L’ultima rampa per salire al secondo piano del palazzo Roberti sito in Via del Liceo è quella più dura per il Vice Commissario Ettore Gallizzi, che con i suoi 31 anni è il più anziano della Squadra Investigativa della Questura di Cosenza. Il Brigadiere Vincenzo Penna e gli Agenti Ameno Ortale e Antonio Zinghieri, molto più giovani, sono già sul pianerotto chinati su un uomo vestito solo di una camicia da notte inzuppata di sangue sul davanti. Sono quasi le 23,00 dell’11 gennaio 1920 e fa molto freddo.
– Come ti chiami? – gli chiede il Brigadiere Penna.
– Giuseppe Carnovale – gli risponde con un filo di voce.
– Sai chi ti ha sparato? – continua Penna osservando il foro sulla camicia da notte. Carnovale annuisce e risponde.
– Un soldato siciliano…
– Come si chiama?
– Poi… poi…
– Perché ti ha sparato?
– Poi… – risponde Carnovale scuotendo leggermente la testa e tirando un lungo respiro. Il suo ultimo respiro perché muore senza aggiungere altro.
I poliziotti, nella fioca luce che irradia l’unica lampadina appesa sul soffitto della tromba delle scale, imprecando sconcertati si guardano tra di loro. Gallizzi bussa ripetutamente alla porta del dottor Eduardo Roberti senza ottenere risposta, quindi osserva:
– Sicuramente era venuto qui con l’intenzione di farsi curare dal medico, ma gli è andata male, in casa non c’è nessuno. Tu resta qui a piantonare il cadavere – ordina all’Agente Zinghieri – noi andiamo alla pensione di Filomena Matragrano che ci ha mandato a chiamare.
La pensione gestita dall’ottantacinquenne Filomena Matragrano è a pochi metri, in Via Gaetano Argento 37, e lei è confortata dalla signora Amalia Camodeca, ospite della locanda per quella notte.
– Conoscevo Peppino da circa quattro anni e da un anno dormiva regolarmente qui. Aveva ventiquattro anni e faceva il venditore ambulante. Conosceva una quantità di soldati coi quali si accompagnava spesso. Verso le 22,00, io ero ancora alzata, è venuto un soldato ed è andato a parlare con Carnovale. Credo che si conoscessero perché lo ha chiamato per nome dicendogli Don Peppino… Don Peppino… poi gli ha fatto vedere una mantellina militare, hanno parlottato un poco, ho visto Peppino che ha preso la mantellina e ha dato dei soldi al militare, che è andato subito via. Dopo un po’ ho sentito qualcuno salire le scale. Sono uscita dalla mia stanza e mi si è presentato davanti un altro militare che, qualificandosi come carabiniere, si è diretto nella stanza dove dormiva Peppino con altri ospiti, si è avvicinato al suo letto e ha urlato mentre gli puntava contro una rivoltella: Alzati! Alzati e scendi a terra! In nome della legge sei in arresto! Peppino gli ha detto: Che volete da me? Se desiderate qualche cosa, io ve la do. Nello stesso tempo io pregavo il militare di lasciar vestire Peppino che si è alzato in camicia da notte e cercava di nascondersi dietro di me per paura della rivoltella che il militare gli continuava a puntare contro. Che cosa volete? Ditemi che cosa volete… continuava a ripetere Peppino mentre l’altro gli intimava: Va avanti! va avanti! Io ho cercato di tenergli il braccio armato ma sono vecchia e con una spinta mi ha allontanata e mi ha detto di farmi i fatti miei altrimenti mi avrebbe sparato. Poi si è girato di nuovo verso Peppino e gli ha sparato un colpo solo… si è accasciato sul letto e l’altro se n’è andato. Io ho gridato qualcosa ma non mi ricordo cosa e mi sono precipitata a soccorrere il ferito che si è alzato e, barcollando, ha detto che sarebbe andato dal dottor Roberti che abita qui vicino ed è uscito. Io ho pregato uno degli ospiti di avvisarvi…
– Ma questo militare lo conoscete? – le chiede Gallizzi.
– L’ho visto qui parecchie volte ma non ne conosco il nome, però sarei in grado di riconoscerlo se lo vedessi di nuovo.
È ovvio che la prima cosa da fare è andare a verificare presso il comando del 19° Reggimento Fanteria se ci sono soldati siciliani.
