– Celestì, sbrigati che dobbiamo andare a raccogliere castagne – dice il cinquantaduenne Tommaso Gallo a Celestina Dell’Amore, undicenne trovatella, data in affidamento a sua moglie Felicia Servino.
– No… non ci voglio venire…
– Sbrigati, ti ho detto, sbrigati perlamadonna e non farmi incazzare!
– No! Non ci vengo! – protesta la bambina cominciando a piangere.
– Ti ha detto che non vuole venire, lasciala stare a casa! – si intromette Felicia.
Il battibecco continua per qualche minuto, poi Tommaso si avvia da solo sbattendo la porta, mentre Celestina piange rannicchiata in un angolo.
Felicia, con tono suadente, consola la bambina e le chiede il perché del suo rifiuto:
– È dal mese di giugno che fa cose sporche con me…
– Che cosa? – fa, incredula, Felicia.
– Si – continua la bambina asciugandosi gli occhi col dorso della mano – la prima volta mi ha preso all’improvviso e mi ha buttato in mezzo ad alcuni cespugli… io ho gridato, ho tirato calci, ma lui lo ha fatto. Se lo dici a tua madre vi ammazzo tutte e due, così mi ha detto mentre si aggiustava i calzoni. Io… io ho avuto paura per noi e non ti ho detto niente… poi lo ha fatto un’altra decina di volte – continua nascondendosi il visino tra le mani – e stamattina lo avrebbe fatto di nuovo, perché io ormai so quando vuole fare quelle cose… scusami… adesso ci ucciderà… scusami ma io non ce la faccio più…
Felicia la abbraccia teneramente accarezzandole i capelli arruffati.
– Stai tranquilla bambina mia, stai tranquilla, nessuno ci ucciderà, adesso lo so e se la dovrà vedere con me.
– No! No mamma, ti prego, io lo so che ci ucciderà, non dirgli niente… non voglio che faccia del male a te, io ormai…
– Smettila, sciocchina, ci sono io e me la vedrò io con lui…
Poi si stringono in un abbraccio infinito, mentre Felicia si morde il labbro sentendosi colpevole per non aver saputo vedere, capire, ciò che stava accadendo accanto a lei.
Tommaso Gallo e sua moglie Felicia Servino sono di Rogliano ma hanno quasi sempre abitato a Motta Santa Lucia, poi ai primi del 1915 si sono trasferiti in contrada Cerbaro di Pedivigliano dove Tommaso ha preso in colonia un fondo di proprietà dei signori Mastroianni e Barberio. Celestina, invece, è stata abbandonata a Nocera Terinese il 24 aprile 1905 davanti la casa di Rosaria Vaccaro. Poi, su disposizione di quel Sindaco, è stata portata al brefotrofio di Nicastro, dove Felicia l’ha presa in affidamento non appena svezzata e l’ha amata come una figlia, la figlia che non aveva avuto. Adesso la donna sente su di sé il peso di quegli orribili e ignobili atti compiuti da suo marito sulla bambina.
Tommaso torna a casa prima del tramonto, è il 2 novembre 1916, e trova Celestina seduta ai piedi del camino che non lo guarda nemmeno, mentre Felicia lo sta aspettando con i pugni chiusi poggiati sul tavolino, dove ha già sistemato i tre piatti per la cena:
– Ma non ti vergogni a tornare a casa dopo quello che hai fatto? Quella è una bambina – urla indicando Celestina – e tu sei solo un animale! Non permetterti mai più di toccarla, non devi nemmeno più guardarla con i tuoi occhi di porco!
– Stai attenta a come parli, donna, che ce ne sono pure per te. Se stamattina lei non è venuta con me è colpa tua, finora non si è mai ribellata, adesso ti sei messa in mezzo e quella mi si è rivoltata contro. A me! A me che le ho dato il pane, se no a quest’ora era già sotto terra da un pezzo! E, visto che ci troviamo nel discorso, ti dico due cose: se esce qualcosa da questa casa vi ammazzo e visto che ti sei messa in mezzo alle mie cose, per dispetto me la fotto davanti a te perché ormai mi sono abituato a lei e non posso farne a meno!
Felicia vorrebbe fare qualcosa, vorrebbe lanciarglisi addosso ma è come paralizzata. La luce sinistra nello sguardo del marito vale più di qualsiasi altra parola. L’atmosfera in casa si è fatta cupa e nessuno ha voglia di mangiare. Felicia e Celestina si coricano, come al solito, insieme in un lettino, Tommaso da solo in un altro letto.
