IL FATTACCIO DI ROVITO

Il sole è tramontato da più di mezz’ora quando Francesco Branca saluta  il suo compaesano Alessio Perfetti all’incrocio tra la rotabile che porta sia alla frazione Motta, da una parte, a Rovito dall’altra, e la strada che scende verso la contrada Flavetto. Branca scende verso Flavetto dove ha una cantina e Perfetti sale verso Rovito, dove abita.
Il cantiniere percorre i circa duecento metri che lo separano da un ponticello quando dalla strada in direzione di Rovito gli giunge la voce familiare di Perfetti.
Compare Ciccio, non mi accoltellare! Compare Ciccio Valente mi sta curtelliannu! Poi le detonazioni di tre colpi di pistola in rapida successione e il silenzio per alcuni secondi che sembrano ore. Poi altri due colpi. Branca è indeciso sul da farsi quando sopraggiungono due paesani che hanno sentito le stesse cose che ha sentito lui e facendosi coraggio l’un l’altro vanno a vedere cosa diavolo può essere successo. Quando, percorso quasi un mezzo chilometro, arrivano sul posto da cui pensano che siano partiti i colpi di pistola, in prossimità della chiesetta della Madonna di Loreto, non trovano nessuno ma in quel che resta del crepuscolo notano che la siepe di rovi addossata alla strada presenta i segni inequivocabili che qualcuno ci è appena caduto sopra e si avvicinano. È proprio in quel momento che sentono dei rantoli ma la luce è insufficiente per guardare in mezzo ai rovi e Branca accende un fiammifero. Sebbene fioca e tremolante la luce irradiata dalla fiammella è sufficiente per scorgere ai piedi del roveto, quasi un metro e mezzo sotto il livello della strada, i corpi di due uomini, uno dei quali sta rantolando.
Branca e gli altri due si guardano e guardano il corpo a loro più vicino per capire chi possa essere, la sagoma di un uomo sbuca da dietro il roveto e la fiammella del fiammifero lo illumina per un istante prima che scompaia nel buio, il tempo necessario perché Branca lo riconosca: è davvero Francesco Antonio Valente.
I tre uomini, già timorosi prima di arrivare sul posto, adesso hanno paura che qualcosa di male possa accadere anche a loro e così se la danno a gambe, tornando da dove sono venuti. Si fermano dopo un po’ e riordinano le idee. Branca non abita che a pochi metri e va a prendere la sua rivoltella, gli altri due si armano di bastoni e quindi, rinfrancati dalla possibilità di difendersi da potenziali aggressori, tornano sul posto insieme ad altri quattro paesani che nel frattempo hanno incontrato per strada. Per raggiungere i cadaveri non possono passare attraverso il roveto e così sono costretti a fare un largo giro. Alla luce di un pezzo di resina di pino acceso, riconoscono i corpi per quelli di Antonio Sprovieri e di Alessio Perfetti. Il primo è in posizione prona con la testa in un canale di scolo e apparentemente non presenta tracce di sangue, il secondo al contrario, a circa tre metri di distanza, ha la faccia completamente coperta dal sangue che sgorga ancora copioso da un orrendo squarcio alla gola.
Quando arrivano i Carabinieri di Celico ed esaminano meglio il cadavere di Antonio Sprovieri, che trovano in posizione supina, notano subito due fori di proiettili nel suo petto e ipotizzano che i due si siano uccisi a vicenda. Accanto al cadavere di Perfetti rinvengono una rivoltella a sei colpi col cane armato e cominciano a sorgere i primi dubbi:
– Che strano! – osserva il Brigadiere Giuseppe Castellana – come è possibile che il cane della rivoltella sia armato? Sparando in rapida successione dovrebbe essere abbassato… e poi – continua – se quello è morto con due colpi nel petto, uno dei quali a bruciapelo, come ha fatto ad ammazzare l’altro a coltellate? E anche ipotizzando il contrario i conti non tornano. E poi, dov’è il coltello usato per uccidere Perfetti?  Qui c’è stata almeno un’altra persona…
I presenti sanno che c’era un’altra persona ma preferiscono tacere, almeno per il momento. Poi qualcuno dice di aver visto Antonio Sprovieri in compagnia di Francesco Valente e i Carabinieri pensano di andarlo a trovare a casa per interrogarlo ma non lo trovano.