– Ce ne sono cinque – dichiara il Capitano Francesco Catalano, comandante del 2° Battaglione e siciliano anch’esso, il quale fa delle dichiarazioni sconcertanti –. Spesso i comandanti di Compagnia mi facevano pervenire delle lagnanza perché in caserma si sottraevano oggetti di vestiario militare. A seguito di queste lagnanze io proposi ai comandanti di compagnia che mi suggerissero il nome di qualche soldato di fiducia al quale dare l’incarico di vigilare attentamente i compagni onde scoprire gli autori delle lamentate sottrazioni. Il Sottotenente Pirrottino, comandante la compagnia mitraglieri bis, mi suggerì il nome del soldato Alongi Giovanni come quegli che poteva agevolmente, per le sue attitudini, riuscire a scoprire gli autori dei furti in parola. La sera del nove gennaio, finita la cena nella caserma di Portapiana, mandai a chiamare Alongi, che svolgeva le mansioni di furiere, e alla presenza di tutti gli ufficiali gli diedi l’incarico di indagare per scoprire i soldati che sottraevano il vestiario per rivenderlo a borghesi. In quell’occasione si fece anche il nome di Giuseppe Carnovale come ricettatore e aggiunsi che tutto avrebbe dovuto svolgersi d’accordo con i Carabinieri, così il giorno dopo andai a parlare col comandante, ma poiché era assente parlai con un Brigadiere e gli raccontai dei furti, aggiungendo che sarebbe stato il caso di fare qualche perquisizione nelle abitazioni delle persone indiziate e in modo particolare in quella di Carnovale. Il Brigadiere mi promise che ne avrebbe parlato subito al suo comandante, col quale poi avremmo preso accordi sul da farsi.
Alla luce di questa dichiarazione vengono fermati e interrogati i soldati siciliani e il Caporale Giovanni Michele Porretta, che era stato visto parecchie volte in compagnia di Peppino Carnovale, diventa il principale sospettato in quanto, fatto vedere alla Matragrano viene quasi riconosciuto per colui che aveva tirato il colpo di rivoltella. Ma c’è un particolare che rende tutto inutile: essendo Filomena Matragrano cieca di un occhio, non poteva avere conosciuto bene l’uccisore anche perché la locanda in quella sera era malamente illuminata. La Questura ferma anche un altro soldato, Francesco Domenichella, che la sera del delitto era in compagnia del Caporale Porretta. I due, sottoposti a stringenti interrogatori, negano strenuamente di essere coinvolti nell’omicidio.
Viene, ovviamente, interrogato anche il furiere Giovanni Alongi, ventiduenne calzolaio di Siculiana, che poco prima del delitto è stato visto vicino alla locanda in compagnia di altri due soldati, Pasquale Scelzo e Salvatore Valenti, coi quali è rientrato in caserma intorno alle 22,00.
Alongi sostiene di essere estraneo ai fatti, ma i Commissari Cilento e Chiriaco notano nel suo comportamento qualcosa di strano e lo torchiano per qualche ora finché, scoppiando in pianto dirotto, confessa di essere stato l’autore dell’omicidio:
– Sono stato incaricato dal mio Capitano di scoprire i borghesi che incettavano oggetti di vestiario militare e di scoprire anche i soldati dai quali li acquistavano. La sera di domenica 11 gennaio mi sono fatto accompagnare dai soldati Salvatore Valenti e Pasquale Scelzo per scoprire una volta per tutte se Peppino Carnovale fosse davvero il ricettatore. Sotto la pensione dove abitava Carnovale, ho detto a Valenti di dare la sua mantellina a Scelzo che è salito per proporre a Carnovale di acquistarla e, in caso affermativo di tossire forte. Io e Valenti siamo rimasti nascosti nelle vicinanze in attesa di accorrere e sorprendere Carnovale in flagranza di reato per arrestarlo. Io ero armato di una rivoltella d’ordinanza che avevo preso in caserma, gli altri due avevano la baionetta. Appena sentimmo tossire Scelzo, io e Valenti salimmo e mi qualificai come carabiniere, dichiarandolo in arresto per averlo sorpreso all’atto di acquistare oggetti di vestiario militare. Carnovale, all’atto della mia ingiunzione, fece il gesto di estrarre un’arma che io, però, non distinsi ed alzatosi subito da letto mi si avvicinò e, tenendo la mano destra dietro la schiena in atteggiamento di portare un’arma, con la sinistra tentava di strapparmi la rivoltella. E poiché costui mi incalzava da vicino ed era sul punto di strapparmi la rivoltella, io feci partire un colpo, più per intimorire il Carnovale che per ucciderlo, come disgraziatamente è avvenuto.
– Lo conoscevate bene?
– Lo conoscevo di vista…
– Chi c’era quando gli avete sparato?
– Valenti e Scelzo erano presenti ma ritengo che abbiano avuto paura del Carnovale, quantunque in tre contro uno, e dunque non si mossero.
– Non c’erano armi nella stanza di Carnovale…
– Non so dove sia andata a finire l’arma che, secondo me, aveva in mano.
– Vi era chiaro il mandato avuto dal vostro Capitano?
– Si… non era un mandato specifico di procedere all’arresto di qualcuno… ho deciso di procedere per farmi onore col mio capitano…
– Che ruolo hanno avuto Scelzo e Valenti?
– Ve l’ho detto, hanno assistito passivamente senza cooperarvi in guisa alcuna, onde io solo sono stato l’autore materiale dell’omicidio del Carnovale,
– Siete sicuro di aver detto la verità?
