LA STRAGE DELLA FESTA DI SAN PIETRO

È il 29 giugno 1863, la festa di S. Pietro, e a Feruci, come ogni anno, i ferucesi e gli abitanti dei paesi vicini si divertono a fare piccoli acquisti nelle bancarelle che i venditori ambulanti sistemano tra i vicoli: formaggi e salumi, vasellame e pentole di ferro e di rame, pettini e vestiti, attrezzi da lavoro e giocattoli aspettano di cambiare proprietario. Molti uomini, invece, si apprestano a partecipare al tiro a bersaglio vicino a Fontana Secca.
Ognuno dei partecipanti mette una moneta da 10 centesimi e col ricavato si compra un paio di caciocavalli che andranno in premio al vincitore, stabilendo che non è concesso di tirare a coloro i quali non abbiano pagato la quota.
C’è molta gente che assiste e la gara sta per cominciare tranquillamente, nonostante il vino bevuto. A un certo punto sopraggiunge Raffaele Branca che si mette davanti a tutti per fare i suoi tiri ma suo nipote Francesco Branca, figlio dell’ex famigerato brigante Pietro, glielo proibisce perché non ha versato la quota.
Raffaele, irritato, va a rimuovere il bersaglio, sostenendo che il terreno sul quale è stato sistemato è di sua proprietà
– Ma finiscila! Sempre lo stesso sei! – gli dice suo fratello Emanuele, mollandogli un sonoro ceffone. Raffaele, temendo il fratello, si nasconde dietro una quercia col fucile imbracciato, pronto a difendersi.
Il capitano della Guardia Nazionale, Raffaele Caruso, che è presente per tutelare l’ordine pubblico, cercando di calmare gli animi propone, e già si appresta a farlo, di sistemare il bersaglio in un altro posto, fuori dalla proprietà di Raffaele, il quale a questo punto esce dal suo nascondiglio e si dirige dove è ammassata la folla. Incontra sul suo cammino Pietro Branca che è imbestialito per l’accaduto e gli mette le mani in faccia, offendendolo
Fissillo, carogna fottuta, e tu sei uomo da interrompere il divertimento? – Pietro Branca, alto, allampanato, capelli bianchi già da molti anni, un ciuffo di peli altrettanto bianchi sul mento che gli conferiscono un aspetto terribile, nato a Feruci il 4 gennaio 1807, sa di essere temuto da tutti per il suo passato di feroce brigante, costellato da almeno quattordici omicidi, una ventina sequestri di persona, una decina stupri e innumerevoli furti e rapine. Tutti a Feruci sanno che è stato proprio lui a iniziare, nel 1848, una sanguinosa faida in paese che è costata sei morti nel giro di pochi mesi. Tutti sanno di quando ha squartato e fatto a pezzi un uomo in montagna, peraltro sbagliando persona, dicendo poi a un segantino di Longobucco, incontrato per strada: Ho ammazzato un animale, è laggiù vicino alla sorgente, se hai fame vatti a prendere le zampe e la testa e te li cucini…; sanno anche che per sfuggire alla pena di morte, dopo quattro anni di terribili scorrerie per tutta la provincia, si costituì e la pena gli fu commutata in ergastolo, scontando nove anni nell’inferno del carcere di Procida dal quale uscì con la grazia in tasca per essersi arruolato nelle truppe borboniche, mentre Garibaldi cominciava la sua risalita da Marsala. Ma Pietro non sparò nemmeno un colpo contro i Piemontesi, disertando alla prima occasione e ritornando a casa non appena i Borboni furono cacciati.
Raffaele, alle offese del cugino e senza pensare alle possibili conseguenze, tira fuori di tasca la coltella da caccia e ferisce a una gamba Pietro, che a sua volta aveva già tirato fuori la sua coltella per sfidarlo a duello ma non fa in tempo a usare l’arma. Francesco che è vicino al padre si mette in mezzo per evitare guai peggiori – Pietro è ormai segnato dalla carcerazione nell’inferno di Procida – e dà uno spintone a Raffaele che cade ruzzolando. Nel parapiglia, il fucile che Pietro ha in spalla cade e, battendo per terra, esplode un colpo.
