IL VOSTRO SOLITO ANONIMO

All’Ill.mo
Sig. Pretore
SCALEA
Chi scrive sente altamenta la dignità personale; alla sua tarda età non à nulla da  rimproverare alla sua coscienza e, come tale, fu sempre, ed è per natura, ripugnante alle denunzie anonime poiché l’anonimo è dell’uomo vigliacco. Eppure, illustre Magistrato, come ogni regola à la sua eccezione, così l’anonimo, in talune limitatissime circostanze, si rende indispensabile. E se è da vituperarsi e condannarsi in tutti i casi nei quali si cerca diffamare, accusare, nuocere alle persone, senza dubbio va e debba essere giustificato, come nel caso attuale, lorché si tratti di fare un bene all’individualità ed alla Società quando, come nel caso attuale, si tratti di prevenire un grave reato. In tale ipotesi il movente è santo, è giusto, si fa un bene al traviato ed alla Società prevenendo un delitto. “il fine giustifica i mezzi”. Ma si obietterà: “l’uomo onesto non teme di dir franca la verità”. Le teorie, egregio Pretore, son pur troppo belle ma nell’applicarle!… Divero, come vorrebbe Lei, egregio Giudice, che un gentiluomo, il quale à vissuto e vive una vita tranquilla, che à molto da perdere, voglia metter in pericolo la pace domestica, porsi a repentaglio la sua persona? D’altronde sente forte nell’animo suo il dovere di prevenire un reato: ecco, egregio rappresentante della Legge, in questo caso, l’anonimo, obbrobrioso per se stesso, addiviene necessario e rimane santamente giustificato. Ciò posto, scevro da ogni odio e rancore, denunzio alla giustizia di Lei che tal Maria Dagostino, giovinetta di circa venti anni, figlia a tal Carmela Fama, trovasi incinta da 6 mesi circa ed ha tentato e sta tentando tutti i mezzi per nascondere il frutto del suo seno e con l’aborto, o altrimenti, poiché possiede, non essa la povera sedotta ma il seduttore, dei potenti mezzi per giungere allo scopo. La giustizia vorrà con prudenza,circospezione e massima riservatezza accertarsi del fatto. Che l’esponente sia stato tratto in inganno (volesse il Cielo!) tutto rimarrebbe sepolto, senza danno alcuno: ma se vero, come lo è certamente, allora sarà prevenuto un delitto. Che si aprano le indagini, non si perda tempo, forse domani non si farà più al caso di prevenire, creda alla onestà di chi, benché ripugnante deve servirsi dello ANONIMO. Credo opportuno informare la giustizia che, vista giorni fa, la Dagostino si recava a Maratea dal Dottor Tarantini per procurare l’aborto e vi si recava in compagnia di una sua parente, Carmela Stummo. Il dottore naturalmente se la cavò con una tenera risata, dicendo: “la vostra malattia è sicura, potete andar via perché a tempo debito guarirete”. Non paghi di ciò mossero alla volta di Belvedere da quel Dottor Spinelli, il quale diede pressochè la stessa risposta. Si sta ordendo per occultare con qualunque mezzo il parto. Che la giustizia indaghi per prevenire un grave delitto. Col pretesto di fare una cura sotto la direzione dello Spinelli, fra qualche giorno partirà per Belvedere, ma lo scopo è nascondere, occultare, affrettando un parto prematuro.
Il Vice Pretore di Scalea Luigi Losardo, seppure perplesso per l’ampia dissertazione sul ruolo ripugnante degli accusatori anonimi, è impressionato dal linguaggio forbito e dalla precisione delle indicazioni fornite e perciò trasmette la lettera al Maresciallo Salvatore Arcadi, comandante della stazione di Scalea, perché indaghi in merito. È il 17 gennaio 1917.
Il Maresciallo, da parte sua, vede la cosa come una presa in giro e non si impegna più di tanto nelle indagini, limitandosi, nella sua risposta, ad un generico non s’è potuto assodare con certezza se la ragazza Dagostino Maria sia veramente incinta, però a costei è molto ingrossata sia la pancia che i fianchi.