– Questo è il fatto e questa è la causale che lo ha determinato!
– In verità noi pensiamo che tutto sia stato determinato dalle divergenze sorte tra voi soldati e Carnovale per una eventuale, illecita divisione del prezzo degli indumenti che egli acquistava da militari. Secondo noi eravate, in quanto furiere, connivente con le ruberie.
– Tutto ciò è assolutamente falso, le cose sono andate esattamente come le ho raccontate.
Scelzo e Valenti confermano la versione di Alongi, precisando che Peppino Carnovale, messa repentinamente una mano sotto il guanciale, si alzò subito in camicia e mutande come si trovava, tenendo la mano destra dietro la schiena ed impugnando con la stessa mano una piccola rivoltella.
Ma gli investigatori dubitano fortemente della veridicità di questa ricostruzione: Alongi e gli altri due sostengono di essere stati presenti insieme sulla scena del crimine mentre la Matragrano dice che vi era un solo soldato che poi sparò il colpo. Circostanza degna di nota poiché il Carnovale era a letto in camicia e si dovette alzare alle insistenze dell’Alongi. Se prima di far ciò avesse preso un’arma qualsiasi, questa si sarebbe dovuta rintracciare o nella stanza stessa abitata dal Carnovale, o lungo la scala, da poiché il morto, appena ferito, cercò di recarsi in casa del Dottor Roberti per sollecitare il soccorso. Né può avere fondamento l’ipotesi che dopo ferito mortalmente egli avrebbe potuto avere la forza di provvedere anzitutto a nascondere l’arma, della quale si sarebbe servito per minacciare l’Alongi e poi pensare al soccorso. E se anche si volesse per un momento mettere in essere che il Carnovale fosse armato, non doveva riuscire difficile ai tre di afferrarlo e ridurlo all’impotenza, tantoppiù che, a quanto ha affermato l’Alongi stesso, il Carnovale teneva l’arma non impugnata ma nascosta.
Non tengono conto, però, che la donna ha ammesso che Alongi ha dichiarato in arresto Carnovale e quindi non ha mentito, almeno su questo aspetto. Bisognerebbe approfondire la questione, ma Alongi viene arrestato per omicidio e gli altri due per correità nello stesso reato, mentre gli altri fermati vengono immediatamente rilasciati. Nello stesso tempo si decide di effettuare una perquisizione molto più approfondita nella stanza di Peppino Carnovale sia per rinvenire eventuali armi, sia per sequestrare eventuali capi di vestiario militare. E qui c’è la sorpresa: ben nascosta, gli Agenti trovano così tanta roba di provenienza illecita da far pensare che il magazzino vestiario del 19° Reggimento Fanteria – 2° Battaglione sia stato trasferito nella pensione Matragrano. In fondo ad una cassa chiusa a chiave viene anche trovato un coltello, ma è da escludere che Carnovale abbia potuto avere il tempo di prenderlo o di conservarlo. Avrebbe potuto farlo qualcun altro per lui, ma nessuno pensa a indagare in merito.
Il cinquantunenne fiorista palermitano Francesco Lo Re, detenuto nel carcere cittadino per una storia di documenti falsi, chiede di essere interrogato perché ha delle cosa da dire in merito all’omicidio e sembra non avere dubbi: le cose non sono andate come ha raccontato Filomena:
– Sono stato molto tempo ad alloggiare nell’albergo di Matragrano Filomena e posso assicurare alla giustizia che costei, sebbene vecchia, si faceva corteggiare da Carnovale Giuseppe. il Carnovale, che aveva anche il vizio immondo della pederastia passiva, era l’amante della vecchia e spadroneggiava nell’albergo dove esercitava le sue immonde pratiche di pederastia. Sono convinto che la Matragrano, poiché amante del Carnovale, ha cercato di peggiorare la condizione dell’Alongi Giovanni.
Ma la Procura non ha dubbi circa la credibilità di Filomena Matragrano. Scagionano Scelzo e Valenti perché la donna giura che non erano presenti al momento del delitto e viene chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio di Giovanni Alongi per omicidio volontario.
Durante il dibattimento emergono tre possibili ricostruzioni della vicenda: quella del Pubblico Ministero che sostiene la tesi dell’omicidio volontario; quella della difesa che invoca la legittima difesa; quella del Presidente che propende per l’eccesso di legittima difesa.
Il 14 aprile 1921 la giuria della Corte d’Assise di Cosenza, si convince che la la linea del Presidente è quella giusta e decide, modificando il capo d’imputazione, di condannare Giovanni Alongi a quattro anni e due mesi di reclusione perché trovandosi costretto dalla necessità di respingere da se o da altri una violenza attuale ed ingiusta, ha ecceduto i limiti imposti dalla necessità medesima.
Il ricorso per Cassazione verrà rigettato.[1]
[1] ASCS, Processi Penali.
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