IL DISASTRO DEL TRENO 4964

Le tre carrozze del treno N. 4964 da Cosenza a Napoli, la sera del 26 marzo 1918 sono affollatissime e i passeggeri ingombrano i corridoi e, addirittura, il carro portabagagli. Moltissimi i militari che prestano servizio nella caserma di Cosenza e tornano alle loro case in licenza o, al contrario, che partono per i corpi di assegnazione in zona di guerra.
Il viaggio prosegue tranquillo sulla ripida salita e la velocità ridottissima, a causa della cremagliera che aiuta la locomotiva ad inerpicarsi, favorisce la conversazione tra i passeggeri.
All’improvviso, subito dopo la partenza dalla stazione di Falconara Albanese, il treno si ferma su una passerella e una voce concitata giunge dai binari:
– Cavaliere! E’ guasto il freno dell’ultima carrozza!
– Cambiate il tubo! – fa, di rimando, un’altra voce.
Tutto il personale scende dal treno e, accertato che si è sfilato il tubo del freno ad aria, marca Westinghouse, tra la penultima e l’ultima vettura, come già altre volte in precedenza, lo rimettono a posto ed eseguono le prove di funzionalità che sembrano dare un esito soddisfacente.
– Anche questa volta è andata bene! – dice il capotreno al macchinista dandogli una pacca sulle spalle.
– Già… ma se non si decidono a cambiare i pezzi, una volta o l’altra succede una tragedia! – gli risponde preoccupato mentre si passa la manica sporca del giubbotto sulla fronte, lasciando una lunga traccia di unto.
Molti passeggeri intanto, presi dal panico, sono scesi dalle vetture e chiedono al capotreno di non far ripartire il treno perché la discesa è troppo pericolosa e non si fidano del rattoppo fatto, ma i ferrovieri rassicurano tutti dicendo che il guasto è stato riparato per bene e non c’è più alcun pericolo.
Sbuffando, il treno si rimette in moto lungo la discesa ripida, molto ripida con le sue punte massime del 107,50 per mille e con curve dal raggio esageratamente stretto, ma subito qualcosa va storto.
Raffaele Cavaliere, il macchinista, avverte il forte sobbalzo della locomotiva e capisce subito che questa è uscita dalle rotaie. Senza perdersi d’animo, anche se sa che ogni sforzo sarà inutile vista l’estrema pendenza della linea, mette in opera tutti i freni di cui il treno dispone, ma, come già aveva previsto, senza alcun effetto pratico poiché, in conseguenza dello sviamento, le due ruote dentate non hanno più presa sulla cremagliera.
Il convoglio inizia una folle corsa tra le urla disperate dei passeggeri sballottati nelle carrozze; molti cadono ferendosi e, a un certo punto, il macchinista si accorge che le vetture si sono staccate dal vagone-bagagliaio e si stanno schiantando lungo le pareti di una galleria. La locomotiva invece, alleggerita del peso dei vagoni e rallentata dalla ghiaia sulla quale prosegue la marcia, si ferma a pochi metri dalla stazione di S. Lucido Superiore.
Il personale del treno presente sulla locomotiva risale correndo la linea ferrata e accorre sul luogo dove il resto del treno si è schiantato. Lo spettacolo che si presenta ai loro occhi, aiutati a penetrare il buio dalle lingue del fuoco sprigionatosi nelle carrozze per l’attrito lungo le pareti della galleria e dal surriscaldamento dei pochi freni rimasti in funzione, è già catastrofico, ma è ciò che i loro occhi vedranno dopo alcune ore, non appena spunta il sole, che fa assumere alla tragedia proporzioni degne dell’apocalissi.
Pezzi di corpi smembrati, morti e feriti dappertutto e delle carrozze non rimane quasi niente. I superstiti, quelli rimasti più o meno interi, cercano di aiutare alla meglio i feriti mentre, finalmente, alcuni carrelli di soccorso arrivano sia da Cosenza che da Paola.
Durante le indagini, la gentildonna napoletana Mariannina Taccone, vedova Del Trono, sopravvissuta miracolosamente al disastro, così racconta quei momenti:
In un certo momento il treno si rimise in moto, non ricordo in che velocità, ma dopo qualche secondo la velocità divenne fantastica, vertiginosa, al che pensammo ch’era venuta l’ora della nostra morte. Si intesero rumori, alte grida, il fracassare di una vettura e in fine la carrozza ove io mi trovavo ebbe un urto tremendo, sembrò che indietreggiasse un pochino, si fermò e nella fermata io caddi in ginocchio sul pavimento della vettura e mi intesi cadere qualche cosa sulla testa. Mi raccolsero mio figlio e mio cognato e come meglio potei scesi e, appena scesa, si presentò ai miei occhi uno spettacolo tremendo: erano cadaveri frantumati, persone mutilate, individui che gridavano pieni di orrore e di spavento, vetture ridotte a rottami e un’altra avariata fuori dai binari”.
Il bilancio definitivo è di 17 morti, quasi tutti militari, e 104 feriti.
Per ricordare le vittime:
Cusani Vincenzo, nato il 30 agosto 1887 a Corato, soldato;
Adamo Carmelo, nato ad Altilia (CS), 19 anni, soldato;
Ferraro Gennaro, nato ad Acri nel 1895, Caporal Maggiore;
Santoro Filippo, parroco di Arzana (CZ) di 33 anni, soldato di sanità;
Mottola Francesco, nato a Cosenza il 28 aprile 1891, soldato;
Chiarello Francesco, nato ad Aiello Calabro (CS) nel 1900, recluta;
Costabile Luigi, nato a Cosenza nel 1891, orefice;
Gargano Sante, nato a Bagheria (PA), soldato;
Manzi Giuseppe Francesco, nato a Tortora (CS) il 2 aprile 1876;
Giandinato Giuseppe, nato a Grammichele (?)di 42 anni, soldato;
Palumbo Francesco, nato a Malito (CS) 44 anni, insegnante;
Biancarosa Francesco, nato a Sangineto (CS) di 14 anni;
Marasco Agostino, nato a Cetraro (CS) il 15 agosto 1900, recluta;
Noce Oreste, nato a Spezzano Sila il 3 luglio 1900, recluta;
Storino Raffaele, nato a Cetraro;
Ingoglia Benedetto, nato a Partanna (CT) di 34 anni, Caporale;
Ignoto dell’apparente età di 55 anni.[1]

 

[1] ASCS, Processi Penali.

Lascia il primo commento

Lascia un commento