nell’abitazione. Si, Francesco Amantea fu colpito appena giunto sulla soglia della porta e non ebbe il tempo di reagire perché inerme ed è chiaro che Adelina vuole coprire sua madre addossandosi tutta la responsabilità dell’omicidio che appare ancora come un fatto troppo sproporzionato. Così Adelina racconta la sua storia:
– Fra mio marito e me non intercedevano buoni rapporti, anzi a causa di precedenti e gravi questioni causate dalla di lui gelosia e perché pretendeva che io lo tradissi, circa tre mesi fa ci eravamo divisi, rimanendo egli nella casa coniugale ed io a Cosenza dove mi sono impiegata nella qualità di lavandaia alla lavanderia dell’Ospedale Civico per un mese e gli altri due mesi, quale cameriera, in casa dell’avvocato Mario Mari. In questa epoca mio marito, a quanto mi hanno riferito i miei familiari, mi andava ricercando col proposito di uccidermi, proposito che manifestava apertamente a tutti. In una di queste gite a Cosenza anzi fu arrestato perché fu sorpreso a comprare un’arma dando al rivenditore generalità false. Dopo questi tre mesi io ritornai in Santa Maria le Grotte in casa di mia madre e nel frattempo iniziavo le pratiche per la separazione legale. Durante tale permanenza nella casa di mia madre, mio marito venne a trovarmi solo due volte e cioè il giorno in cui commisi il delitto e il lunedì precedente a tale fatto. Mio marito era un tipo violento e manesco e pretendeva che io lo tradissi ogni momento con il primo venuto.
Le indagini del Maresciallo De Vittorio portano invece ad altre conclusioni: suo marito aveva ragione di lamentarsi perché in paese Adelina è ritenuta una donna leggiera e facile a concedere dei favori illeciti! E anche il movente potrebbe avere una configurazione: quando la donna se ne andò a Cosenza lasciò i suoi tre bambini a sua madre che non poteva e non intendeva provvedere più oltre al loro sostentamento e siccome pare che Adelina avesse trovato lavoro come cameriera a Novara, aveva chiesto a Francesco di tenersi i figli, ma lui non ne volle sapere, quindi giocoforza i tre bambini sarebbero rimasti a totale carico della Raddi Carmela, la quale li avrebbe tenuti a malincuore, anche perché risulta che faceva delle lagnanze in pubblico ed una volta anche con noi maresciallo De Vittorio. Tali fatti spinsero costoro a premeditare ed a consumare il delitto, approfittando del momento propizio e cioè quando lo Amantea si era portato nella loro abitazione allo scopo evidente di unirsi nuovamente con la moglie. Ciò è dimostrato dal fatto che lo Amantea si portò ivi inerme e quindi è da escludere l’intenzione delittuosa da parte di costui, come vorrebbe far credere la Ruà.
Perché De Vittorio è convinto di questo? Intanto Francesco Perri, Belfiore, accorso per primo nella casa di Carmela Raddi, dichiara di aver visto la Raddi e la Ruà nella detta casa che insieme contemplavano il cadavere e la Raddi, appena lo vide, additando il cadavere gli disse: “Sei buono per testimone perché questo è venuto in casa mia”. Pietro Perri, il padre di Francesco, rincara la dose: giunto sulla soglia di detta casa notò che la Ruà puliva con uno straccio la scure e la lama del coltello, intrisi di sangue, armi che sa appartenere alla Raddi. La Ruà, fatto ciò, buttò le armi per terra e si allontanò. Quindi è assolutamente falso che il coltello era nelle mani di Amantea perché se così fosse stato non avrebbe dovuto essere intriso di sangue; se è stato pulito, lo si è fatto proprio per simulare che l’arma era nelle mani della vittima. Poi c’è un altro fatto molto grave: Pietro Perri rivela che Saverio Conforti, cognato di Adelina e genero della Raddi, ha tentato subornalo acchè occultasse la sua vera deposizione e facesse risultare che il coltello si apparteneva al morto. Non solo, Perri rivela anche di essere stato avvicinato da Virgilio Ruà, diciassettenne fratello di Adelina, che con tono minaccioso gli disse: “Tu devi dire soltanto che hai sentito il rumore e non altro”.
