CRONACHE DI POVERI AMANTI

Cosenza li 10/7/1902

Mia carissima Adelina,

scrivo la presente onde rimembrare la storia nefasta del nostro amore, quell’amore che ci ha costato continue peregrinazioni, che ci ha costato quelle sofferenze che rimarranno nel nostro cuore come lo schianto di un acuto dolore, dolore che porterò meco attraverso gli anni della mia infelice esistenza, dopo aver pure sofferto la prigione, il carcere. E mi ricordo, Adelina, oh con quanta reminiscenza, quella notte che ti condussi meco attraverso i campi, nella notte che noi, fusi in un amplesso di vero amore, fummo in preda a tremenda ambascia quando i rintocchi funebri d’una campana spandevano le note giacenti ed acute nell’immensità della campagna e si ripercuotevano nel nostro cuore quei colpi, come lama di acciaio attraverso le carni, fui io a presagire l’imminente sventura che ci aspettava e così avvenne, tutto si rovesciò dinanzi a noi. La felicità s’infranse e non ci rimase che la realtà della dura esistenza e chissà forse quale sciagurato e triste destino si riserba.

Adelina mia, venni ieri notte costà, giunto a Cosenza la sera ed io che nel mio paese natio non potetti soggiacere al dolore di averti perduta, corsi qui in preda ad una smania, ad un desio arcano di rivederti, corsi da te e nelle 4 ore che impiegai a venir colà, tutto mi parlava di te, il luccichio delle stelle, l’azzurro incantato del cielo ed il fremito della foresta mi facevano sognare le dolci rimembranze del passato ed allora mi sentivo cullato in un mare d’entusiasmo. Fu in quell’oscurità che mi sovvenirono alla mente i giorni passati al tuo fianco. Mi si presentò dinanzi la storia di quel giorno che, inginocchiata nella casa di Zia Isabella, alla presenza di un Crocefisso, giurasti fedeltà per me. Tu fosti, Adelina, che chiamasti a testimone della verità Iddio, quel Dio che rende sacra e forma la volontà degli esseri umani. Tutto ricordavo di quelle ore, giunsi e pure non potei parlarti, non ti viddi neanche ed allora accasciato e stanco del disinganno della vita, mi ritrovai qui a piangere ed a maledire l’amore che rende schiava la gioventù e la uccide moralmente. Mi ricordai tutti quei dì che passai unito a te e preso da quello spasimo che non posso acquietare mi distruggo dal dolore e vedo che la mia salute va ognor più deperendo e son certo che privo di te, che senza la tua dolce compagnia, soccomberò a me stesso ed innanzi tempo la tomba dovrà ingoiare la mia giovane esistenza, esistenza che si riabiliterà quando l’aura della mia vita è felice, quando il mio sogno può realizzare i più bei orizzonti.

Ti rammenti, Adelina, di quel giorno che a S. Fili ti venne lo svenimento ed io che t’amavo e t’amo tanto presi una carrozzella e ti portai a Quattromiglia e lì cercai rimetterti; passai l’altra volta di là quando andai a Paola e quella cantiniera mi domandò di te, allora fu che un pianto dirotto si scatenò dai miei occhi e mi pareva che tu fossi sogno. Oh Dio quanto soffersi in quel ricordo, avrei voluto morire anzicchè rammentarlo, ma che si fa, pure ho dovuto ingoiare a quest’altro dolore.

Mi farai sapere della tua salute, dimmi della tua gravidanza, se continui, quando partorirai, se i tuoi ti trattano bene, cosa te ne fai, insomma informami di tutto che mi preme e rispondimi con sollecitudine. Non aggiungo altro, non ho cuore più a scriverti, mi manca la forza.

Ricevi un bacio dal tuo

Sventurato ed affezionatissimo

Peppino

Peppino è Giuseppe Cittadino, ventisette anni da Paola, qualche piccolo precedente penale alle spalle. Nel 1899 rimane vedovo con tre figli a carico, ma quasi subito si risposa, anche se della sua nuova compagna non è particolarmente attratto, ha solo bisogno di una donna che si prenda cura di lui, perché dei figli se ne occupa, per fortuna, la nonna materna fin da quando sono rimasti orfani. Poi verso la fine del 1901 conosce Adelina e se ne innamora perdutamente.