Adesso è notte fonda e Tommaso è preso di nuovo dalla sua smania, in più ha bisogno di dimostrare alla moglie che è lui il padrone e può fare quello che vuole. Si alza, accende un lumino, si spoglia e si avvicina al letto dove le due donne hanno, faticosamente, preso sonno. Con uno strattone toglie loro le coperte di dosso e si butta sopra la bambina che comincia a urlare. Anche Felicia urla al marito di fermarsi e comincia a tempestarlo di pugni sulle spalle ma Tommaso è più forte e sembra non sentire i colpi mentre afferra le cosce della bambina per allargarle. Lei si oppone con tutta la forza che ha e le unghie di Tommaso le lacerano la pelle delle gambe; Felicia lo colpisce in viso; Tommaso le molla un tremendo manrovescio facendola sbattere contro il muro e poi, approfittando del momento, divarica le gambe di Celestina, che urla a più non posso, e la violenta sotto gli occhi impietriti di Felicia.
– Statevi zitte che sentono i vicini e mi fanno fare dieci anni di galera – sono le sole parole che pronuncia prima di rimettersi a letto.
Felicia tiene stretta la bambina che non urla e non piange più, la accarezza amorevolmente pensando al da farsi mentre guarda il marito ronfare. “È finita… domani, domani facciamo i conti… adesso dormi bambina mia” pensa.
Ma si sbaglia. Il sonno di Tommaso non dura più di un’ora. Quando si sveglia guarda le due donne e sente che la sua voglia è ancora intatta. Si alza e ripete la stessa scena di prima, violentando di nuovo Celestina, ormai un pupazzo nelle sue mani. Nemmeno Felicia è in grado di ribellarsi per quel coltello che il marito tiene in mano mentre si spinge dentro alla bambina.
Poi tutto finisce e finisce anche quella orribile notte. Alle prime luci dell’alba Tommaso si riveste con un’aria compiaciuta, soddisfatto di avere dimostrato una volta per tutte che in quella casa si fa ciò che lui vuole. Poi apre la porta per uscire a lavorare nei campi e rivolge alla moglie la sua tremenda raccomandazione:
– Mi raccomando, silenzio, perché se mi devo fare il carcere, me lo faccio bene – termina passandosi l’indice sulla gola per rafforzare la minaccia.
Felicia guarda il marito allontanarsi, poi prende la bambina e va da una vicina di casa a raccontarle tutto tra le lacrime.
– Vai dal sindaco a denunciarlo.
Le sembra la decisione più saggia e così fa. Francesco Angotti, il Sindaco di Pedivigliano, non perde tempo e manda un telegramma urgente ai Carabinieri di Scigliano, che non impiegano molto a raggiungerlo in Municipio, dove ci sono ancora Felicia e la bambina.
– Maresciallo, questo è un caso molto particolare. Vi chiedo di usare la massima circospezione nel procedere contro Gallo perché ha minacciato di morte queste due povere disgraziate e ho fondati motivi per credere che è in grado di mettere in pratica il suo proposito se si venisse a sapere che è stato denunciato – il tono del Sindaco è grave e il Maresciallo Achille Mannini annuisce guardando la bambina rannicchiata tra le braccia di Felicia.
– Tornate a casa tranquille, non avrete più nulla da temere – le rassicura accarezzando la testa di Celestina.
– Ma… quello ci ammazza…
– Non temete, comportatevi come se nulla fosse, a lui ci pensiamo noi.
Felicia e la bambina arrivano a casa prima che Tommaso torni dal lavoro e seguono alla lettera il consiglio del Maresciallo, il quale ha già elaborato un piano per catturare l’orco senza che abbia la possibilità di torcere un capello alle donne, ma l’operazione deve essere spostata al giorno seguente per non mettere in allarme Tommaso.
È la notte tra il 3 e il 4 novembre 1916 e nella casa della famiglia Gallo tutto sembra tranquillo, anche se l’atmosfera è sempre cupa, come se una tempesta dovesse scatenarsi da un momento all’altro. Felicia e la bambina, seguendo il consiglio del Maresciallo, non fanno niente che possa fare innervosire Tommaso il quale, da parte sua, non rivolge alle due nessuna attenzione. Quando si mettono a letto, Felicia accarezza con una mano la bambina per tranquillizzarla, ma, per rassicurare sé stessa, con l’altra accarezza il coltello che ha nascosto tra le lenzuola. Fuori, in silenzio, i Carabinieri aspettano il sorgere del sole.
La porta della casa si apre e Tommaso, stiracchiandosi, respira l’aria del mattino a pieni polmoni, poi si mette il berretto in testa e gli attrezzi da lavoro su una spalla ed esce, incamminandosi verso i campi.