I mesi passano e, non vedendo accadere nulla, il nostro anonimo si prende la briga di scrivere di nuovo
Scalea
10-3-17
Ill.mo
Sig. Pretore
L’anonimo, che denunziava due mesi fa alla V.S. il fatto della maria dagostino, con tutte le particolarità, a solo scopo di prevenire un delitto, oggi, allo stesso scopo, si rivolge a V.S. perché voglia vigilare affinché quel delitto venga prevenuto. Si approssima il parto ed un complotto composto dalla Medichessa Mariuccia Giordanelli, che propina medicinali ed iniezioni giornalmente, e dalla assistente Giuseppa Libano e figlia, nonché dalla propria madre, con la connivenza del drudo, un vecchio satiro, si è concertato il modo di sopprimere il frutto, onde rimanesse tutto celato, avendo fatto correre la voce che la Maria sia affetta da malattia, per la qual cosa si è messa da più giorni a letto, occultandosi nel modo il più assoluto appunto per nascondere come che sia il parto. Che la V.S. faccia fare indagini e vedrà. Oggi più che mai è il caso di dire “Fervet opus”
L’ANONIMO
Da un momento all’altro avverrà la catastrofe!! Che si avvisi la partoriente e suoi parenti a dar conto del frutto impedendo la soppressione. Si dice anzi che sia già avvenuto e che sia stato perpetrato il premeditato delitto! Prevengo V.S. che, stante la sua abituale assenza da qui e nel dubbio che le istanze dello scrivente abbiano a rimaner lettera morta, in pari data si è informato dei fatti il R. Procuratore del Re, nommai per diffidenza, ma per la riagione sopra esposta.
Anche questa volta il Vice Pretore trasmette la lettera ai Carabinieri  che, ancora una volta, rimangono nel vago: non è stato possibile fin qui accertare se costei è realmente incinta o malata.
Dopo due settimane sul tavolo del Vice Pretore, vista la perdurante assenza del titolare come il nostro anonimo ha denunciato, arriva una nuova, ma questa volta breve, lettera
Ill.mo
Pretore
La Maria Dagostino è di già sgravata o abortita; se la sua giustizia farà indagare le troverà in perfetto stato di puerperio. La faccia visitare, sia pure riservatamente, dal Dottore o dalla levatrice e si accerterà del fatto. Non è giusto che un simil fatto rimanga occulto ed impunito. Oramai lo sanno molti
L’ANONIMO
Questa volta la lettera coglie nel segno. Il Vice Pretore Losardo scrive una lettera di fuoco al Maresciallo Arcadi. L’ordine è di riferirmi a vista e con dettagliato rapporto il risultato delle indagini, visto che finora le informazioni dategli sono risultate molto vaghe.
La risposta di Arcadi non si fa attendere, ma ripete più o meno la solita solfa: il sottoscritto ha ancora oggi visto la D’Agostino Maria ed ha notato in lei la stessa pancia grossa che aveva molto tempo fa. Per quanto lo scrivente non è in grado di conoscere con cognizione di fatto le donne incinte, tuttavia può affermare che se la suddetta ragazza avesse abortito, non avrebbe la pancia così grossa. Poi conclude, come per lavarsene le mani: sarebbe necessario che l’anzidetta ragazza venisse sottoposta a visita medica. E glielo aveva detto anche il misterioso scrittore!
Losardo a questo punto ordina al dottor Giovanni Iannelli di Cetraro e alla levatrice comunale, Rosa Previti, di sottoporre a visita Maria. La levatrice va a casa della ragazza ma non le viene permesso di entrare e così – siamo ormai al 25 marzo – va dal Vice Pretore che spicca immediatamente i mandati di cattura per la ragazza e sua madre e le interroga.
