SANGUE AL BIVIO DI DONNICI

La giornata di domenica 17 novembre 1912 sta volgendo al tramonto e nella cantina di Giuseppe Gatto lo Zoppo, sita al bivio di Donnici Inferiore, si gioca a carte.
Nel basso retrostante, Clementina Gatto, figlia dello Zoppo, e Teresina Citrigno sono sedute davanti al braciere a chiacchierare quando da fuori sentono delle urla e dei rumori come di gente che sta litigando. Immediatamente escono a vedere cosa sta succedendo e Teresina ha l’amara sorpresa di vedere suo fratello Ippolito, Telluzzu, che sta litigando con un suo coetaneo, il diciassettenne Petruzzu Sommario. Ha il tempo di vedere l’avversario di suo fratello che col manico ricurvo del suo bastone gli ha ‘ncroccatu il collo e lo tira verso di sé. È impaurita, sa della brutta fama di cui gode Petruzzu e teme per l’incolumità del fratello, così comincia a gridare verso la sua casa che è a qualche metro da lì, mentre intervengono delle persone a dividere i ragazzi.
Padre, che ammazzano Telluzzu!
Il padre, Giuseppe Citrigno, è nella sua bottega con il figlio maggiore Francesco, Ciccillu, a fare i conti dei cereali che vende; al grido di Teresina tutti e due lasciano carta, penna e calamaio e si precipitano sulla strada in soccorso di Telluzzu. Quando arrivano sul posto sembrerebbe che tutto sia finito: Telluzzu sta tornando verso casa raccontando ai presenti l’accaduto e Petruzzu sta andando verso Donnici Superiore, strattonato dall’amico Peppino Calabrese.
– Ero nella Cavarella a pisciare quando è arrivato Petruzzu il quale senza motivo mi ha tirato una bastonata e poi mi ha preso per il collo col bastone; ci siamo accapigliati e mi ha ferito alla mano – dice mostrando il sangue che gocciola dal dito mignolo.
Suo fratello alla vista del sangue si lancia all’inseguimento del feritore e del suo amico, immediatamente seguito dal padre, raggiungendoli davanti a un cancello di legno aperto, il Cancello Massa che porta al fondo rustico di certo Bozzo, poco più di cento metri oltre la cantina. Lungo questi cento metri, Giuseppe Citrigno si imbatte in un contadino che torna dal lavoro con una scure in mano e cerca di togliergliela per armarsi ma quello, intuendo che potrebbe succedere qualcosa di brutto, resiste e lo spinge lontano.
Davanti al Cancello Massa i quattro si azzuffano e si ‘ncavunanu, cadono a terra, colpendosi vicendevolmente. A pochi passi da loro c’è un tale Raffaele Fortino che si mette in mezzo per cercare di dividerli ma, all’improvviso, nella mano destra di Peppino Calabrese luccica una lama che si conficca nel fianco destro di Fortino il quale resta con la bocca aperta per il dolore e la sorpresa. Per qualche secondo lui e Calabrese si guardano negli occhi e questo offre a Giuseppe Citrigno l’occasione per lanciarsi su Petruzzu Sommario che è riuscito a mettersi sopra Ciccillu e lo sta colpendo con pugni.
Raffaele Fortino vede distintamente Calabrese che si gira verso gli altri tre e, proditoriamente, colpisce due volte alle spalle Giuseppe Citrigno che si accascia al suolo.
Scappiamo che ho ucciso due… – dice Calabrese all’amico, che lascia Ciccillu il quale, per rialzarsi, volge le spalle agli avversari. È proprio in questo momento che Calabrese, prima di scappare, lo colpisce più volte a tradimento, poi i due compari si danno alla fuga.
Telluzzu è rimasto estraneo alla seconda zuffa, ma quando vede suo padre e suo fratello a terra mezzi morti, cava di tasca un temperino e si lancia all’inseguimento di Petruzzu Sommario che sta correndo lungo la strada, mentre Calabrese svolta per i campi e sparisce. Lo raggiunge nel posto detto la Timpa e gli si butta addosso, lo mette con le spalle a terra e comincia a colpirlo col temperino ma per fortuna arriva gente e glielo tolgono dalle mani.
Ciccillu, seriamente ferito nella parte posteriore del collo, aiuta il padre a rialzarsi e sorreggendolo lo porta verso casa. Ma a casa il genitore non arriverà vivo per la grave emorragia determinata da una coltellata che gli ha perforato il polmone destro, recidendo vari vasi sanguigni.
