GLI ACCOMODAMENTI CONIUGALI NECESSARI

Balsano Stefano, d’anni 21, meccanico da Rogiano, a 22 marzo 1915 toglieva in moglie la nubile sua conterranea Russo Ida, diciassettenne appena. Quantunque tale unione fosse stata preceduta da rapporti amorosi fra i due e da fuga avvenuta sin dal dicembre innanzi, pure il padre della giovine sposa, Russo Ercole, dalle prime mostravasi riluttante al consenso per una di quelle ragioni che solo persona di mondo e pratica del cuore umano può benissimo valutare e comprendere: l’Ida era fidanzata ad altro giovine.
Ida è una ragazza che sa il fatto suo, pronta a sfidare le convenzioni sociali per sposare l’uomo che ama e che l’ha conquistata con il suo saper fare e la sua gentilezza.
Davanti alla determinazione della figlia, che era rimasta incinta già prima della fuitina, il negoziante Ercole Russo deve cedere e dare il suo consenso, assegnando a Ida un conveniente corredo e lire tremila in contanti per la quale somma viene rilasciata regolare ricevuta dagli sposi e tutto sommato deve ricredersi nei confronti di Stefano: ha capito che vuole davvero bene alla figlia perché il loro è stato un matrimonio d’amore.
Ma le cose ben presto cambiano e Stefano, da gentile e premuroso che era, diventa irascibile, violento e picchia Ida per ogni sciocchezza. Ercole queste cose le apprende dai vicini di casa della figlia che gli raccontano tutto, ma Ida no, lei subisce in silenzio ed ai suoi genitori non dice una parola contro il marito. Tutt’altro. Dice sempre che il marito le vuole bene.
Nessuno, nemmeno Ida, sa con precisione il perché di questo cambiamento, fatto sta che uno dei motivi principali delle botte quotidiane risiede nella pretesa di Stefano di voler far interrompere a Ida ogni rapporto con i suoi familiari. Nemmeno la nascita del loro figlio mitiga il suo odio sordo e immotivato, anzi sembra proprio che il lieto evento lo accresca, tanto è vero che il 21 giugno 1915 la madre di Ida, Luisa Approbato, avvisata da una vicina che Stefano sta picchiando più forte del solito la figlia, corre a vedere che diavolo sta succedendo e la trova con impresse sul volto le impronte delle battiture
– Che è successo questa volta? Perché ti sta picchiando? – le chiede con lo sguardo infuocato diretto verso il genero che, stando seduto su una sedia, sbuffa come un toro. Ida, indicando alcuni bustini da bambino che quella mattina stessa si è fatta portare dalla madre, le risponde:
– Non vuole che io accetti niente da te… – poi, rivolta a Stefano, continua – tu non hai nessun diritto di impedirmi una cosa del genere! Ma come ragioni? Ti sei scordato che mamma ti ha portato del vino e dell’olio e tu li hai accettati? Ti sei scordato che papà ti ha regalato un vestito nuovo e tu ne sei rimasto contento? – a Stefano, che Ida gli rinfacci queste cose non va proprio giù. Si alza di scatto e si lancia contro la moglie facendola cadere per terra. Luisa si lancia a sua volta in difesa della figlia, ma Stefano con uno spintone fa cadere anche lei, poi si precipita nella stanza da letto e armeggia per aprire un cassetto del comò. Ida, che fatica a rialzarsi, si mette a gridare alla madre – corri mamma! In quel cassetto tiene la rivoltella!
Luisa scatta come un gatto sulla preda e con un balzo si butta con tutto il suo peso sul cassetto mezzo aperto nel quale c’è il braccio destro di Stefano che sta impugnando la rivoltella. Il cassetto si richiude sul braccio dell’uomo che urla per il dolore, ma Luisa non si fa impietosire e spinge ancora più forte. Intanto Ida si è rialzata e corre al balcone per chiedere aiuto e in pochi secondi la casa è piena di vicini. Solo quando Stefano è mezzo svenuto per il dolore Luisa lascia la presa, richiudendo il cassetto a chiave non appena il braccio di suo genero è fuori, poi consegna la chiave a Ida che la ripone nel tascone del grembiale.