Adelina è Adelina Traulo, ventitre anni da Cosenza. La sua era una famiglia importante e con un notevole patrimonio, poi ridotto all’osso da alcune traversie familiari e da investimenti sbagliati. I Traulo conservano per un po’ l’alterigia di un tempo, poi sono costretti ad ammettere che le cose sono cambiate e, addirittura, il primogenito Pasquale è costretto a trovarsi un lavoro come domestico in una famiglia che un tempo, per rango e patrimonio, era più di una spanna inferiore. Ma Pasquale non ce la fa a sottomettersi e cade in depressione, neurastenia gli dicono i medici, e rinuncia all’impiego. Così la famiglia Traulo non può più permettersi la bella casa in città ed è costretta a ritirarsi a Carolei dove è rimasta la loro ultima proprietà terriera e si dedicano a mandarla avanti come meglio possono, facendo quasi i contadini.

Prima che la situazione dei Traulo precipiti, Peppino fa di tutto per conquistare Adelina e ci riesce. E riesce anche a conoscere la madre della ragazza, la quale non sopporta la relazione e comincia a ostacolarla in tutti i modi, senza tuttavia farne parola né a suo marito, né, Dio ce ne scansi, al figlio Pasquale, che sarebbe capace di qualsiasi cosa pur di non vedere insozzato il nome del casato da un pezzente qualsiasi.

– Tu a quello lo devi ignorare, è un delinquente, un poveraccio ed è pure sposato,  mentre noi siamo una famiglia nobile e tu devi fare un buon matrimonio, lo devi fare per te e per noi. Hai capito? E guardami quando ti parlo!

– Lui è nobile di animo, sapessi le cose che sa scrivere… e poi mi ha promesso che lascerà sua moglie…

– Ancora? E anche se lasciasse la moglie resterebbe sempre un delinquente e pure squattrinato! Tu meriti altro, figlia mia bella. Per esempio, c’è il figlio del cavaliere… quello che ha il commercio… come si chiama… insomma hai capito di chi parlo. Quello farebbe al caso tuo e se ne parlo a tua zia, quella non ci mette niente a combinare la cosa! Stai a sentire mamma tua…

Dai e dai, Adelina sembra cedere alle lusinghe ed alle pressioni sempre più forti di sua madre e i rapporti tra i due innamorati si raffreddano, almeno così Adelina fa capire, perché una notte di febbraio del 1902, come un fulmine a ciel sereno, Peppino e Adelina scappano insieme.

È una vera tragedia per i familiari della ragazza. Oltre al patrimonio stanno perdendo anche l’onore e vivono in una condizione che oscilla tra il lutto e la rabbia. Il padre di Adelina si mette subito alla ricerca dei fuggitivi, ma non riesce a scoprire dove si nascondono, perché i due fuggitivi girovagano nei paesi della costa tirrenica per alcuni mesi. Poi i soldi finiscono e per tirare avanti impegnano le poche cose che Adelina si è portata dietro. Dormono anche all’addiaccio, se capita, ma si amano e non sentono freddo avvinghiati l’uno all’altra. Però così non può durare, l’amore, gli abbracci e le stelle non bastano. A Peppino, che ormai non riesce a guadagnare un centesimo per comprare qualcosa ad Adelina ed ai figli, dei quali la sua seconda moglie non vuole più saperne, non resta che una soluzione: chiedere soccorso a una sua zia che li ospita per un po’.

Tutto questo dura quasi quattro mesi, fin quando, cioè, il padre di Adelina riesce a rintracciarli a Paola.

– Vendo la proprietà e ti do i soldi, ma lascia in pace mia figlia – lo implora

– Non posso, non voglio… io la amo più della vita mia – e da questa posizione non lo spostano nemmeno le cannonate

Allora il padre ci prova con Adelina

– Torna a casa, bella di papà tuo, torna e sarà come se non fosse successo niente e nessuno ti torcerà un capello, nemmeno Pasquale che ormai non è più lui ti farà niente, torna, per carità, torna… pensa a tua madre che morirà di crepacuore… pensa all’onore della famiglia…

Adelina, che intanto ha scoperto di aspettare un bambino, capisce di essere stanca di quel girovagare senza meta e soprattutto nessuna prospettiva perché  nessuna delle promesse di Peppino si è realizzata

– Peppino… mi dispiace… non ce la faccio più a fare questa vita… e poi il bambino… che cosa possiamo offrirgli? Ci hai pensato? Meglio se me ne torno a casa mia… io ti amo ma è meglio per tutti… perdonami e non cercarmi più – sa che troncare ogni rapporto è la condizione senza la quale tutto tornerebbe come prima.