Da Donnici a Cosenza è un tiro di schioppo e i Carabinieri, accompagnati dal Pretore, sono sul posto nel giro di un’ora, informati a mezzo telefono da quel facente funzioni di Sindaco Piro dottor Vincenzo.
Vincenzo Piro è anche il medico condotto di Donnici e il Pretore lo incarica formalmente di visitare i feriti e di procedere all’autopsia del povero Giuseppe Citrigno.
Petruzzu Sommario ha una piccola ferita da arma da punta e taglio al lobo dell’orecchio sinistro e altre due leggere ferite sulla mammella sinistra, più qualche piccola escoriazione e tumefazione da corpo contundente. Telluzzu Citrigno ha una leggera contusione all’avambraccio sinistro, un taglio al mignolo della mano destra, profondo fino all’osso e una contusione alla regione zigomatica e sottorbitale sinistra. Ciccillu Citrigno ha una ferita da punta e taglio lunga 4 centimetri sulla regione laterale sinistra del collo, molto in alto, da interessare anche il bulbo capelluto, profonda fino all’osso dalla parte superiore e interessante il muscolo esterno clavio- mastoideo nella parte inferiore; due ferite da punta e taglio sul dorso interessanti i muscoli, ma di cui il dottor Piro non sa precisare la profondità perché non ho creduto prudente specillarle; un’altra ferita sull’avambraccio.
Raffaele Fortino riporta una ferita al fianco destro, ma le sue condizioni non destano preoccupazione se non fosse che si infetta e viene a suppurazione, così come la ferita al collo di Ciccillu Citrigno.
Telluzzu viene interrogato e racconta la sua versione dei fatti:
– Stavo pisciando quando sopraggiunse Petruzzu Sommario il quale senza motivo mi tirò dei colpi di bastone. Venimmo a colluttazione ed io rimasi ferito alla mano destra. Corsero mio padre e mio fratello inveendo contro il Sommario il quale gridò: “Aiuto compagni!”; a questo punto Calabrese Giuseppe, che si trovava nella cantina, corse ed a tradimento, fingendo di mettere la pace, tirò diversi colpi di pugnale alle spalle prima a mio padre, che cadde per terra, e poi a mio fratello. In questo frattempo non potetti accorrere in aiuto dei miei perché ero trattenuto da certo Pagliaro Francesco. Quando mi liberai mi armai di un piccolo coltello e raggiunsi il Sommario e lo ferii ripetutamente.
La versione di Petruzzu Sommario è all’opposto e fornisce anche una specie di motivazione alla prima zuffa:
Nel pomeriggio del 17 abbiamo giocato il tressette a vino nella cantina di Gatto. Ad un certo punto io uscii per andare a orinare dietro la cantina, nella Cavarella che esce al ponte dell’Albinetto. Trovai anche Telluzzu Citrigno il quale orinava pure come me e mi fece venire addosso un po’ di orina. Gli tirai una bastonata. Egli mi fu addosso e mi atterrò; fummo divisi. Il Citrigno aveva estratto il coltello per ferirmi, ma venne trattenuto dalla sorella Teresina e da altre persone e ad un certo punto la sorella diede la voce al padre che insieme col figlio Ciccillu si trovava nel negozio, gridando:”Correte perché Petruzzu Sommario sta minannu a Telluzzu!”. Fu così che a Telluzzu si unirono il padre e l’altro fratello in atteggiamento aggressivo contro di me – il padre era armato di scure – ed io per evitarli mi allontanai verso il cancello Massa per rientrare a casa. Il mio amico Calabrese era presso di me e poiché io ero alquanto preso dal vino, mi trascinava dicendo: “Andiamo via” e nell’istesso tempo, rivolto ai Citrigno, diceva: “Lasciatelo ch’è cosa mia di condurlo a casa; fatelo un po’ anche per mio riguardo perché siamo San Giovanni (compari)” per ben tre volte, ma tutti e tre ci raggiunsero nel Cancello Massa. Mi pare che Ciccillu fosse armato di una scure che si era guadagnato da certo Vocaturo. Nel Cancello Massa Francesco Citrigno mi teneva ed il fratello Ippolito mi ferì di coltello dietro l’orecchio sinistro. Riuscii a liberarmi da loro ma venni inseguito nella Timpa, sotto la croce, dove caddi per terra saltando alcune spine ed ancora una volta il Ciccillu mi teneva ed Ippolito mi ferì di coltello. Calabrese Peppino era con me ma io non mi accorsi se avesse ferito Giuseppe Citrigno, il figlio Francesco, né Fortino Raffaele, della cui presenza io non mi accorsi nemmeno. Aggiungo che alla Timpa Ciccillu mi ferì di scure
– Stavo facendo alcuni conti del negozio con mio padre quando abbiamo sentito Teresina che gridava e siamo usciti a vedere cosa stava succedendo. C’era Telluzzu che sanguinava da una mano e ci hanno detto che l’aveva ferito Petruzzu Sommario – racconta Francesco Citrigno – così siamo andati verso il Cancello Massa e Petruzzu si rivolse anche contro di noi. Poi ad un grido di lui sopraggiunse anche il suo amico Calabrese Giuseppe il quale ferì alle spalle prima mio padre e dopo me. Io distinsi bene il Sommario quando diede un pugnale al Calabrese che così poté ferire entrambi noi. Aggiungo che il Calabrese in quella circostanza ferì anche certo Fortino Raffaele che la faceva da paciere.