– Andatevene tutti! Fuori! – urla imbestialito, massaggiandosi il braccio. Tutti, comprese Luisa e Ida, escono per strada, ma all’improvviso una voce di donna fa ripiombare tutti nel terrore che qualcosa di grave stia per accadere:
Fuggite ché Stefano spara dalla finestra! – ma per fortuna è un falso allarme, lui si calma, Ida rientra a casa e anche Luisa, tranquillizzata, se ne va.
Non passano che un paio di ore e un Carabiniere si presenta a casa dei genitori di Ida e invita Luisa ad andare in caserma dove trova Stefano e dove, poco dopo, li raggiunge Ida. Il Brigadiere Giovanni De Bellis prende la parola rivolgendosi alle due donne:
– Volete sporgere querela contro di lui? – Luisa e Ida si guardano e rispondono di no – va bene, come volete… te ne puoi andare, per questa volta ti è andata bene – termina indicando a Stefano la porta, poi continua rivolto alle donne – secondo me state sbagliando, ci sono tutti gli estremi per una punizione esemplare… – Ida ascolta a testa bassa e, quasi impercettibilmente, risponde come per giustificarsi:
– È mio marito… il padre del mio bambino…
– Stai in guardia e state in guardia anche voi, per qualsiasi cosa noi siamo qui…
Stefano le sta aspettando fuori e subito attacca:
– Adesso vieni a casa, ti prendi la tua roba e te ne vai immediatamente.
– Stasera non se ne va di certo! – protesta Luisa, mentre Ida piange sommessamente.
– E sia! Ti do cinque giorni di tempo e poi te ne devi andare – dice girando sui tacchi e allontanandosi. Ida torna a casa sconsolata, rassegnata al suo destino. Sa che anche quella sera prenderà le botte e spera solo che non le faccia troppo male, che non le faccia perdere il latte per il suo bambino. Ma le cose non vanno così. Stefano non rientra a casa e non rientrerà nemmeno i giorni successivi. Ida non sa se essere contenta o se disperarsi ancora di più perché l’ha lasciata senza un soldo per comprarsi qualcosa da mangiare. Ma, proprio perché è disperata, torna la ragazza forte e ribelle che è stata fino a qualche mese prima. “Tu non sei nessuno, tu a me non mi comandi” pensa serrando i denti. Così, sapendo che lui se ne è andato dai genitori, gli scrive un biglietto con parole di fuoco:
Egreggio Signore
Per tutto adesso mandami i carboni perché tu non ciai spese nessuna carta di 5 lire perciò mandali chè meglio, se tu fai il strafottente mando a chiamare i carabinieri e poi ti faccio vedere se non mi mandi i carboni. io mi ho gia fittato la casa percio tu non ai piu che fare con me. Stai con tua madre che ti assista meglio di me, tu ti sei inteso arrabbiare che sono andata da zia Raffaela mi dispiacia che ho terminato il lavoro che doveva fare se no per tuo dispetto ciandava unaltra volta oggi, che tu non sei nessuno patrone su di me. Finisco per non darti tanta confidenza. Ida
Stefano è sempre più fuori di sé. Pensa che le parole scritte da Ida siano state ispirate dai suoi genitori ed è a loro che scrive un biglietto altrettanto infuocato:
Egregi Signori
Per mezzo di questa ripeto che non ancora la volete finire, sia per vostra norma e la prima, per meglio dire l’ultima volta, perché io non sono quel che voi credete.
Anzitutto io con aver sposato vostra figlia ho accontentato il vostro desiderio o meglio aver pagato tutto il male chio avessi fatto per altrettanto voi dovete anche mettervi in testa che la responsabbilità dalla quale è addonata a me percui a tutti i dolori di testa che può avere sono io responsabbile sia per onore e sia per dissonore su di me, meglio che ve lo dico, non devono esserci soprastanti, sia se mangio e sia se non mangio il vostro dovere da buoni genitori è proprio quello di pensare ai propri fatti invece di insinuare che questo non significa altro che strafottenza e non curanza a cui potete farne ammeno, qua non trattate con nessun morto di fame come voi credete.
Da quando Stefano se ne è andato sono passati ormai cinque giorni e per non far restare da sola Ida, i suoi genitori hanno mandato da lei la sorellina Giulia di 10 anni. È il pomeriggio di venerdì 25 agosto 1915 e l’avemaria è appena suonata. Giulia è andata a salutare i genitori; Ida è da sola in casa col bambino e se ne sta seduta sulla soglia del balcone dove si muove un po’ d’aria. Sente girare la chiave nella serratura e immagina subito che possa essere il marito che, calmatosi, è ritornato a casa. Presa da questa speranza, col bambino in braccio gli si avvicina per abbracciarlo, nonostante tutto lo ama come prima, ma si sbaglia. Cominciano subito a litigare ma non volano botte questa volta. Tacciono tutti e due e Stefano si siede sulla sua sedia mentre Ida si siede di fronte a lui su di una cassa di legno.