Peppino, da parte sua, non ha nessuna intenzione di arrendersi, costi quel che costi. Ha già perso il posto di lavoro e fa anche qualche giorno di galera per aver picchiato la moglie. Un giorno che va a trovare i figli confessa alla suocera il suo amore per Adelina e, accecato dalla irrealizzabile passione per la ragazza, le confida una cosa orribile

Arrivo a sperare che mia moglie muoia così potrò presentarmi alla sua famiglia e chiederla in sposa.

Ormai non vive quasi più, se non per la speranza di poter rivedere Adelina, ma è molto risentito nei suoi confronti e glielo scrive

Amata Adelina,

Tu ti sei fatta insinuare dalla Sig.ra Donna Carmela che disse non solo molto contro ma t’aggiunse che noi di Paola fossimo di lingua male, con essa andava anche accoppiata la critica di Pasquale il locandiere e tu ài inteso tutte queste ciarle e ti sei pentita di seguirmi come eravamo rimasti.

Non hai saputo del fatto successo a Don Salvatore Quintieri, quindi la moglie nobile per una voce del cuore non si curò abbandonare il marito e tu non ài saputo sacrificarti all’amore, poi è bugia che io ti avessi lasciato dopo presa, mentre non sai le lagrime che ho fatto per te.

Ti bacio

Peppino

E qual è l’unico modo per cercare di vedere la sua amata e cercare di parlarle per convincerla a tornare insieme? Trasferirsi a Cosenza. Ma arrivato in città, fa giusto in tempo a vedere, sotto la vecchia casa dei Traulo a Via Rivocati, tutta la famiglia che a bordo di una carrozza sta partendo per Carolei e dedicarsi all’agricoltura. È fuori di sé, non se lo aspettava proprio di vederla sfuggirgli da sotto il naso

Cornuto! Lasciala stare! – comincia a urlare contro Pasquale che sta incitando il cocchiere a partire al galoppo – lasciala scendere che ti rompo il culo e le corna! – ma la carrozza parte e Peppino, inseguendola disperatamente a piedi, comincia ad urlare più forte e, perso ogni barlume di ragione, si lascia andare ad oscenità che non gli appartenevano – andate, andate, ormai mi ci sono divertito in tutti i modi, davanti e di dietro e sapessi come piaceva a tua sorella! – poi, credibile o meno, lancia una terribile minaccia – andate che tanto me la vengo a riprendere a Carolei con i miei amici della malavita e le faccio fare la puttana! Cornuto! Attento che io sono della malavita!

Si pente subito di tutte quella brutte cose che ha detto e scrive ad Adelina decine di lettere di scuse perché non pensava assolutamente ciò che gli è uscito dalla bocca ma quelle terribili parole le ha dette per rabbia, ma forse è tardi.

Ormai è fuori di testa. Comincia ad andare ogni giorno a Carolei per spiare la casa di Adelina, ma non riesce a vederla. Elemosina qualche notizia dai paesani e scopre che il frutto del loro amore, una bambina, è morta dopo poche ore dalla nascita.

Oltre alla morte della bambina, Peppino deve affrontare un’altra morte, ma quest’ultima non gli provoca dolore perché l’ha sperata e desiderata coma la sua unica via di salvezza: il 25 marzo 1903 la ventiquattrenne seconda moglie muore improvvisamente.

È la svolta, pensa Peppino che si frega le mani per l’inattesa libertà. Non perde tempo. Prende carta e penna e scrive a Pasquale Traulo con l’intenzione di fissare un appuntamento e discutere della sua proposta di matrimonio:

Gentilissimo Don Pasquale

Sono sei giorni ormai che cessò di vivere in Paola mia moglie ed avrei certamente emigrato in cerca di fortuna migliore, ma un dovere però mi chiamò a Cosenza, dovere che compiuto mi sentirò felice di averlo adempiuto. Ebbene vengo a voi innanzi tutto per chiedervi scusa per le parole rivoltevi quando avete da me allontanato l’essere che più ho amato e amo sulla terra, non furono per malignità di cuore né per malvagità di animo, ma dettate da un cieco furore, dal disinganno di vedermi privo dell’essere che tanto adoravo.