In questo frattempo, ormai è quasi l’alba, arriva anche il Pretore di Spezzano Sila ed è solo adesso che Francesco Branca si decide a raccontare quello che sa:
– Alessio Perfetti è venuto a farmi visita nella mia cantina e gli ho offerto un bicchiere di vino mentre chiacchieravamo. Poi, quando ha detto che tornava a casa, l’ho accompagnato da Flavetto fino all’incrocio con la carrabile e ci siamo fermati lì a parlare ancora. Mentre eravamo fermi lì sono passati, provenienti da Motta e diretti a Rovito, Francesco Valente e Antonio Spriveri. Non ci siamo scambiati nemmeno un saluto. Noi siamo rimasti a parlare per un altro quarto d’ora, poi Alessio ha preso la strada per Rovito e io quella per Flavetto. Il tempo di arrivare al ponte della frana e ho sentito prima la voce di Perfetti e poi le revolverate… di sicuro lo stavano aspettando… – poi continua col racconto e termina – accanto al corpo di Alessio Perfetti c’era la sua rivoltella…
I due paesani che erano con Branca confermano il suo racconto ma giurano di non avere né riconosciuto l’uomo che uscì da dietro la siepe, né di aver visto armi di qualsiasi genere accanto al cadavere di Perfetti. Carolina Bruno, una delle prime persone ad arrivare sul luogo dei delitti, è più precisa nel raccontare il particolare della rivoltella:
Non vidi vicino al cadavere di detto Perfetti armi di sorta. Essendo ritornata in paese dissi alla famiglia Perfetti che non avevo visto la rivoltella. Ritornata sul posto ribadii questa circostanza ma mi fu fatto notare che la rivoltella c’era ed era accanto al corpo di don Alessio.
La terribile notte del 15 ottobre 1905 è ormai passata. La mattina presto del 16, Francesco Valente si presenta al sindaco del paese, Antonio Rossi, e si confessa autore dell’omicidio di Alessio Perfetti. Portato dai Carabinieri a Celico, racconta la sua versione dei fatti:
– Ieri mi divertii in compagnia di parecchi amici nella cantina di mio nipote Giuseppe Valente e dopo aver bevuto qualche bicchiere di vino, uscii a fare una passeggiata con Antonio Sprovieri che mi portò a vedere un fondo che aveva acquistato da poco tempo. All’imbrunire ci incamminammo verso Rovito e giunti all’incrocio con la strada che porta a Flavetto vedemmo Francesco Branca e Alessio Perfetti che discorrevano fra di loro. Continuammo a camminare senza scambiarci il saluto, quando dopo pochi minuti fummo raggiunti da Alessio Perfetti il quale, con fare spavaldo, cominciò a tossire. Sprovieri, infastidito da quel modo di fare, gli disse: Don Alessio, quel giorno ti saresti meritato una schiaffeggiata, riferendosi a un diverbio sorto tra di loro il giorno della festa di San Rocco. Perfetti, risentito, rinculò vicino la siepe e passando la mano alla rivoltella che aveva alla cintola, rispose: A me dici di meritarmi degli schiaffi? Tu non sei buono! Lo Sprovieri gli si lanciò addosso, forse per trattenerlo, inerme com’era. Perfetti estrasse la rivoltella e gli sparò due colpi, uno di seguito all’altro. Vedendo ciò mi lanciai per dividerli ma quello continuò a sparare e mi ferì alla mano destra. Intanto Sprovieri era caduto sul roveto ed io, colluttando col Perfetti, che aveva sparato un altro colpo andato a vuoto, caddi insieme a lui sulla siepe e precipitammo di sotto, trascinandoci dietro anche Sprovieri. Cadendo, io rimasi sopra al Perfetti tenendolo fermo con il mio corpo e, trovato il momento propizio, temendo che potesse spararmi di nuovo e uccidermi, per difendermi estrassi un coltello dalla tasca della giacca e lo colpii, ma non mi ricordo quante volte, uccidendolo. Dopo essermi assicurato che era morto mi allontanai e stamattina, rimordendomi la coscienza, mi sono presentato…
Quante volte lo colpì lo stabilisce l’autopsia: cinque ferite da arma da punta e taglio alla mano destra, profonde fino all’osso e che hanno reciso muscoli, tendini e nervi; otto dello stesso tipo alla mano sinistra; quattro ferite sulla coscia destra; quattro tra la guancia sinistra e la regione temporale sinistra, tutte profonde fino all’osso e interessanti il tessuto muscolare; due ferite nella regione auricolare sinistra; cinque ferite profonde fino all’osso nella regione tra la guancia e la regione temporale sinistra; sei ferite leggere sul resto del viso e sul cuoio capelluto; una larghissima lesione (un’altra perizia stabilirà che per produrre questa lesione sono occorse almeno dieci coltellate) sulla parte anteriore del collo con recisione delle carotidi, delle giugulari, della trachea e dell’esofago, penetrante fino alle vertebre cervicali. In tutto quarantaquattro coltellate. Un po’ troppe per giustificare la legittima difesa, tenendo anche conto del fatto che sicuramente a Perfetti la rivoltella è caduta di mano prima di essere barbaramente colpito, in quanto è stata ritrovata senza alcuna traccia di sangue. E poi ci sono le testimonianze di Branca e degli altri due che erano con lui che hanno sentito Perfetti implorare Valente di  non colpirlo, alle quali se ne aggiungono altre di persone che abitano nelle vicinanze, che giurano di aver sentito Perfetti implorare l’aggressore di non ucciderlo.