Bussano alla porta, Stefano va ad aprire e si trova davanti Giulia. Ida si affretta a dirle di andare a comprare dell’olio di ricino per il bambino e la manda via, seppure per pochissimi minuti. Quando Giulia torna trova la stessa scena di prima, con quella calma e quel silenzio irreali che le fanno quasi paura.
– Prenditi un po’ in braccio Battista e portalo sul balcone, forse lì si addormenta… – le ordina Ida e Giulia ubbidisce.
La detonazione la fa sussultare e Battista comincia a piangere. Istintivamente Giulia si gira verso l’interno della stanza dove c’è del fumo. No, quel colpo non può venire da dentro, sicuramente qualcuno ha sparato per strada e si guarda intorno ma non vede nessuno. Incerta guarda di nuovo dentro e vede Ida che barcollando si affaccia al balcone e fa per dire qualcosa. Le sembra che dalla bocca della sorella esca la parola “aiuto” ma non ne è certa, però è sicura che Ida sta facendo dei gesti con una mano come per richiamare l’attenzione di un paio di persone che stanno spuntando da un vicolo, poi vede Stefano prendere per un braccio Ida e tirarla dentro puntandole contro una rivoltella e sparandole un colpo a bruciapelo nella pancia. Ida si affloscia a terra senza un lamento, come un palloncino sgonfio. Poi un altro colpo. Ma Giulia non sa se Ida sia stata colpita un’altra volta perché si ritrova sul balcone, col nipotino in braccio, a chiedere aiuto con quanto fiato ha in gola.
Quando si gira per guardare dentro la stanza vede Stefano che sta saltando da una finestrella. Poi non vede più niente.
Ida muore colpita da tre proiettili al collo, a un fianco e l’ultimo, quello letale, al petto.
I Carabinieri arrivano in pochissimi minuti e, seguendo le indicazioni delle due persone che erano in strada, si mettono all’inseguimento di Stefano. Lo raggiungono nel bosco detto Macchia di Santa Caterina, a più di otto chilometri dal paese ed è ormai notte. Stefano butta la rivoltella e si fa mettere i ferri ai polsi.
Arrivati in paese, i Carabinieri devono faticare non poco per evitare che la gente gli levi il prigioniero dalle mani per linciarlo e quando il Pretore la notte stessa lo interroga, Stefano rilascia dichiarazioni che fanno infuriare il Brigadiere De Bellis:
– Dopo che ci siamo sposati è diventata una belva e non ubbidiva mai a quello che le dicevo e ogni volta mi diceva che dovevo andarmene di casa e così sono stato costretto a fare. Suo padre e sua madre non mi hanno mai potuto sopportare e la istigavano a cacciarmi dicendole: Lascialo che pensiamo noi per te. A mia madre l’ha chiamata in tutti i modi ma io per quieto vivere ho sempre lasciato correre. Oggi pomeriggio sono tornato a casa con l’intenzione di fare pace ma la trovai nient’altro che una tigre. Le ho detto: Ida, perché stai così arrabbiata? Cosa ti ho fatto? E lei mi ha risposto: Meglio che te ne vai da tua madre che qua non hai cosa fare con me, non hai cosa dividere. Mi spingeva per farmi uscire e io sono stato costretto ad aprire il tiretto, prendere la rivoltella e spararle, altrimenti questo servizio l’avrebbe fatto a me. Io non mi sono nemmeno curato del fatto che mia moglie si fosse sgravata solo dopo quattro mesi dalla nostra fuga e solo dopo mi sono messo a pensare che potesse essere già stata deflorata, ma tutto questo me lo sono tenuto per me e non l’ho mai nemmeno rinfacciato a lei.
È ovviamente una versione che non regge perché tutti, Carabinieri e Pretore compresi, sanno qual è la verità dei fatti e cioè che lui l’ha sempre riempita di botte senza pietà e senza alcun motivo ed ha già provato ad ammazzarla appena pochi giorni prima. Sta solo cercando un modo per attenuare le proprie responsabilità.