Sono qui per dirvi che voglio riparare all’onore della vostra sorella, voglio renderla mia moglie coi vincoli di Dio e della società poiché già sapete che dalla nostra unione ne abbiamo avuto una figlia che per sfortuna e sventura morì.

Dunque pensate a ciò che vi dico, ponderate sulla mia lettera e siete al momento di salvare dal disonore voi, vostra sorella e l’intera famiglia.

Attendo e subito mi riscontro

Vi ossequio

Vostro servo

Cittadino Giuseppe

Pasquale la lettera non la leggerà mai perché Adelina, temendo serie conseguenze, riesce a impossessarsene direttamente dalle mani del postino. In ogni caso Pasquale non avrebbe avuto bisogno di ponderare su nulla, lui la sua scelta l’ha già fatta e non la tiene nascosta: se Peppino si fa vedere a Carolei è un uomo morto!

Peppino, che intanto è riuscito a ristabilire un dialogo con Adelina ed è stato messo in guardia sui rischi che corre, non se ne cura e continua ad andare in paese. Anzi, qualche notte dorme pure in una locanda e a niente servono le continue  raccomandazioni di Adelina di stare calmo e di avere pazienza perché forse le cose stanno davvero per mettersi bene:

Carolei 1 Aprile 1903

Caro Peppino

Avendo saputo la morte di tua moglie e vedendo che se ciò è vero sarebbe veramente un destino di essere marito e moglia come già tiò stimato finora come se fossimo già sposati, non perché non tiò potuto dare nessuna confidenza perché è stata la necessità che quelli di mia famiglia ti sapevano casato ed io avevo paura di mio fratello ma io sono stata sempre a te fedele. Ora che sei libero ti prego avere un po’ di pazienza di aspettare unaltro poco per sposarci perché mio fratello ha deciso di andare in America fra breve e allora possiamo conpinar tutto più facilmente altrimenti mio fratello e contrario. Se poi non partirà allora penseremo diversamente perché con la legge non ha che farmi nienti nessuno e massimo mio fratello.

Io per amor tuo ho rifiutato diversi matrimoni perché amo a te solo e così tu devi aspettare a me fin tando che uscirà la strada e si conpinerà tutto. Mia Madre è a noi favorevole in tutto ed essa penserà per tutto e desidera la nostra felicità ed ha pensiero anche di seguirmi e stare unita con me. Gli altri sono tutti contrari. Tu prima di andare dove mio cognato a portare le carte di morte dovevi scrivere a me, ora ti scrivo io per farti sapere tutto. La lettera che ai mandato a mio fratello l’ò conservata io non ho potuto darcela perché non sa niente o finge di non saperlo e non sapendo come la pensava l’ò conservata e leggendo quella lettera mi poteva uccidere, tu ne potei fare il dimeno di scrivere ad esso. Quando vuoi fare sapere qualche cosa scrivi a me ma a te poco ti importa della mia morte che se ti importasse non diresti diverse parole come ai detto a mio cognato che sono stato io che ò voluto scappare con te mentre se anche fosse vero tu dovresti dire almeno che ai fatto tutto per troppo amore. Basta, ti prego rispondermi subito e farmi sapere tutto come è la tua volontà, non altro ti saluto tanto tanto e sono tua affezionatissima Adelina

Dopo scritto. Caro Peppino ti prego non far leggere questa mia lettera a nessuno perché è meglio che i mii segreti i leggessero gli altri nessuno. Se parli con mio cognato mandami a dire quel che vuoi perché mio cognato è favorevole a noi e mandieniti con esso amico. Rispondimi subito.

Peppino fa salti di gioia, Adelina lo ama ancora e vuole sposarlo!

Cosenza li 3/4/1903

Mia amatissima Adelina

Ho ricevuto la tua amatissima lettera e son felice di poter leggere i tuoi scritti poiché da un pezzo anelavo tue notizie, quelle notizie che per me sono un refrigerio, una consolazione.