Maria nega di essere mai stata incinta e nega che Maria Giordanelli le abbia fatto delle iniezioni. Afferma con forza di essere vergine e di essere fidanzata con un giovanotto del posto partito per il fronte. Losardo insiste molto sul particolare delle iniezioni e Maria ammette che un mese prima la Giordanelli le ha fatto dodici punture di ferro prescrittele dal medico. Ora deve sottoporsi alla visita della levatrice e mentre la ragazza si sveste fa una rivelazione sorprendente: l’ingrossamento del suo addome era semplicemente fittizio e che venti giorni prima si era abortita al quarto mese di gravidanza. Ma la levatrice si accorge subito che mente: constatai dapprima che dalle mammelle, abbastanza ingrossate, con l’areola annerita, secerneva un liquido che subito riconobbi per latte di un colore bianco giallognolo e dalla visita ginecologica è del tutto evidente che la D’Agostino abbia partorito di recente, credo non oltre venti giorni, e che la sua gravidanza se non proprio a termine doveva essere nei mesi inoltrati.
– Come la mettiamo? – le fa il Vice Pretore.
Debbo confessare purtroppo nel primo momento in cui la V.S. mi ha interrogato per salvare il mio onore ho mentito, come ho cercato e cerco di simulare in pubblico l’ingrossamento del mio addome. Per una relazione avuta una sola volta con un forestiero, che mi prese a forza, ebbi la sventura di restare incinta, cosa di cui, nella mia ingenuità, non mi accorsi neanche. La congiunzione carnale ebbe luogo il 10 del dicembre decorso. – poi racconta come si sarebbero svolti i fatti al momento del parto – Circa 20 giorni fa ero andata a legna e ritirandomi a casa, ove non trovai nessuno, forse a causa della fatica fatta mi abortii. Espulsi fuori un informe pezzo di carne misto a del sangue; feci in modo che mia madre, né alcuno, si accorgesse di tal fatto e riparato nel miglior modo al mio male, nascosi in casa i panni insanguinati e l’aborto che dopo due giorni andai a seppellire nella fossa che è fuori le mura del vecchio cimitero, il tutto involto entro un vecchio grembiale. Pochi panni ho lavato e a mia madre, che li lavò, feci credere che li avessi sporcati con le mestruazioni
Carmela Famà, la madre, sembra davvero cadere dalle nuvole e conferma di avere lavato dei panni sporchi di sangue mestruale che Maria le diede. Conferma la circostanza delle iniezioni fatte da Maria Giordanelli alla figlia, 90 in tutto – 30 di chinino e 60 di ferro – per un compenso di 20 lire. Solo che queste benedette iniezioni la Giordanelli le avrebbe fatte l’anno passato e non un mese prima! È ovvio che i conti non tornano e per vederci chiaro, sospettando che l’ex infermiera Maria Giordanelli possa avere in qualche modo, come sostiene il nostro anonimo, aiutato Maria e la madre a sbarazzarsi del figlio della colpa, la fa arrestare.
– Le iniezioni gliele ho fatte un mese fa perché gliele prescrisse il dottor Gaetano Oliva, così mi dissero mamma e figlia, come gliele ho fatte anche l’anno scorso quando gliele prescrisse il dottor Oreste Spinelli. Carmela mente se dice che non sapeva niente delle iniezioni di un mese fa. Se mi volete accusare di complicità in procurato aborto o in infanticidio, sappiate che sono innocente!
Il Vice Pretore Losardo, terminati gli interrogatori al tramonto del 25 marzo 1917, va, accompagnato dai Carabinieri, a cercare il corpicino nella buca vicino al vecchio cimitero. Sebbene la fossa medesima fosse quasi a metà ripiena di acqua, onde difficile e disagevole si è presentato il nostro compito, abbiamo, superando ogni difficoltà, fatto tutte le più minute e accurate ricerche pel rinvenimento del feto, ricerche che non ebbero alcun risultato affermativo per cui, essendo anche sopraggiunta l’oscurità della notte, abbiamo sospese le nostre operazioni che abbiamo rinviate per prosecuzione a domani mattina dopo aver chiesto alla D’Agostino più dettagliate informazioni su quanto dichiarato.
