IL BOSCO DELL’ONORE PERDUTO

– Filomè, vedi che Nicola Basile va dicendo in giro che ti deve prendere di mano nel bosco – dicono a Filomena De Lia i tre operai che lavorano con lei nel bosco di Macchia della Tavola, in territorio di Bisignano.

– Avete voglia di fissiare?
– Ti dico pure le parole esatte. Ha detto: Domani non dite niente che io devo prendere di mano Filomena e se voi vi fate forte, vi ammazzo!
Filomena non sa se ridere o preoccuparsi perché Nicola Basile, trentenne di Cavallerizzo, è ritenuto da tutti un pessimo soggetto e gli sguardi dei tre colleghi sono molto eloquenti.
– Noi domani non veniamo a lavorare perché se davvero Nicola ti fa questo, noi non possiamo stare quieti e quando dobbiamo andare in carcere per questo noi non veniamo di niente a faticare.
Se voi non venite, neppure io non ci vengo – adesso è davvero preoccupata.
E a lavorare nel bosco non ci va per i tre giorni successivi, mentre i tre colleghi trovano un altro lavoro e non si presentano più.
Filomena De Lia, nata a San Martino di Finita ma residente a Sartano, ha 34 anni nel mese di agosto del 1916 ed è ancora una bella donna, una donna che si conserva bene. È sposata, ma il marito è emigrato Allamerica e l’ha lasciata con due figli senza dare più sue notizie. Lei si è trovata un altro, Enrico Barone, che le vuole bene e la tratta come una vera moglie, facendo altri due bambini. Ma Enrico è stato richiamato alle armi e adesso sta combattendo al fronte contro gli austriaci, mentre lei è rimasta da sola con quattro figli a cui dare da mangiare. Questa storia di Nicola Basile non ci voleva proprio.
Filomena va a parlare con Sabatino Cavalcanti, datore di lavoro suo e anche di Nicola, e gli racconta il fatto.
Vieni a lavorare che per Nicola ci penso io – cerca di tranquillizzarla.
Chi la tranquillizza è invece una donna di Sartano come lei, Clementina Scigliano la quale, dopo aver ascoltato il racconto, le dice, decisa:
Vieni a lavorare con me e non ti incaricare che se Nicola ti fa una cosa e ci sono io, noi siamo due persone e non ci troviamo paura di Nicola, prendiamo una scure e gli tagliamo la testa se lui ci inquieta.
Col consenso di Cavalcanti, Filomena e Clementina vanno a lavorare insieme e Nicola non si fa vedere in giro. Poi Clementina incontra l’uomo e l’affronta a muso duro:
È vero che tu vuoi prendere di mano Filomena?
– No! Te lo giuro su mia figlia, questa cosa non la faccio a Filomena!
Tutta la storia sembra davvero sgonfiarsi, forse tutto era partito da quei tre che volevano cambiare aria e non sapevano come dirlo a Cavalcanti. Il comportamento di Nicola è davvero irreprensibile!
Poi altri due paesani fermano Filomena e le dicono che Nicola li ha incontrati e ha detto loro che davvero, un giorno o l’altro, l’avrebbe presa di mano nel bosco e la paura torna a farsi sentire.
– Gli ho detto che non si permettesse di toccarti ché quando torna Ricuzzu dalla guerra l’ammazza! Lui mi ha guardato e ridendo ha detto: “Voi non ve ne incaricate!” E lo sai qual è il bello? Mi ha mandato a dire per Eugenio Trombino che mi devo stare zitto se no mi aspetta di sera e mi taglia la testa con una scure! Ma io non mi spagnu! Tu però guardati, Filomè – le raccomanda Bruno Salerno.
Filomena, sconcertata, non si presenta più al lavoro nel bosco e si mette a fare dell’altro, sempre per conto di Sabatino Cavalcanti. Dopo qualche giorno però il padrone la manda a chiamare e le ordina di sostituire Clementina Scigliano che non può lavorare.
– Vai col carro nel bosco a caricare la legna, con te viene Giuseppe Bellotti.
– Ma…
– Filomè, mò basta! Vai e stai tranquilla che non succede niente!
 Così, alle 6,00 di mattina dell’11 agosto 1916, Filomena e il sedicenne Giuseppe salgono sul carro e vanno nel bosco di Macchia della Tavola.