La confusione adesso è generale: molti, pensando a uno scontro a fuoco, se la danno a gambe, mentre Raffaele, rialzatosi, credendo che il cugino gli abbia sparato contro, spara a sua volta contro Pietro e lo stesso fa anche suo fratello Biagio, accorso sul posto. Francesco si rende conto che le cose stanno mettendosi molto male e, imbracciato il suo schioppo a due canne e riparandosi dietro un albero, fa fuoco prima su Raffaele che muore sul colpo e poi su Biagio. Quindi ricarica e spara contro l’altro fratello di Raffaele, Serafino.
A questi colpi immediatamente ne seguono molti altri, probabilmente esplosi dallo stesso Serafino, Gennaro Baldino, Matteo Branca, Biagio Branca e Vincenzo Zumpano i quali sono gli unici, tra i presenti, armati di schioppo. È una vera e propria guerra nella famiglia Branca con padri, figli, zii, nipoti, cognati, cugini, generi che man mano accorrono e si impegnano nei combattimenti e nella confusione si verificano anche molti scontri all’arma bianca.
Quando le armi tacciono e il fumo si dirada, quattro uomini giacciono a terra esanimi: Raffaele Branca morto, Biagio, Serafino e Pietro Branca, con una leggera ferita da arma da fuoco ma una gravissima ferita da arma da punta e taglio, che respirano ma è evidente che sono molto gravi, tant’è che moriranno tutti nel giro di qualche ora.
Feriti in modo più lieve restano anche Serafino Baldino con una coltellata alla testa ed pallottola in una coscia e Tommaso Branca con una ferita di arma da taglio a una mano.
Fortunata Zumpano, fresca vedova di Pietro Branca, accusa l’altro cugino Giuseppe Cataldo Branca di avere finito il marito con una stilettata, circostanza confermata da altri testimoni.
Francesco Branca, Serafino e Gennaro Baldino si presentano spontaneamente in carcere dichiarandosi innocenti.
 A vedere sparare Francesco Branca e Serafino Baldino sono Giuseppe Russo, Salvatore Faraca, Pasquale Longo, Gaetano Baldino, Angelo Proviero, Leonardo Campana, Antonio Mendicino e Michele Arnone. Tutti asseriscono che Francesco Branca ha sparato solo dopo aver visto il padre Pietro cadere sotto i colpi di Raffaele e del fratello Biagio Branca. Secondo i testimoni, Francesco ha sparato col suo fucile a due colpi prima su Raffaele e poi verso il posto dove erano gli altri due fratelli Branca.
Solo dopo i colpi di Francesco avrebbero sparato Serafino Baldino, Gennaro Baldino e Matteo Branca, parenti stretti di Francesco da una parte e Vincenzo Zumpano cognato di Biagio Branca dall’altra.
Così racconta Don Antonio Riccio, cancelliere comunale, che ha assistito ai fatti da una finestra del palazzo di proprietà della famiglia Perris, della quale è parente.
Alla fine delle indagini sono rinviati a giudizio Francesco Branca per l’omicidio di Raffaele Branca; Gennaro Baldino per l’omicidio di Biagio Branca; Francesco Branca, Gennaro Baldino e Serafino Baldino per l’omicidio di Serafino Branca. Annunziato Baldino, Matteo Branca, Giuseppe Cataldo Branca e Vincenzo Zumpano accusati a vario titolo di aver partecipato ai fatti sono prosciolti per insufficienza di prove. L’omicidio di Pietro Branca è attribuito a Raffaele Branca.[1]
Pietro Branca alias il padre, il famigerato e sanguinario brigante, dopo essere scampato cento volte alla morte in battaglia, alla pena di morte e all’ergastolo, è morto per mezzo  caciocavallo, come per mezzo caciocavallo a testa sono morti i suoi cugini.
Niente è più come prima in paese.

 

[1] ASCS, Processi Penali.

 

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