– Vi dico che è là, l’ho buttato io stessa e se non si trova sarà stato distrutto dai topi o in altro modo scomparso.
– Lì non c’è, dimmi la verità ché le cose si stanno mettendo male, molto male, per te e per tua madre – la esorta Losardo. Maria, dopo una lunga sua riflessione, d’un colpo risponde:
– Vi accompagno io, seguitemi…! – il Vice Pretore a questo punto decide di non aspettare il mattino successivo e con la scorta dei Carabinieri, muniti di lanterne, seguono la ragazza, che li porta in un terreno seminato a grano. Sono le 21,20. Maria scruta il terreno, lo smuove in alcuni punti con un piede, poi si ferma vicino a una siepe. A pochissima distanza ci sono alcune piante di fichi d’india. In mezzo, non ci sono nemmeno due metri, il terreno non è seminato e sembra smosso di recente.
Scavate in questo punto! – esclama – In una piccola buca, che io stessa ho scavato con le mani, ho deposto il feto
Due volenterosi Carabinieri cominciano a scavare servendosi della sciabola e delle mani ma dopo quasi un’ora di lavoro tutti si rendono conto che senza attrezzi passerà tutta la notte e Losardo ordina al Maresciallo di andare a procurarsi zappa e badile, ma interviene di nuovo Maria:
– Che scavate a fare stanotte? Torniamo domani mattina…
Losardo non ci sta, ormai il più è fatto e se il feto è lì, qualche animale, sentendone l’odore, potrebbe farne ulteriore scempio. Quando arrivano gli attrezzi i Carabinieri riprendono il lavoro ma non trovano niente. Scavano anche in altri due o tre punti vicini ma il risultato è lo stesso.
– Ci hai voluto prendere di nuovo per il culo? – le urla in faccia, infuriato, Losardo
Non mi so orizzontare… ritornate domani con mia madre, ella saprà indicarvi il posto preciso perché, ora lo confesso, non fui io ma fu proprio lei a seppellire il feto
“Beh, almeno un risultato è stato raggiunto” pensa Losardo dando l’ordine di sorvegliare la località fino al mattino successivo.
L’espressione del viso di Carmela Famà non è delle più felici mentre ascolta il Maresciallo che le dice di sapere della sua complicità. Sa che ormai è inutile continuare a negare e si prepara ad accompagnare gli inquirenti sul posto dove è seppellito il feto e la sorpresa è grande quando la donna rivela che è in un posto completamente diverso da quelli indicati da Maria. Comincia a essere chiaro che Carmela è molto più compromessa di quello che sembra. Il posto, su di un rialzo del terreno prospiciente a mare, a modo quasi di argine, popolato di qualche pianta, è dietro una siepe che domina la strada pubblica in contrada Cutura.
– È qui. La fossa è profonda quasi un metro… è avvolto in un sacco… coperto con alcune palette di fichi d’india
Un Carabiniere, questa volta munito degli attrezzi necessari, si mette a scavare la fossa e siccome il terreno è smosso, non ci mette molto a portare alla luce una paletta. Con grande cautela viene scoperto il sacco e tirato fuori. L’involto è legato e annodato con un pezzo di spago, che viene slacciato e rimangono tutti a bocca aperta quando, invece di trovare un informe pezzo di carne come l’aveva definito Maria, trovano il cadaverino di un neonato di sesso maschile, discretamente conservato. È evidente che non si tratta di aborto, spontaneo o procurato che sia stato, ma di qualcos’altro, le indagini lo stabiliranno.
Io non saprei dire se il bambino sia nato vivo o morto, debbo però confessare che lo vidi muovere ma non emise alcun vagito. Ero gravida al 7° mese e sicura che a quell’epoca non potevo partorire un figlio vivo… lo deposi, dopo che lo avvolsi in un panno, in una cesta e dopo che potetti alla meglio accomodarmi, lo nascosi sotto il letto. A mia madre, che non sapeva niente, ho confessato tutto due giorni dopo e le ho consegnato la cesta col bambino perché lo seppellisse…
– Confessa che hai cercato di abortire con le iniezioni che ti ha fatto la Giordanelli, perché sappiamo che non è vero che il dottor Oliva ti ha prescritto medicine.