E siamo alla terza versione dei fatti. In attesa di rintracciare Peppino Calabrese, i testimoni citati aumentano la confusione nella ricostruzione dei fatti. C’è chi giura di aver visto i Citrigno inseguire Sommario e Calabrese a colpi di pietra e poi aggredirli, chi assicura che furono questi ultimi a cominciare il lancio di pietre verso gli inseguitori, chi dice che Calabrese stava cercando di mettere pace e cominciò a colpire chiunque gli capitasse a tiro solo dopo aver ricevuto una bastonata in testa. C’è chi giura che Giuseppe Citrigno era armato di scure e chi afferma il contrario; chi dice che anche Telluzzu Citrigno partecipò alla rissa davanti al Cancello Massa e chi dice che intervenne solo dopo aver visto i suoi familiari feriti. Chi, infine, dice di avere visto Sommario passare un’arma all’amico e chi giura che Calabrese la tirò fuori dalla sua cintura. L’incertezza è totale, tanto da suggerire al Giudice Istruttore di far svolgere indagini sulla credibilità dei testimoni e la confusione aumenta ancora di più.
In questo marasma di testimoni veri e falsi c’è una sola certezza: un morto e due feriti gravi.
Il 22 novembre, dopo cinque giorni dai fatti di sangue, Peppino Calabrese, una testa calda che gravita ai margini della malavita, si presenta spontaneamente nella caserma dei Carabinieri di Aprigliano e viene arrestato con l’accusa di omicidio qualificato.
– Ero nella cantina di Gatto a giocare a carte con gli amici quando Petruzzu Sommario uscì per pisciare – racconta Peppino – poco dopo sentimmo del chiasso ed uscimmo. Vidi che Telluzzu Citrigno era venuto alle mani con il Sommario. Feci opera da paciere dividendoli e trascinando con me il Sommario verso Donnici Inferiore, quando vennero verso di noi Giuseppe Citrigno e suo figlio Ciccillu. Non vidi se fossero armati ma è certo che io li esortavo a lasciare in pace il Sommario perché avrei pensato io a condurlo a casa. I Citrigno invece ci scagliarono contro dei mazzacani, dei grossi sassi. Noi fuggivamo ma i due, ai quali si era unito anche Telluzzo, ci raggiunsero nei pressi del Cancello Massa dove io ricevetti in testa un forte colpo di bastone. Fu allora che io per difendermi estrassi un pugnaletto e tirai dei colpi a Citrigno Giuseppe, a Ciccillu ed a Fortino Raffaele, i quali tutti mi furono addosso. Ero ubriaco e non so dire dove li colpii ma è certo che mai colpii alle spalle
– Devi essere ancora ubriaco se sostieni questo, le ferite sono tutte alle spalle! – ironizza il Pretore Antonio Macrì che lo interroga.
Se nei feriti si riscontrano delle lesioni ai fianchi, ciò avvenne perché io girai la mano trovandomi a petto a petto con l’offensore! – uno che aspira a diventare un picciotto non ammetterà mai di aver colpito un avversario alle spalle.
– Il pugnale te lo ha dato il tuo amico?
Non è vero che il pugnale mi fosse stato fornito dal Sommario perché io lo portavo addosso per caso
Le posizioni delle parti si cristallizzano e gli inquirenti non riescono ad ottenere nulla nemmeno da una decina di confronti, se non che adesso c’è qualcuno che ammette di aver visto Calabrese colpire gli avversari alle spalle. È vero, gli inquirenti hanno in mano le ammissioni di Peppino Calabrese ma ha ucciso volontariamente per brutale malvagità o si è davvero difeso, certamente eccedendo? E il movente?  Non se ne esce.