La Procura del re chiede che Balsano sia rinviato a giudizio, ma l’avvocato difensore Samuele Tocci avanza il dubbio che l’imputato non sia sano di mente per i precedenti familiari: il padre morto suicida senza apparente motivo; uno zio paterno morto pazzo e uno zio materno demente. In più Tocci evidenzia alcune lacune nell’istruttoria circa i rapporti della povera Ida col precedente fidanzato e circa la possibilità o meno di rapporti sessuali avvenuti tra Ida e Stefano prima della fuitina. La Sezione d’Accusa gli da ragione invitando la Procura a espletare una più ampia istruttoria e conferire le funzioni di giudice istruttore al consigliere avv. Ranieri, il quale dovrà anche accertare se il padre dell’assassino fosse un alcolizzato già prima della nascita del figlio e i motivi che lo spinsero al suicidio; solo dopo si potrà, eventualmente, procedere a sottoporre l’imputato a perizia psichiatrica. Un colpo durissimo per i magistrati del Tribunale di Cosenza, ma Ranieri, fatte nuove indagini, conferma che Ida non ebbe rapporti sessuali con il precedente fidanzato ma che, come è noto a tutti, approfittando delle assenze dei genitori si incontrava nella casa paterna con Stefano ben prima della loro fuitina, cioè dal mese di luglio 1914. Ranieri è in grado anche di accertare che il padre dell’imputato era alcolizzato ben prima che il figlio nascesse e che quindi i motivi per ritenerlo insano di mente sussistono e chiede il ricovero di Stefano in un manicomio giudiziario, quello di Aversa. È il 20 gennaio 1916.
I dottori Filippo Saporito e Antonio Dell’Erba, dopo aver descritto le anomalie fisiche di Stefano (ipertricosi, viso lievemente asimmetrico con sviluppo sproporzionato rispetto a quello del cranio, orecchie lunghe e asimmetriche con antelice sporgente sull’elice – orecchio di Wildermuth – con il lobulo sessile ed il tubercolo di Darwin evidente, il palato alto con un lieve grado di progeneismo labiale, la mandibola inferiore stretta e lo spazio interdigitale tra l’alluce ed il primo dito del piede destro molto largo), lo descrivono come corretto, ordinato nel contegno, nel comportamento e nel vestire, umile e dimesso e perfettamente conscio della propria penosa situazione. Lo sguardo è sempre fisso in terra e sfugge quello dell’osservatore, la parola è sommessa, i gesti brevi, l’atteggiamento raccolto; tutto denota in lui una statica dolorosa della psiche. Ciò che maggiormente lo afflige è il controllo tra le reminiscenze dei primi tre mesi di vita coniugale, trascorsi in pace e felicità, e il triste presente il quale gli fa presentire un avvenire più triste ancora di privazioni e di sofferenze di una lunga condanna. Essendo perfettamente conscio della gravità del proprio delitto non si fa alcuna illusione sulla sua sorte.
Stefano, però, continua a dirsi certo del tradimento di sua moglie e di aver agito per onore. I periti non possono accontentarsi di semplici parole e osservano  che in una indagine psichiatrica, od anche semplicemente psicologica, non sono le affermazioni che possono decidere di si gravi situazioni, bensì occorre che taluni fatti si affermino in tutta la loro essenza come realtà psicologiche tangibili e palpabili e così, nel corso degli interrogatori peritali e delle contestazioni che a noi è toccato fargli, ha finito col confessare che il suo primo contatto carnale con la Ida avvenne nel Luglio, siccome nell’istruttoria fu intravisto.
Nessuna gelosia, nessun onore da difendere, Stefano sa benissimo che Battista è suo figlio. Il problema sta, secondo i periti, nella difficoltà di Stefano ad accettare le necessità e gli accomodamenti che la vita coniugale richiede. Per lui sarebbe stato necessario una compagna remissiva, docile, che ne avesse compresi i bisogni e le debolezze, avesse cercato di secondarlo, di prevenirlo, modellandosi, magari, sulle sue asprezze e sulle sue manchevolezze; s’imbattè, invece, in un tipo per nulla disposto a capitolazioni o a rinuncie della propria personalità a vantaggio di quella del marito; e tutto si infranse ed in modo irreparabile al primo urto. Grande importanza i periti attribuiscono alle parole e alla forma usate da Ida nel biglietto che scrisse a Stefano: volgare ed ingiuriosa era la forma di cui ella credette di servirsi e più ancora colpisce il fatto che ella abbia voluto cogliere l’occasione per consacrare solennemente affermazioni che formano derisione, dispetto, malanimo, ribellione al marito, in una parola tutto un naufragio della vita e dei doveri coniugali, che non potette lasciare indifferente il Balsano, il cui animo era già tanto saturo di collera foriera d’ira.