Mi dispiace innanzi tutto del modo come la pensa tuo padre e tuo fratello, che cioè sono contrari al matrimonio, io ho voluto prima di tutto compire il mio Santo dovere, cioè appena morta mia moglie, ricorrere a loro per salvare l’onor tuo e riparare al maleficio che aveva fatto di te un’infelice, una colpevole. I tuoi fan male ad essere contrarii, dovrebbero invece ammirare la tua condotta e mettere una pietra sul passato ed ecco perciò che gli scrissi quelle cose che tu avevi partorito una figlia, ciò non per farti uccidere, essendomi cara la tua vita, ma per avvalorare la mia proposta e riuscire nell’intento di poterti sposare.

Mia cara Adelina, mi dici nella tua che bisogna aspettare la partenza di tuo fratello per poter sposare, mentre la legge è superiore a tutti ed anche senza il loro consentimento potremmo essere marito e moglie, ma per il quieto vivere, per essere d’accordo senza suscitare quistioni, facciamo come tu dici ed io sono a tua disposizione di adempiere tutti i desideri e seguirti in ciò che pensi. Ho piacere che nostra madre ci seguirà, mi consola il pensiero di averla meco e quindi cercate senza metter tempo in mezzo di sbrigare tutto che io son sempre pronto.

Ed è un destino e proprio Iddio che ci ha designati fin dal primo istante per esser marito e moglie, Si! T’ò amato sempre coll’ideale di esser tuo, ho sognato sempre di averti a compagna nella vita ed Iddio ha esaudito il mio voto.

Quindi sta a voi scegliere, stà a voi il vedere di sbrigare le cose e subito poter celebrare il nostro matrimonio che ci renderà felici.

Non aggiungo altro

Bacio la mano alla madre a te ti abbraccio

Tuo affezionatissimo per la vita

Peppino

D.S. Rispondimi e presto

Adelina cerca di placare l’entusiasmo di Peppino. Sa che bisogna aspettare che i tempi siano maturi per evitare di compromettere tutto

Carolei 7 Aprile 1903

Carissimo Peppino

Rispondo alla tua gradita lettera che ho ricevuto con mio immenso piacere, che da più tempo non avevo avuto tue notizie.

In quando al nostro matrimonio ti fo sapere che non mancherebbe per me di sollecitare ma come tiò fatto sapere bisogna aspettare unaltro poco per vedere come vanno le cose, perché ora che sei libero si debono fare le cose tutte regolare. La partenza di mio fratello è certa perché giorno 28 marzo e partito un suo stretto amico per Novaiorcha ed a promesso a mio fratello che subito che arriva in America gli troverà il posto di avere una buona posizione e di mandargli il pizzettino e partendo esso si faranno le cose tutti buonariamente perché mio Padre restando solo, mia Madre lo farà divenire a tutto. Questo tempo che noi aspettiamo e tutto a nostro favore, in tanto verranno i danari della cauzione di mio fratello defunto che ancora non si son potuti avere come tu sai che dovevano venire dal mese di Luglio essendo compiuti 3 anni, ma si aspetta il bollettino di giorno in giorno, forse sarà stata tutta permissione di Iddio che non ha potuto venir primo questi danari perché debbono servire per il nostro matrimonio che come ben sai per spese di matrimonio ci vuole un po’ di danari, almeno per le cose più necessarie a ciò si facesse una buona figura. Caro Peppino ti prego farmi unimpasciata: vai da quella locandiera Peppina dentro S. Giovanni e digli che fra poco sarà pagata e mi piglierò gli oggetti. Ti prego farmi questa impasciata e farmi sapere la risposta perché come tu sai confidandosi il matrimonio quelabito mi necessita. Rispondimi subito, ti ripeto che non partendo mio fratello si vedrà diversamente. Ti auguro la sanda Pasqua, ti saluta tanto tanto mia Madre, io ti saluto caramente e sono tua assieme per sempre

Adelina

Peppino però ha la testa dura, non ha pazienza, lui vuole farsi accettare da tutta la famiglia e così, invece di seguire il consiglio di Adelina, scrive di nuovo a Pasquale