Ad un certo punto esce la voce che il movente di tutto potrebbe essere un diverbio accaduto un mesetto prima dei fatti tra Petruzzu Sommario e Giuseppe Citrigno perché il Citrigno avrebbe preteso cento lire per trasportare alcune masserizie del Sommario a Mottafollone, contrariamente al prezzo stabilito in lire settantacinque. Diversi testimoni affermano di avere sentito Petruzzu  pronunciare parole di minaccia nei confronti di Citrigno come: “Basta, me la vedo io, non devo perdere il sonno la notte, mò l’acchiappo!”. Ma anche questo sembra essere troppo poco per giustificare tutto quel sangue.
Stando così le cose, il Pubblico Ministero Trocini, l’11 giugno 1913, prova a formulare delle ipotesi accusatorie per arrivare alla dichiarazione di chiusura indagini e sperare di ottenere il rinvio a giudizio sia di Peppino Calabrese e Petruzzu Sommario per omicidio, duplice tentato omicidio e lesioni, sia dei fratelli Ciccillu e Telluzzu Citrigno per lesioni. In sostanza il Pubblico Ministero ritiene veritiera la circostanza che il pugnale usato per colpire fu davvero passato dalle mani di Petruzzu a quelle di Peppino, circostanza avvalorata da numerosi indizi e desunta da molteplici precisazioni.
Il Procuratore Generale del re concorda parzialmente con questa impostazione ritenendo che non ci siano sufficienti prove a carico di Ciccillu Citrigno e ne chiede il proscioglimento. La Sezione d’Accusa, a sua volta, non è d’accordo e dispone il rinvio a giudizio del solo Giuseppe Calabrese per il reato di omicidio volontario e duplice mancato omicidio; proscioglie Sommario dall’accusa di correità in omicidio e duplice mancato omicidio, ma lo rinvia a giudizio così come Ippolito Citrigno per lesioni personali, lasciandoli a piede libero.
Calabrese è difeso dagli avvocati Nicola Serra e Tommaso Corigliano che hanno come controparte civile gli avvocati Giuseppe De Chiara e Pietro Mancini, il quale è anche difensore di Ippolito Citrigno.
La prima udienza è fissata per il 9 marzo 1915 e l’avvocato Mancini presenta subito una richiesta di perizia tecnica sui luoghi dove si sono svolti i fatti. A svolgere l’incarico sarà l’ingegnere agronomo Pier Michele Carravetta, ma la perizia risulterà inutile perché i reati ascritti a Pietro Sommario e Ippolito Citrigno ricadono nell’amnistia promulgata il 27 maggio 1915 ed escono dal processo il 18 settembre dello stesso anno.
Resta solo Giuseppe Calabrese. Il dibattimento è una vera e propria battaglia senza esclusione di colpi, ma alla fine l’imputato viene riconosciuto colpevole di omicidio volontario in persona di Giuseppe Citrigno e di duplice mancato omicidio nelle persone di Francesco Citrigno e Raffaele Fortino, senza riconoscergli attenuanti. La pena è fissata in 20 anni di reclusione (di cui uno indultato) e pene accessorie.
Ma l’avvocato Serra, riscontrate nella sentenza alcune incongruenze e violazioni di legge, in primis, come risulta dal relativo verbale, la mancata sostituzione della scheda di voto macchiata di un giurato, al quale il Presidente consigliò di cancellare il voto e ripeterlo in altro punto della scheda macchiata, in seguito a che durante lo spoglio delle schede, certo il Presidente e forse anche altri, ebbe cognizione del voto di quel giurato, fa ricorso in Cassazione che, il 15 gennaio 1916, gli dà ragione e dispone il rifacimento del processo presso la Corte d’Assise di Catanzaro.
Il processo è lontano e tutti hanno altro a cui pensare, visto l’infuriare della guerra, le partenze per il fronte di molti testimoni e i mancati ritorni di qualcun altro. Le cose vanno per le lunghe e si mettono al meglio per Peppino Calabrese il quale, il 26 agosto 1920, a quasi otto anni dai tragici fatti, viene riconosciuto colpevole di omicidio oltre l’intenzione e di lesioni con arma. La pena è fissata in 7 anni, 2 mesi e 3 giorni di reclusione che si riducono a 5 anni, 10 mesi e 3 giorni in virtù dell’indulto emanato con provvedimento del 21 febbraio 1919.[1]
In base a questa sentenza Peppino Calabrese ha scontato quasi due anni in più del dovuto. Chi ha avuto, ha avuto e chi ha dato, ha dato, scordiamoci il passato…

Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

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[1] ASCS, Processi Penali.

 

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