C’è, però, ancora qualcosa che non quadra: se Branca sostiene di avere udito sei detonazioni, altri testimoni parlano di cinque e l’imputato di quattro. Ha ragione quest’ultimo perché nella rivoltella a sei colpi vengono ritrovate quattro cartucce esplose e due cariche. Come si spiega? Semplice, dicono gli inquirenti: in quella zona, specialmente di notte, ogni rumore viene ripetuto dall’eco. Poi c’è il mistero del cane della rivoltella in una posizione in cui non è possibile che sia rimasto dopo aver sparato e il fatto che molti testimoni affermano che quella rivoltella, al loro arrivo sul posto non era accanto al cadavere di Perfetti. Infine, una perizia effettuata per stabilire il tempo necessario a percorrere la distanza tra l’incrocio dove erano fermi Perfetti e Branca e da dove passarono Sprovieri e Valente e l’abitato di Rovito, dice che era impossibile che Perfetti raggiungesse gli altri due nel punto dove accadde la tragedia, a meno che Valente e Sprovieri non si fossero fermati ad attendere l’arrivo di Perfetti. In più viene accertato che Valente mente quando afferma di avere deciso di passeggiare con Sprovieri dopo aver bevuto nella cantina. Teresa Lavoratore afferma che nel pomeriggio del 15 ottobre stava seduta davanti casa quando si fermò a parlare con lei Antonio Sprovieri. Poco dopo sopraggiunse Francesco Valente il quale, mettendo una mano sulle spalle dell’amico gli disse: Vogliamo camminare?
I Carabinieri e il Pretore di Spezzano Sila si convincono che non si tratta di legittima difesa ma di omicidio volontario. Dice il Brigadiere Giuseppe Castellana:
Ricordo che fra la mano destra e la gamba destra di Perfetti ritrovammo la rivoltella che ebbi a sequestrare ed aveva il cane alzato. Ciò fece meraviglia perché se l’arma fu esplosa varie volte a fuoco continuo, il cane doveva trovarsi abbassato sul cilindro; quindi altri e non certo Perfetti aveva dovuto alzare dopo il cane e ritengo sia stato l’uccisore Valente che prima di andarsene lasciò l’arma in quel modo. Io non credetti alla versione dell’uccisione scambievole fra il Perfetti e lo Sprovieri, tanto più che sul posto non ebbi a trovare alcun coltello, e certo un’arma tagliente avrebbe dovuto trovarsi, ch’era servita allo Sprovieri per uccidere il detto Perfetti
In verità, a giustificare l’ipotesi di omicidio volontario manca un elemento fondamentale: il movente. Perché Francesco Valente avrebbe avuto interesse a uccidere Alessio Perfetti? Gli inquirenti ipotizzano che tutto debba essere ricondotto alla diversa appartenenza politica. Mentre Valente e Sprovieri erano seguaci del partito che attualmente amministra il Comune, Perfetti era del partito avverso. Le indagini stabiliscono che in occasione delle ultime elezioni amministrative tenutesi a Rovito, erano candidati in partiti opposti un fratello di Francesco Valente e il padre di Alessio Perfetti. Oltre a numerosi testimoni, anche i Carabinieri riferiscono delle parole sopra le righe pronunciate dall’una e dall’altra parte, della tensione che rischiava di degenerare da un momento all’altro e di più o meno velate minacce di ritorsione. È nel rancore covato negli ultimi due anni, tanto è il tempo trascorso dalle elezioni al giorno dell’omicidio, che va ritrovato il movente.
Le cose potrebbero ingarbugliarsi quando Luigina Arnieri va a raccontare al padre di Alessio Perfetti che la sera della strage, tornando da Lappano, ha incontrato Valente e Sprovieri che passeggiavano discutendo tra di loro e, non volendo, riuscì a carpire un dialogo: Stasera lo faccio; e l’altro: Tu non hai coraggio, ma se non hai il coraggio tu, lo farò io; e l’altro: Vedrai che lo faccio e se scommettiamo ventimila lire lo faccio. Il Cavalier Giuseppe Perfetti riferisce tutto al Pretore ma non ci sono riscontri e la cosa cade lì.
