PREFERIVA UN ALTRO

Fin dallo scorso marzo avevo preso ad amoreggiare con Rovito Giovannina, contadina che abita con la sua famiglia nei pressi di Cosenza. la ragazza era molto ben disposta a mio riguardo e la sua famiglia vedeva molto bene il proposto matrimonio. Mi accolsero in casa e tre o quattro volte la settimana io mi recavo da loro, mi trattenevo tutte le feste per l’intera giornata e spesso vi dormivo anche. Intanto la Rovito era anche pretesa da un tale Filice Pietro il quale naturalmente cominciò a contrastarmi, sebbene a me la famiglia della fidanzata facesse capire che del Filice non intendevano saperne. Non so se mi abbiano ingannato, ma certamente coi fatti dimostravano di preferire il mio matrimonio. La ragazza accettò i miei donativi di uso e tutto sembrava ben avviato per il matrimonio. Non so come ma di recente la Rovito si mutò completamente e mentre prima era premurosa ed affettuosa verso di me, ora si mostrava più indifferente. Non so se avesse prestato ascolto alle parole del Filice e si sia maggiormente innamorata di lui o fu per altra ragione. Verso le ore sei del 30 luglio ultimo, mi recai in campagna e trovai la Giovannina che lavorava raccogliendo lupini insieme con una sua zia. Io le rivolsi la parola ma ella non mi diede ascolto; la esortai ad andare in casa ma ella si rifiutò respingendomi e dicendo: “vattene, vattene!”. Io allora con parole tenere cercavo di vincere la sua riluttanza, ma essa con mia somma sorpresa disse: “Va a prenderti i denari che mi hai dato che te li ho messi sulla piattella”. Io replicai che quello non era modo di comportarsi, ma fu tutto invano – racconta Aronne Gargiulo, ventisettenne ebanista di Lecce.
Ero fidanzata di Gargiulo Aronne. Egli frequentava la nostra casa ed avevo anche accettato i primi doni secondo la consuetudine. Sebbene ancora non fosse stata stabilita l’epoca del matrimonio, tuttavia nessun ostacolo fin ora si frapponeva alla conchiusione e tanto io che i miei genitori eravamo propensi. Non è vero che io amoreggiassi con tal Filice Pietro. Forse costui aveva delle intenzioni al mio riguardo, ma in fatto nulla vi era di positivo; del resto, né io, né i genitori miei avevamo detto al Gargiulo di non frequentare più la nostra casa e nessun dispiacere egli ebbe da noi. Non debbo tacere che io da qualche giorno ero in broncio con lui perché egli non teneva verso di me un contegno molto corretto e rispettoso; pretendeva che io lo trattassi con una certa familiarità, non confacente alla mia condizione di fidanzata e spesso voleva prendersi qualche libertà, cosa che a me non garbava punto. Nella sera del 29 luglio, come al solito egli si recò da noi e si trattenne fino all’imbrunire e senza alcun incidente si licenziò. L’indomani, verso le ore sei, io attendevo presso la nostra casa a raccogliere lupini insieme con una mia zia, quando improvvisamente si presentò il Gargiulo. Mi invitò ad andare con lui in casa ma io mi rifiutai perché in casa non vi era alcuno dei miei; egli insistette ed io, ostinatamente, mi rifiutai di seguirlo giacché non era affatto conveniente che sola mi recassi con lui. Allora egli si impermalì, pretendeva che io l’ubbidissi. Interpretò il mio rifiuto in senso contrario di quello che in realtà avesse e mi rispose: “Tu allora mi scacci!”. Soggiunsi che non lo scacciavo ma non potevo accondiscendere alla sua richiesta. Si infuriò, ripetette per due volte queste parole: “Se non vieni te ne pentirai!”. Io insistevo nel rifiuto… – racconta la diciassettenne Giovannina.
Smarrii la ragione e non so io stesso cosa feci. Rammento che estrassi la rivoltella e sparai due colpi, uno a vuoto, il secondo al suo indirizzo, poi un terzo anche contro di lei. avevo intenzione di ferirla per le sue ripulse, anzi le dissi queste parole prima di sparare: “Non voglio ucciderti, voglio lasciarti un ricordo per farti vedere quanto vale un leccese!”. Se avessi voluto ucciderla avrei sparato anche contro di lei l’ultimo colpo
Egli a bruciapelo cominciò ad esplodermi contro dei colpi di rivoltella. Credo che ne abbia sparati cinque, non posso precisarli, tanto era lo spavento e l’orgasmo da cui fui presa. Egli era quasi a contatto di me e si trovava a destra, mentre io ero a lui di fianco. Ritengo che due colpi soltanto mi abbiano ferita… Non profferì alcuna parola, non disse che voleva lasciarmi un ricordo, ma spietatamente tirava colpi contro di me… non so spiegare io stessa come non sia stata colpita mortalmente…quando mi vide a terra si allontanò fuggendo ed io rimasi con mia zia che mi apprestò le prime cure.
Io mi avventai sul Gargiulo afferrandolo pel polso della mano che impugnava l’arma e ne deviai la direzione; non so come, cadde abbandonando la ragazza nelle mie braccia… seguì un’altra detonazione… io ebbi la forza di trascinare fino a casa mia nipote, ma quando mi ero allontanata di poco vidi il Gargiulo alzarsi ed andare via… – racconta Nunziata Covello.
La Rovito, appena ferita, disse di essere colpita al petto ed io, nell’orgasmo ed in uno stato d’incoscienza credendo di averle cagionato una ferita mortale rivolsi l’arma contro di me per suicidarmi. Per mia sciagura fallii il colpo e mi produssi soltanto una lieve lesione al collo – termina Aronne.
Sono da poco passate le 6,00 del 30 luglio 1906 e in contrada Serra Sottana di Cosenza la gente accorre quando sente sparare. Aronne è scappato ma qualcuno corre subito ad avvisare le guardie, che lo vanno a cercare a casa, in via Cafarone, e lì lo trovano. Lo portano in ospedale dove viene medicato e subito dopo lo accompagnano in carcere con l’accusa di tentato omicidio e porto abusivo di rivoltella.
Giovannina ha una ferita superficiale sulla regione carotidea di sinistra e un’altra che partendo dall’inserzione della clavicola sinistra con lo sterno, cammina parallelamente all’osso clavicolare e si arresta nell’estremità più esterna di detto osso, presso il moncone della spalla. Il chirurgo, dottor Edoardo Roberti, le pratica un’incisione ed estrae il proiettile, poi osserva: ritengo che se il cammino seguito dai proiettili non fosse stato quello descritto ma fossero penetrati direttamente nell’interno dei tessuti, certo gli effetti sarebbero stati letali.
Le prove raccolte dicono che Giovannina non faceva la civetta con Pietro Filice, che questa cosa se l’era messa in testa da solo l’ebanista leccese e che quella mattina lui davvero esagerò nel voler portare la ragazza in casa. Così il 17 novembre 1906 Gargiulo viene rinviato a giudizio per tentato omicidio volontario e ad occuparsene sarà la Corte d’Assise di Cosenza, la quale, il 23 aprile 1907, non crede alle prove portate in giudizio e, dal momento che nel questionario sottoposto alla giuria non è stata inserita la possibilità che si sia potuto trattare di lesioni personali volontarie, assolve l’imputato dall’accusa di tentato omicidio volontario. Però lo condanna a 5 mesi di detenzione per il porto abusivo di rivoltella e dal momento che la pena inflitta è stata scontata con la carcerazione preventiva, ne dispone l’immediata scarcerazione.[1]
Il presunto onore del maschio è salvo.

 


[1] ASCS, Processi Penali.

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