Ma i periti ammettono che il loro giudizio sul biglietto esula dal compito loro assegnato e che il solo giudizio che gli compete è lo stato di salute psichica dell’imputato e la risposta che danno non ammette repliche:
Balsano Stefano, al momento in cui commise i reati addebitatigli, non si trovava in tale stato di mente da togliergli in tutto o in parte la coscienza o la libertà delle sue azioni.
Sono passati esattamente sette mesi da quando Stefano è entrato nel manicomio giudiziario di Aversa e adesso ne esce per tornare nel carcere di Cosenza dove, il 10 novembre 1916, pretendendo di essere trasferito dalla camerata N° 3 alla N° 10, si ribella energicamente alle disposizioni del Direttore tanto che si durò fatica di tradurlo con la forza ed assicurarlo sul letto di sicurezza, scrive il Capoguardia Mazzocca nel suo rapporto. Dopo due giorni, continua Mazzocca, mentre si stava liberando dalle fasce il Balsano, questi si esaltava. Alla mia domanda se avesse desistito dal proposito di rifiutarsi assolutamente agli ordini impostigli, rispondeva che a nessun costo si sarebbe sottomesso ad andare alla sua stanza o in altre che non fosse quella del N° 10.
Mazzocca decide di slegargli i polsi, lasciandolo legato solo per i piedi in modo che egli potesse stare seduto e soddisfare a tutti i suoi bisogni. Sarebbe stato imprudente, nello stato di eccitazione in cui il detenuto era ritornato, di liberarlo anche dai piedi perché ci avrebbe costretto a rimetterlo a viva forza sul letto di sicurezza. Non ho mandato a chiamare il medico perché egli ha fatto sapere che trovasi in casa affetto da indisposizione fisica.
Ma quando il dottor Rodi, sanitario del carcere, rientra al suo posto il giorno dopo ha non poche osservazioni da fare sul caso:
In data 11 corrente riscontrai che il detenuto Balsano Stefano, assicurato al letto di forza fin dal giorno precedente, era calmo completamente. E poiché una così rigorosa misura disciplinare non aveva più ragione di essere mantenuta e il detenuto per l’accelerazione del polso (gli feci anche applicare il termometro poiché credevo avesse la febbre) e l’accensione del viso mi dava a temere di un qualche fenomeno congestivo cerebrale, causato dalla posizione e dal momento emotivo, proponevo alla S.V.I. che venisse sciolto; ed intanto giacché il detenuto proveniva da un manicomio, proponevo ancora che venisse isolato e sorvegliato da due guardamatti. Oggi trovo ancora sul letto di forza il detenuto, senza che egli abbia avuto alcun raptus maniacale o che si sia reso pericoloso per sé o per gli altri. È invece pallidissimo in viso, debolissimo nei polsi e per tutta la giornata di ieri ha rifiutato ogni cibo. E poiché la continuazione di tale misura repressiva, a mio avviso di medico, oggi come l’altro giorno, non giustificata dalle condizioni psichiche del detenuto potrebbe essere causa di qualche vero accesso maniaco, ritorno a proporre alla S.V.I. di voler far slegare completamente il detenuto ed intendo farlo isolare e sorvegliare da due guardamatti sino a quando la nostra diuturna osservazione clinica non ci metta in chiaro nelle sue condizioni psichiche.
Stefano viene così isolato e rinchiuso nella cella numero 15 in attesa che il processo venga celebrato e ci vorrà il 20 marzo 1918 per arrivare alla sentenza della Corte d’Assise di Cosenza: colpevole del reato di omicidio volontario. La giuria riconosce che l’imputato non si trovava nel momento di commettere il reato in stato di infermità mentale tale da togliergli la coscienza o la libertà dei propri atti o da scemarne grandemente l’imputabilità penale.
Stefano Balsano è sano di mente e, concesse le attenuanti generiche, la giuria lo condanna alla reclusione per anni quindici e mesi quattro con le conseguenze.[1]

 

[1] ASCS, Processi Penali.

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