Giordanelli Maria in tal fatto non ha avuto parte alcuna, altro non fece che quelle iniezioni… di ferro, erano iniezioni di ferro prescrittemi l’anno prima e che rifeci di mia iniziativa. La mattina che mia madre uscì per seppellire il bambino e lavare i panni sporchi, Maria Giordanelli si trovò a passare e mia madre la pregò di aiutarla a portare la cesta…
Il sospetto, a questo punto, è che Maria Giordanelli abbia aiutato Carmela ad occultare il cadavere del bambino e si indaga in questa direzione. Nel frattempo in paese la notizia del macabro ritrovamento si diffonde e il nostro anonimo non perde tempo a scrivere una nuova lettera al Pretore
26-3-917
Illustre
Pretore
Dopo il tragico epilogo svoltosi nei rapporti della sventurata Maria Dagostino, la S.V. può serenamente giudicare se giustizia, oppure odio, mosse il solito Anonimo a ricorrere alla giustizia pretorile!! Ebbene, mosso dagli stessi sentimenti, non men che giusti ed onesti, lo stesso Anonimo si rivolge a Lei perché voglia colpire chi è veramente colpevole, chi della tragedia è la vera e sola autrice. La sventurata Maria ha subito il fascino di quella megera spietata che è la madre. Di scarsa mentalità, la povera giovinetta ha cercato di occultare il fatto fidando sulle assicurazioni della di lei madre, tanto più che era fidanzata ad un bel giovane artigliere. Fu la madre che la indusse al fallo permettendo che la ragazza, inesperta, fosse andata a dormire da sola tutta la notte in casa del sedicente zio, quel vecchio satiro di Biase Barletta. Fu lei, la madre, che con l’appoggio finanziario di costui tentò con tutti i mezzi lo aborto, complice la medichessa Giordanelli, la quale praticò sul corpo della povera sedotta più di 80 siringhe, oltre a medele di ogni sorta. Fu lei, la madre, che fallito l’aborto, meditò ed eseguì la soppressione del feto. La responsabile morale e materiale, mio egregio Pretore, è tutta di quella iena, di quel mostro umano che risponde al nome di Carmela Fama. Questa vecchia prostituta, che mandò nelle galere il legittimo marito, che tolse la pelle a molte famiglie, che con la sua arte ammaliatrice trasse dal seno della sua famiglia il suo drudo Salvatore Stummo, facendogli abbandonare una moglie onesta e due angioletti di figli, questa donna perversa è la vera colpevole dell’infanticidio che senza di lei non sarebbe avvenuto. Che la giustizia indaghi e troverà tutto vero. Purgate, egregio giudice, la società da questo mostro che ha sozzato pur troppo Scalea. Sarebbe grave veder la complice, l’autrice del reato per le vie di Scalea, impunita, no, la giustizia ne scapiterebbe. La colpevole principale è essa, la Fama, creda a chi si rivolge alla sua autorità a solo scopo del vero e del giusto.
                                                                               L’Anonimo
“Ma chi diavolo può essere costui?” si chiede Losardo mentre firma l’incarico ai dottori Giovanni Iannelli e Gaetano Oliva per eseguire l’autopsia.
Ci vorrà un mese per mettere in luce le ultime bugie di Maria e di sua madre: il bambino era nato a termine, vivo e vitale. La morte è dovuta alla duplice causa dell’emorragia ombelicale e del soffocamento mediante l’occlusione del naso e della bocca. Infanticidio. I periti ipotizzano che siano state almeno due persone a compierlo: Le snaturate megere compagne della snaturatissima madre, decise a sopprimere l’innocente creatura, non titubarono un solo istante a soffocarne i vagiti e forse con mano convulsa chiusero le vie esterne del respiro ravvolgendolo fortemente in una rozza tela a grosse trame, le cui impressioni si riscontrarono sul cuoio capelluto e sulla faccia, occludendo nari e bocca. La mancanza d’ecchimosi nei polmoni e nelle pleure e di cianosi sulle labbra si deve attribuire all’emorragia del funicolo ombelicale che aveva reso quasi anemico quel tenero e piccolo organismo.