Alle ore 6, nel fondo Cerbaro, tenore di Pedivigliano, quando l’orco non farebbe più in tempo a voltarsi e rientrare in casa, riecheggia la voce stentorea del Maresciallo Mannini:
– Tommaso Gallo, in nome della Legge vi dichiaro in arresto!
L’uomo è sorpreso, ha un attimo di esitazione ma poi tenta una disperata, inutile fuga. Due Carabinieri, più giovani e veloci di lui, lo bloccano rotolando insieme sulla terra, poi arriva Mannini che gli mette i ferri ai polsi.
Lo portano provvisoriamente nel Municipio dove lo chiudono in una stanza, in attesa che arrivi la disposizione del Giudice Istruttore che deve trasformare l’arresto provvisorio per misura di Pubblica Sicurezza in mandato di cattura per violenza carnale in persona di un minore di 12 anni, con abuso di relazioni domestiche essendo la minorenne affidata alle sue cure, con continuazione anche in luogo esposto al pubblico.
Nel frattempo, il Pretore di Scigliano interroga l’uomo:
– Nel 15 agosto ultimo io caddi presso la torre colonica nel fondo Cerbaro e rimasi ferito alla testa, ed in seguito a ciò il mio cervello è rimasto quasi sconvolto e quantunque abbia continuato a lavorare, non so che cosa ho fatto. Dopo tale epoca, poiché la suddetta Celestina veniva sempre con me in campagna per ragione di lavoro, fui assalito dal desiderio di possederla e mi sono unito carnalmente con lei in aperta campagna nel fondo Cerbaro, nascosti tra i cespugli. La Celestina non oppose alcuna resistenza ed in seguito abbiamo continuato per altre poche volte. Io è vero che imposi alla Celestina di non far verbo con alcuno, specialmente con mia moglie, ma non ricordo se l’avessi minacciata di morte se avesse parlato. Certo è che fino a quattro o cinque giorni dietro la ragazza nulla ha detto. Quattro o cinque giorni dietro, io invitai la Celestina a recarsi con me in campagna per raccogliere castagne ma essa non volle venire e si mise a piangere e così andai solo. Durante la mia assenza forse essa disse qualche cosa a mia moglie e la sera, quando rientrai, questa mi rimproverò ed io, infuriato e sempre per la ragione che il mio cervello non è tanto a posto, mi adirai contro di lei e la minacciai di non pronunziare alcuna parola. Non ricordo se le dissi ancora che mi sarei unito alla Celestina alla presenza di lei. Io dormo nella torre colonica in un lettuccio accanto ad un altro ove dormono insieme mia moglie e la Celestina. Ed in quella sera, dal due al tre Novembre corrente, ci coricammo come al solito e nella notte ebbi desiderio di soddisfare i miei bisogni carnali e passai nell’altro letto con l’intenzione di unirmi con mia moglie ma passato nel letto mi trovai vicino alla Celestina e mi unii con lei, quantunque mia moglie vi si opponesse ed anche la ragazza. Non è vero che dopo un’altra ora sia ritornato nello stesso letto e mi sia unito nuovamente con la ragazza. Io, come avanti ho detto, incominciai a possedere la Celestina dopo del 15 Agosto e non dal Giugno, com’essa ha detto. E ciò è avvenuto per aberrazione date le mie condizioni dopo la caduta. Non ricordo, ma non escludo, se io nella notte allorché mi unii con la Celestina nel letto insieme con mia moglie abbia detto a quest’ultima “Oramai ci sono abituato con questa ragazza e non ne posso fare a meno”.
Ha battuto la testa e non ricorda un sacco di cose, però ricorda con precisione che è caduto il 15 agosto e che ha violentato la bambina dopo quella data e non prima. Ricorda con precisione anche che Celestina non si è opposta alle sue insane voglie. Che combinazione! Ricorda solo le cose che, nella sua ottica, potrebbero attenuare la sua colpa.
I giudici non la pensano esattamente come lui e lo rinviano a giudizio. Durante il dibattimento davanti alla Corte d’Assise di Cosenza, il difensore d’ufficio Benedetto Carratelli (l’avvocato Pietro Mancini nominato in un primo momento, rinuncia all’incarico) sostiene la tesi del vizio totale di mente o quantomeno del vizio parziale, ma non viene accettata la richiesta di sottoporre l’imputato a perizia psichiatrica e la giuria lo condanna a otto anni e quattro mesi di reclusione.[1]
Celestina non dovrà più temere l’orco, anche se le sarà impossibile dimenticare l’orrore che ha vissuto.
Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta
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[1] ASCS, Processi Penali.
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