Ma le indagini proseguono e De Vittorio, cercando di appurare se Saverio Conforti abbia effettivamente cercato di corrompere Pietro Perri, scopre ben altro: l’uomo malvedeva la presenza di Adelina e dei suoi tre figli nella casa della suocera, la quale giornalmente doveva provvedere al loro sostentamento e perciò varie volte, con minacce, tentò di obbligare l’Amantea di andare a ritirare moglie e figli, ma a ciò non vi riuscì perché l’Amantea ha sempre temuto una aggressione, mentre aveva dimostrato di essere disposto ad accettare la moglie ed i figli qualora se ne fossero ritornati nella sua abitazione di loro spontanea volontà. Poi il Maresciallo trova una lettera spedita da Guidino Ruà, fratello di Adelina, da Agrigento dove è soldato:
Agrigento 29/4/1928
Mia carissima matre con molto piacere io ricevo e rispondo alla Vostra Amata e disidirata lettera, dove la quale mi nota che Voi godite buona salute tutte di famiglia e così ti pozzo a sicurare dime. Carissima matre io o capito tutto quello che mi volete dire poi como mi dite per la mia sorella non fa niente quanto venco ci penzo io facìa beni che lo vulìa acidere, avìa fatto bene ma non fa niente poi como volete sapere che era che maveva manato a dire che è a cosenza me binuta una lettera senza firma. Duque cara matre ti faro sapere che sono passato caporale e quanto scrivete il mio indirizo dovete di fare il Caporale Ruà Guidino. Duque non mi resta piu che dire e passiamo ai cordiale salute. Poi ti faro sapere che sono 70 giorni che viagio sol treno e no tenco nemeno tembo a magiare e ogie devo partire torna.
Vi salute e scrive subbite sono uscito dalla spacco e sono Caporale.
Nuovi orizzonti si aprono per le indagini e così De Vittorio può aggiustare il tiro sul movente e sulle modalità di esecuzione del barbaro delitto: nella famiglia Ruà i rancori contro l’Amantea andarono man mano aumentando e da tempo avevano concertato e preparato il piano per toglierselo di mezzo e dato che in pubblico erano notori i fatti, pensarono di farlo andare nella casa della Raddi per ivi sopprimerlo di comune accordo, facendo poscia cadere la responsabilità sopra della sola moglie la quale, secondo loro, avrebbe agito per legittima difesa dell’onore ed in ultimo anche per difesa personale.
Il Conforti non è estraneo al delitto perché, d’intesa con la Ruà e con quelli della di lei famiglia con minacce, anche in presenza di testimoni, obbligò il cognato Amantea anche la sera precedente al delitto a portarsi in casa della Raddi per ritirare la moglie e i figli. L’Amantea, uomo d’indole buona, pur avendo il presentimento di una aggressione ai suoi danni, tanto che ne fece cenno a Sapienza Federica, nel giorno indicato dal cognato Conforti si recò inerme nel luogo convenuto. Ivi lo attendeva la moglie, la suocera ed il cognato Ruà Virgilio. Si, anche il diciassettenne Virgilio, dopo una lunga serie di testimonianze, entra nell’indagine con un ruolo da protagonista: Quest’ultimo era intento a riparare con un fil di ferro una scarpa vecchia a lui occorrente per calzarla sul lavoro. Appena vide comparire l’Amantea sulla soglia della porta si scagliò contro, lo tempestò di calci e pugni e lo buttò a terra facendolo cadere riverso sul pavimento nell’interno della stanza; il malcapitato non ebbe tempo di reagire perché la Raddi imbrandì una scure che aveva a portata di mano e gli assestò con questa un colpo ed immediatamente dopo la Ruà Adelina s’impadronì della scure che aveva la madre e finì l’Amantea con diversi colpi di essa scure. Compiuto il misfatto il Ruà Virgilio calpestò il morto con calci e di corsa si portò sull’aia ove era il fratello Daniele e la sorella Laura, invitando quest’ultima ad andare a ritirare i tre nipotini che stavano piangendo e gridando perché avevano assistito all’eccidio del padre. De Vittorio deve avere una mente fervida per immaginare questa scena del delitto, dal momento che nessuno degli indagati apre bocca e non c’era nessun altro presente. Che cosa gli è saltato in mente? Semplice, lo ha appena detto il Maresciallo stesso: in quel momento erano presenti anche i tre figli di Adelina e il più grande, appena 8 anni, riesce a raccontare a De Vittorio l’orrore a cui ha assistito. Ma non è stato facile fargli aprire bocca: il bambino ch’è dotato di svogliata intelligenza, sulle prime si era fermato sulle seguenti deposizioni: “È stata solo mia madre, mia nonna e zio Virgilio non c’erano”. Con ciò dire tremava di spavento e tutto impacciato volgeva lo sguardo verso la strada dove vi erano ad attendere gli zii Ruà Virgilio e Conforti Saverio. In seguito alle nostre interrogazioni il bambino ci ha confessato che gli era stato imposto dallo zio Virgilio di dire che l’autrice del delitto in persona del padre era stata la sola madre.