Il nostro Anonimo si fa vivo ancora una volta per reiterare le proprie accuse, sbizzarrendosi non poco nel descrivere l’ambiente in cui è maturato l’infanticidio
Illustre
Pretore
Finis coronat opus. Questa è l’ultima parola che l’ormai vostro familiare anonimo dirige alla giustizia vostra, allo scopo di svelare il mistero che avvolge l’odierno delitto, che ha commosso la intera cittadinanza. Se non si poté prevenire il reato, la giustizia dovrà punire i colpevoli e va data a Voi lode perché avete ben saputo condottarvi in questa intrigata matassa, raggiungendo con tatto, zelo ed energia i principali colpevoli. Ma, egregio Pretore, sono dessi raggiunti tutti? No, assolutamente, no. Vi sono altri complici da raggiungere. Essi sono: 1° La Dottoressa Maria Giordanelli – 2° Biagio Barletta – 3° Salvatore Stummo. Della prima vi è poco da dire perché la sua complicità è provata dal fatto che da tempo remotissimo, di giorno e di notte non ha mai lasciato la casa della dagostino, che diceva curare con le sue medele e con innumerevoli iniezioni, le cui tracce debbono ancora esistere sul corpo della dagostino. Essa, la Giordanelli, sapeva tutto e doveva saperlo per ovvie ragioni. Né poteva mancare allo sgravo della
Dagostino, essa che l’aveva curata assiduamente per parecchi mesi. Sicché la sua complicità è indiscutibile. Veniamo al Barletta. Costui ha apprestato i mezzi per favorire il reato, sborzando senza parsimonia le carte da 50 e da 100, prima per procurare l’aborto mandando la Dagostino a Maratea, a Belvedere, a Bonifati, da medici e specialisti per poterlo conseguire e poi, prestando tutti i mezzi per nascondere quello che lui credeva suo frutto fino alla consumazione del delitto. Egli che da due mesi, da quando cioè la Dagostino si finse ammalata, non si è mosso un sol giorno, una sola sera dal letto ove essa giaceva, apprestando tutto il necessario e rimettendo nel seno di lei le carte da 50, egli è assolutamente complice. E qui, ad onor del vero, credo doverosa una digressione. Non fu, né poteva essere la fragile e rammollita verga del quasi ottagenario Barletta, malaticcio, paralitico per apoplessia, dalla quale fu per ben due volte toccato. No, non poteva essere sua la potenza di ingravidar la Dagostino. Rimpetto a quel rispettabile pezzo anatomico ci è voluto, al dir del cav. Marino “un paletto che ogni colpo val per otto” (domandatene a quella perla di gentiluomo, al vostro Cancelliere Ruffo e vedrete che la pensa anche così, Lui, maestro per antico pelo). Ebbene, questo Frate Paolotto è stato Salvatore Stummo, il drudo della madre della Dagostino. Il Barletta, peccatore impenitente, non ha fatto che lambire, leccare gli orli, l’orifizio del pintarico vaso e di questo leccocinio ha pagato pur troppo profumatamente, assottigliando il suo patrimonio. Ma il colpo di grazia lo avrà dato lo Stummo, lui che conviveva con la Dagostino, dormivano nella stessa stanza, in comunione con la madre, della quale egli ne è il drudo. E si che lui, vizioso e immorale, che lascia moglie e figli per una vecchia prostituta, lui, il nibbio, non si faceva sfuggire quella paffuta tortorella!! Comunquesia, lo Stummo è complice perché doveva essere a conoscenza, non solo, quanto ha dovuto annuire al fatto delittuoso. Egli conviveva con la madre e con la figlia, doveva assolutamente saper tutto. Avvinto dalle mali arti della sua druda, che lo ha sempre dominato, ha ceduto alle suggestioni, anche perché vi era il progetto di sposarsi dalla Dagostino un suo nipote; quindi premura, interesse di