Verso le 9,30 il primo carico è pronto e Giuseppe parte col carro verso la stazione ferroviaria di Mongrassano, dove la legna dovrà essere caricata su un vagone. Filomena resta da sola e comincia ad accatastare altra legna per il secondo carico.
Alla stazione Nicola Basile sta provvedendo, insieme ad altri operai, a scaricare i carri carichi di legname e a caricarli sul vagone. Sa che Filomena quella mattina è andata a lavorare e lo sguardo gli si accende quando vede il carro guidato da Giuseppe avvicinarsi. È da solo e questo vuol dire che anche la donna è da sola nel bosco. Decide in un attimo di sfruttare la situazione: in dieci minuti a passo svelto arriverà sul luogo e potrà finalmente fare quello che ha in mente. Senza avvisare nessuno lascia il suo posto e si addentra tra gli alberi. Non passano che pochissimi minuti e gli altri operai, infastiditi dal maggior carico di lavoro che devono sopportare per l’assenza di Nicola, avvisano Cavalcanti il quale, bestemmiando, sostituisce personalmente l’assente, ripromettendosi di fare i conti con lui più tardi.
Filomena si sta asciugando il sudore della fronte quando vede spuntare da dietro alcuni arbusti Nicola. Ha paura ma cerca di non mostrarlo.
– Che sei venuto a fare? – gli chiede in tono duro.
Mi manda Sabatino per aiutare a caricare… – la luce sinistra nei suoi occhi conferma a Filomena che è una menzogna. Nicola si avvicina e cambiando improvvisamente tono e discorso palesa il vero scopo della sua visita – Ah per la madonna! Ora che siamo soli non mi dirai di no!
Filomena cerca di salvarsi l’onore e cerca di temporeggiare:
– Nicò, ti accontenterò, un’altra volta però… ora può arrivare Giuseppe col carro…
Ora deve essere! – lui sa che Filomena non lo accontenterà mai ed è deciso a tutto.
Filomena sa che difficilmente Nicola si lascerà convincere a desistere e sa che a un paio di centinaia di metri da lei stanno lavorando altri operai, così fa un altro tentativo:
– Va bene, ma qui è troppo aperto… scendiamo più sotto dove il bosco è più fitto…
Nicola capisce che anche quello è un diversivo e non perde più tempo; si butta addosso alla donna, che resiste con tutte le sue forze, e comincia una violenta colluttazione, con i due che finiscono a terra. Filomena sa che non potrà resistere a lungo perché lui è troppo più forte e così comincia a urlare a squarciagola per richiamare l’attenzione degli altri operai:
Umile! Luigi! – in effetti i due sentono i loro nomi urlati cinque o sei volte, ma siccome Filomena è solita chiamarli per avvisarli della sua presenza nel bosco, si limitano a rispondere con degli ooooh…!
Nicola, che ormai le è sopra, con una mano le serra la gola per impedirle di urlare ancora, mentre con l’altra si sbottona i calzoni. Filomena, nonostante respiri a fatica, si difende ancora come la forza della disperazione e, incrociando i piedi, tiene serrate le gambe, impedendo a Nicola di entrarle dentro. L’uomo adesso deve prendere una decisione: lasciare la gola della donna, che ricomincerà a urlare e questa volta sicuramente accorrerà qualcuno, per allargarle le gambe con tutte e due le mani, o accontentarsi di un piacere parziale strusciandosi sulle sue cosce? La decisione è facile da prendere perché l’eccitazione gli gioca un brutto scherzo e mentre pensa, eiacula sulle gambe di Filomena, poi le si abbandona addosso, cava un fazzoletto tutto lacero dalla tasca e la ripulisce. Quando si rialza vede la sua camicia strappata:
– Adesso le la ricuci se no sono guai perché non posso tornare da mia moglie conciato così! – Filomena, che ha con sé un po’ di filo bianco e un ago, ubbidisce per evitare altri guai e non appena ha finito arriva Giuseppe col carro vuoto da ricaricare. Lei non dice una parola, ma comincia a covare contro di costui un odio terribile per l’oltraggio subito. In tre non ci vuole molto per caricare il carro e poi tutti insieme si avviano verso la stazione di Mongrassano. Ormai sono a poche decine di metri dal piazzale e a Filomena, tutta intenta a escogitare un mezzo per vendicarsi, viene un’idea:
– Vai da Sabatino a prendermi una scure che mi serve per fare altra legna – dice a Nicola, mentre pensa: “Con quella scure l’ucciderò!”