Ma è evidente che anche questa ricostruzione fa acqua da tutte le parti: il bambino parla di un’aggressione con calci e pugni e ciò avrebbe dovuto lasciare dei segni nella stanza perfettamente ordinata; in più nel racconto del bambino non c’è traccia del coltello, che pure è stato usato. D’altro canto la perquisizione che viene subito eseguita porta alla luce la scarpa riparata con il fil di ferro proprio dove il bambino ha detto che era stata nascosta. Ma De Vittorio trova anche qualcosa che non avrebbe dovuto essere in casa di Carmela Raddi: un certificato medico di Francesco Amantea e due tessere dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra appartenenti alla vittima e ciò proverebbe che dopo averlo ucciso lo hanno perquisito e derubato. Come andrà a finire questa orrenda storia? Reggerà l’impianto accusatorio messo su dal Maresciallo De Vittorio e fatto proprio dal Pretore di Montalto Uffugo?
La difesa degli imputati, sostenuta da Pietro Mancini, Samuele Tocci e Francesco Posteraro darà battaglia, come agguerrite saranno la pubblica accusa e la parte civile, rappresentata da Tommaso Corigliano.
Intanto alcuni dei 107 testimoni escussi giurano di sapere che Adelina se la faceva, tra gli altri, anche con il parroco di Santa Maria, don Agostino, che ella riceveva in casa sua di notte e di giorno in assenza del marito. Ma il paese è spaccato. C’è chi giura che Francesco Amantea era un uomo mite, vittima di sua moglie che faceva di lui ciò che voleva e chi, al contrario, giura che lui era violento e picchiava spesso la moglie, anzi molti lo avrebbero sentito dire che prima o poi l’avrebbe ammazzata.
Ma l’impianto accusatorio regge al vaglio della Sezione d’Accusa e Adelina Ruà viene rinviata a giudizio con l’accusa di omicidio premeditato, suo fratello Virgilio e sua madre Carmela Raddi sono rinviati a giudizio per correità e il loro cognato Saverio Conforti è rinviato a giudizio con l’accusa di complicità per avere facilitato l’esecuzione prestando aiuto prima del fatto. È il 4 marzo 1929 e sono passati quasi 8 mesi dal fatto.
Il 20 dicembre 1930 la Corte d’Assise di Cosenza crede ad Adelina: è lei che ha ucciso Francesco Amantea e la condanna a 18 anni e 4 mesi di reclusione, con la concessione delle attenuanti generiche. Carmela Raddi a 3 anni e 20 giorni di reclusione e Virgilio Ruà a 1 anno, 6 mesi e 10 giorni di reclusione perché ritenuti colpevoli di complicità non necessaria, con la concessione delle attenuanti generiche e quella della provocazione grave. Saverio Conforti invece viene assolto.[1]
A pagare sono soprattutto i tre bambini che hanno perso in un colpo solo entrambi i genitori.
[1] ASCS, Processi Penali.
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