celare la gravidanza. Egli, lo Stummo, non poteva ignorare lo stato interessante della Dagostino perché quando partì per soldato era in stato molto avanzato, lo si conosceva da tutti e molto di più si doveva saper da lui che viveva nella stessa stanza. Sapeva e prese parte ai tentativi di aborto. Quando poi successe il delitto egli era qui di stanza presso le R. Guardie di Finanza. Egli si celerà dietro la scusante che non stazionava a casa sua ma nella Caserma, vana scusa perché lui aveva l’agio di recarsi a casa sua, ove avvenne il reato, di giorno e di notte perché, sulle 24 ore della giornata, appena 8 son di servizio. di tutti egli si recavaa casa sua quando meglio le paresse nelle ore in cui era assente dal servizio. domandate al Comandante della brigata, il quale darà le spiegazioni necessarie. Sig. Pretore, la complicità della Giordanelli è chiara come la luce del sole. Essa che fece molte siringhe alla Dagostino non poteva ignorare il suo stato interessante. Essa fu presente al parto perché sola la Dagostino non poteva conseguirlo, né bastava la sola madre. Parimenti è chiara la complicità di Barletta e Stummo, quest’ultimo a preferenza. Finisco con una domanda: chi scavò il fosso ove fu rinvenuto il neonato? Chi lo portò? Chi lavò le biancherie alla Dagostino? Indaghi la S.V. e sorgeranno senza dubbio le pruove di quanto si asserisce. La giustizia deve colpire tutti i colpevoli, ognuno per la parte che le spetta. Ed ho finito, mio egregio Pretore, dichiarando che il vostro anonimo, appena passati questi momenti di istruzione di processo, getterà la maschera e si svelerà a voi, onorandosi di venire a stringervi quella mano che più volte avete stretta. Egli, l’anonimo, non ha fatto altro che denunziare il vero, contribuendo a che un efferato delitto non rimanesse impunito, pur avendo tentato a tempo di prevenirlo.
                                                                                  Anonimo
Quella mano che più volte avete stretta… mi conosce… lo conosco… ma chi diavolo può essere? Forse uno dei medici, o l’avvocato… o forse il prete. E se fosse il cancelliere? No, il cancelliere non può essere…”. Con questo pensiero assillante Losardo procede nelle indagini su Biagio Barletta e Salvatore Stummo ma sui due non emerge nulla e sul banco degli imputati restano Maria, sua madre e la medichessa Maria Giordanelli, le quali vengono rinviate a giudizio presso la Corte d’Assise di Cosenza.
Alla fine del dibattimento il Pubblico Ministero ritiene di chiedere la condanna per Maria D’Agostino e sua madre, mentre chiede l’assoluzione per Maria Giordanelli. La difesa delle due donne chiede l’assoluzione di entrambe, sostenendo per Maria il vizio totale di mente.
La giuria assolve Maria D’Agostino perché al momento del fatto si trovava in uno stato di mente tale da toglierle la coscienza e la libertà dei propri atti e Maria Giordanelli per non aver commesso il fatto, mentre Carmela Famà è condannata a due anni e sei mesi di reclusione per concorso in omicidio volontario. La Corte di Cassazione rigetterà il ricorso.[1]
La domanda che resta da fare adesso è: Ma chi diavolo è L’ANONIMO?
Non lo sapremo mai, come non sapremo se ha mantenuto la promessa di svelarsi al Vice Pretore Losardo.
Non lo sapremo per la semplice ragione che era una questione privata tra l’anonimo e il Vice Pretore e non figura negli atti del processo. Io un’idea l’avrei, ma anche questa è bene che resti… anonima!

 

[1] ASCS, Processi Penali

 

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