Cosenza li 14/4 1903

Gentilissimo Don Pasquale,

Vi scrivo la presente per comunicarvi una mia idea per pregarvi che io pur coltivando un sacro ideale ho bisogno di realizzarlo. Ed infatti fra me e vostra sorella Signorina Adelina vi furono degli amori sinceri che io ancora coltivo e sapendo che il cuor umano non si può comandare, ammogliato come ero ho sempre amato ed amo vostra sorella, in principio vi erano dei momenti di riconcentrazione e pensavo allo sbaglio che commettevo amando ammogliato, ma cosa potevo fare io se m’ero tanto invaghito ed ho pianto e sperato ed ora vengo con la presente per pregarvi e son certo che la mia preghiera non rimarrà vuota. Son quasi 30 giorni che morì mia moglie in Paola, come attesta il certificato di morte, e son rimasto fin’ora in silenzio per non disturbarvi, ma ora non ne posso più, non potrei vivere senza l’amore che ho profondo nel cuore e perciò vengo a domandarvi legalmente la mano di vostra sorella perché io possa vedere appagato un mio sogno che da un pezzo coltivo.

Egregio Don Pasquale, scrivo a voi perché il primo dovere di un giovane che deve maritarsi ad una ragazza è necessario che lo faccia noto al fratello, che da lui chiegga l’autorizzazione ed io perciò mi rivolgo a voi, acciò vogliate pensare al fatto che vi propongo, sperando che non mi vorrete negare la felicità di avere per moglie vostra sorella.

Mi scuserete e perdonerete se vi ho mancato pel passato, ma per ciò dovete pensare ch’era l’amore contrariato che mi ha fatto due volte mancare, ma oggi però niente è da rimproverarmi, son libero e perciò vengo a chiedervi l’assenso e credo non mi sia negato.

Rispondetemi e subito, attendo con ansia una risposta, sicuro che mi vorrete rendere felice.

Vi ossequio distintamente

Servo vostro

Cittadino Giuseppe

Non c’è risposta, la posizione di Pasquale è chiara e non cambia.

All’alba del 29 aprile 1903 Peppino è a Carolei. Ha dormito in una locanda e, come ha preso a fare da qualche giorno, si dirige verso la casa di Adelina per affacciarsi da una stradina che rimane sopra la casa e scambiare con lei sguardi e segni, prima che i familiari della ragazza si alzino.

I paesani ormai lo conoscono e sanno che cosa ci fa in paese. Le rare persone che lo incontrano per strada lo salutano e sorridono maliziosamente al suo passaggio.

Finalmente imbocca  Via Mezzacosta e la percorre fino all’altezza della casa di Adelina. Si nasconde dietro una siepe e sbircia verso le finestre. Lei ancora non si vede e non si vede in giro nessuno dei suoi familiari. Fa un altro passo ed esce allo scoperto per scrutare meglio il resto della casa. Non ne ha il tempo. L’esplosione del colpo di fucile non lo fa nemmeno sobbalzare. Cade a terra morto all’istante con il fegato spappolato da una palla di piombo.

I Carabinieri gli trovano addosso una fotografia di Adelina legata alla sua fotografia ed è logico che sospettino subito che a sparare sia stato Pasquale. Vanno ad arrestarlo ma in casa non c’è e nessuno sa dove sia andato.

Pasquale si fa vivo dopo una settimana con due lettere identiche indirizzate una al Procuratore del re di Cosenza, sicuramente consegnata a mano in una busta senza francobollo e l’altra al comandante della Stazione dei Carabinieri di Carolei spedita dall’Ufficio Postale di Carolei stesso il 7 maggio. Nelle lettere Pasquale ripercorre tutta la vicenda e ammette di essere stato lui a sparare e uccidere Peppino. Poi promette

(…) Motivi di salute mi costringono a rimanermi per ora in campagna essendosi rinnovata una malattia che soffrivo tre anni fa a causa della morte immatura e repentina di mio fratello, ma giuro sull’ostia consacrata nella SS custodia dell’altare di Dio che mi presenterò alla giustizia e proprio nelle mani del Regio Procuratore per essere giudicato e per ottenere quella condanna che meriterò.

Pasquale è di parola. Il 12 maggio si costituisce alla Questura di Cosenza e viene rinviato a giudizio per omicidio premeditato.

Esattamente sette mesi dopo la giuria non lo considererà meritevole di condanna, mandandolo assolto dall’imputazione a suo carico, ha ucciso per salvare l’onore della famiglia.[1]

[1] ASCS, Processi Penali.

Il titolo è un omaggio a Vasco Pratolini, uno dei miei autori preferiti. Spero che non si rivolti nella tomba.

Lascia il primo commento

Lascia un commento