Ma i Carabinieri devono registrare anche un’altra ipotesi, sposata sia dalle famiglie dei due morti che dal resto della popolazione di Rovito, sulle modalità di esecuzione dei due omicidi. Secondo questa ricostruzione dei fatti, Francesco Valente avrebbe disarmato Alessio Perfetti e lo avrebbe accoltellato cercando di ucciderlo ma a ciò si sarebbe opposto Antonio Sprovieri, del quale in paese si riportano anche le parole che avrebbe detto per convincere Valente a lasciar perdere: Non farlo, ha un sacco di figli… Valente, quindi, temendo di aver perso l’unico testimone in grado di attestare che la morte di Perfetti era dovuta a legittima difesa e, anzi, di vedersi denunciato dall’amico, gli sparò i due colpi nel petto uccidendolo e poi avrebbe barbaramente finito Alessio Perfetti. E la ferita da arma da fuoco alla mano destra riportata dall’assassino? Si è sparato da solo dopo aver ucciso Alessio.
Questa ricostruzione se da un lato può apparire fantasiosa, dall’altro spiegherebbe la successione temporale dei colpi e spiegherebbe, soprattutto, il fatto che sul posto indicato da Valente come quello dove Sprovieri sarebbe stato colpito da Perfetti non c’è alcuna traccia di sangue, come sarebbe stato giusto aspettarsi per via della vasta emorragia provocata dalla recisione dell’aorta. Spiegherebbe anche come sia stato possibile a Francesco Valente colpire con almeno quaranta coltellate la sua vittima nonostante avesse il palmo e il mignolo della mano destra squarciati da una revolverata.
La diversa ricostruzione dei fatti provoca la reazione dei sostenitori dell’innocenza di Francesco Valente: il Sindaco Antonio Rossi rimarca i contrasti esistiti tra Alessio Perfetti e Antonio Sprovieri, ma davanti al giudice sostiene che non sono stati la causa della presunta lite tra i due; la causa fu invece, secondo il Sindaco, il vino che tanto Sprovieri quanto il Valente Francesco avevano bevuto in quella sera del triste fatto, essendo entrambi buoni bevitori e facilmente in quella sera erano sborniati perché ho saputo che prima del fatto erano stati entrambi a bere nella bettola di Pasquale Valente, fratello di Francesco. Peccato che lo stesso Pasquale Valente, fratello dell’assassino, avesse giurato esattamente il contrario e che lo stesso Rossi avesse già giurato che Valente e Sprovieri quella sera non erano insieme. Accade anche un fatto increscioso: la figlia di Luigina Arnieri, la donna che parlò di una scommessa tra Valente e Sprovieri, viene schiaffeggiata e minacciata da Filippo Valente, uno dei fratelli di Francesco, per le rivelazioni fatte dalla madre.
Il Pretore e i Carabinieri sanno che l’ipotesi avanzata dalle famiglie delle vittime è quella giusta e  cercano di indagare ma devono arrendersi perché, scrive il Brigadiere Castellana, nessuna prova specifica ho potuto raccogliere che possa convalidare la reità del Valente per l’uccisione dello Sprovieri, mentre per il fatto della rivoltella non vi è alcun dubbio che fu messa apposta a portata di mano del Perfetti dopo compiuto il  misfatto.
Ma se non si può provare che Valente è l’autore dei due omicidi, gli inquirenti sono certi che le cose non sono andate come l’imputato vorrebbe far credere. Il Pubblico Ministero nella richiesta di rinvio a giudizio scrive:
(Rimane) la responsabilità del Valente stabilita nei sensi della imputazione ed escluso che il medesimo fosse trascinato all’eccidio dalla necessità di difendersi, chiaro essendo emerso il sentimento feroce di odio, il proposito pravo di vendetta che lo mosse e fece miserevole scempio del povero Perfetti. (…) La molteplicità delle ferite alle mani e i tagli dei vestiti mostrano chiaro che di fronte al Valente armato di un coltello formidabile e risoluto alla strage, il Perfetti lottò per oltre un quarto d’ora inerme, tanto che, fra l’altro, l’impugnatura della rivoltella di lui neppure si trovò macchiata di sangue. Ma quello che mette in evidenza il feroce proposito del Valente e che rende inane il tentativo suo di carpire la principiante della difesa legittima, si è che per lungo tempo (che alcuni testi dicono dieci minuti e più) l’infelice vittima implorò da lui salva la vita.
Il 26 maggio 1906 Francesco Antonio Valente è rinviato a giudizio per omicidio volontario e le cose per lui cominciano davvero a mettersi molto male.
Il 28 giugno 1907 la Corte d’Assise di Cosenza, concesse le attenuanti generiche, condanna l’imputato alla pena di 15 anni di reclusione e pene accessorie. La pena diventa definitiva il 16 ottobre 1907 quando la Suprema Corte di Cassazione rigetta il ricorso presentato da Valente.[1]

 

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