Luigi Calasso, il guardiano del deposito di Cavalcanti, si avvicina al carro mentre Nicola sta smontando per dirigersi al deposito, vedendola pensierosa e turbata, le chiede cosa abbia e Fortunata, che ovviamente non può rivelargli le sue intenzioni, gli risponde:
La mala sventura mia!
Nicola, sorridendo, aggiunge.
Ha posato un piede in fallo e s’è fatta male… – poi si allontana.
Filomena e Giuseppe aspettano che Nicola torni, ma attendono inutilmente per qualche minuto e poi decidono di andare al piazzale per scaricare la legna. L’uomo è già lì e sta spostando un carro per consentire a un treno merci di manovrare. “Ora l’uccido qui”, pensa mentre va a prendersi la scure da sola. Quando torna Nicola è attorniato da alcuni operai e Filomena desiste dal suo terribile proposito e torna al suo lavoro nel bosco, portandosi dietro la scure.
Giuseppe e Filomena lavorano alacremente, quando si presenta di nuovo Nicola e alla donna sale di nuovo il sangue alla testa. Vorrebbe ammazzarlo lì ma c’è Giuseppe. Potrebbe farlo allontanare con una scusa ma ha paura a restar sola con lui nel bosco perché, essendo costui giovane e robustissimo, avrebbe potuto pigliare il sopravvento e farle molto male. Anche questa volta lascia perdere. Fatto il carico, i tre si avviano di nuovo verso la stazione e Nicola fa di tutto perché Filomena resti da sola con lui ma non ci riesce. Lungo la strada incontrano di nuovo Calasso, il quale ordina ai tre di tornare indietro e di fermarsi alla fontana pubblica del Vallone Galice per fare un carico lì. La donna elabora in pochi secondi un nuovo piano:
– Nicò, vai a comprare nu milune che ti aspettiamo alla fontana e ce lo mangiamo insieme – a Nicola non sembra vero che Filomena abbia cambiato atteggiamento nei suoi confronti e corre sul carro con Giuseppe a comprare il cocomero, mentre la donna e il guardiano si avviano verso la fontana e aspettano il ritorno dei due.
Dopo una decina di minuti il carro si ferma sullo spiazzo accanto alla fontana.
– Questo si che si chiama milune! – esclama Nicola facendo suonare il cocomero col palmo della mano.
Il custode si siede accanto alla fontana, mentre gli altri tre si allontanano di una decina di passi per sedersi all’ombra degli alberi. Giuseppe si stende a terra, Nicola si siede su di un masso e tira fuori il coltello per affettare il cocomero, pregustando non tanto la dolcezza del frutto, quanto la dolcezza della carne di Filomena, la quale, da parte sua, passeggia con noncuranza tenendo l’enorme scure in mano e facendo dei giri intorno alla compagnia. Poi, quando Nicola affonda il coltello nel cocomero, gli gira alle spalle, alza la scure sulla testa e lo colpisce alla nuca con tutta la forza che l’odio terribile le ha dato, sfogando in tal modo il veleno che aveva nel cuore.
Il cocomero, sfuggito alla presa, cade a terra frantumandosi in mille pezzi, come le ossa cervicali di Nicola, che ruzzola lungo il pendio morto stecchito con la testa quasi del tutto recisa dal collo.
Giuseppe si mette a urlare inorridito:
Madonna! Madonna! – poi scappa nel bosco, mentre il guardiano rimane come istupidito alla orribile vista della testa girata in modo innaturale e del sangue che zampilla a intermittenza dalle arterie cervicali recise.
Anche Filomena urla, non di terrore, ma soddisfatta:
– L’ho ammazzato! Mi ha fregato a forza nel bosco ed io ho fregato lui nello stesso bosco! – poi va alla fontana, lava accuratamente la scure e quindi si avvia a piedi verso la stazione di Mongrassano dove si costituisce nelle mani dell’unica autorità pubblica presente sul posto: il Capostazione Antonio Capuozzo.
Omicidio premeditato è l’accusa con la quale viene rinviata a giudizio il 31 gennaio 1917.
Il 21 febbraio 1918 la Corte d’Assise di Cosenza la condanna a cinque anni di reclusione, escludendo la premeditazione e riconoscendole le attenuanti per avere agito in seguito a una grave provocazione.[1]


[1] ASCS, Processi Penali.

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