USANDO UNA COSA
Il 20 luglio 1896 due ragazzini stanno pascolando delle capre in contrada Molara, territorio di S. Marco Argentano. Il luogo è un bosco isolato e nelle vicinanze non c’è anima viva. Ad un tratto, Luigi Tarsitano, il più grande dei due, afferra violentemente per le spalle Domenico Bianco, il più piccolo e lo sbatte per terra.
– Lasciami, che fai?
– Cacciati i pantaloni!
– No! Non voglio! Lasciami stare! – lo implora, avendo capito quello che Luigi vuole
– Muoviti che se no ti ammazzo! Domenico continua a urlare dibattendosi per liberarsi dalla morsa, ma è piccolino e Luigi, con i suoi diciassette anni, è troppo più forte. Stremato, cede.
Luigi lo stupra. Domenico perde sangue, si ricompone e torna a casa malfermo.
– Hai capito? Silenzio– gli urla dietro, passandosi il pollice da una parte all’altra della gola per dirgli che lo avrebbe ammazzato se avesse parlato.
Domenico ha paura, si vergogna per quello che è successo, come se fosse stata colpa sua non essere riuscito a difendersi e non dice niente.
Dopo qualche giorno, però, suo padre vede un lembo della camicia, proprio quello sulle natiche, sporco di sangue e ne chiede conto a Domenico. Tra le lacrime, il piccolo gli racconta tutto per filo e per segno. Il padre corre dai Carabinieri a sporgere denuncia e Luigi Tarsitano viene arrestato.
– Nel mese di luglio io e Domenico Bianco ci trovavamo nel bosco nella contrada Pezzolungo intenti alla guardia di alcuni animali di proprietà di Achille Gigli. Ad un certo punto Domenico si calò i calzoni mi invitò ad usare di lui ed io ne usai per una sola volta – è la ricostruzione dei fatti avvenuti il 20 luglio che offre al Maresciallo con aria indifferente – quindi io non presi affatto Domenico con la forza ed usando di una cosa che egli mi offriva, non intesi commettere reato alcuno.
Il Maresciallo reprime a stento la voglia di prenderlo a schiaffi e lo fa chiudere in camera di sicurezza e poi nel carcere di San Marco Argentano.
Il 27 ottobre 1896 Luigi Tarsitano se la cava con 18 mesi di reclusione, di cui gliene vengono condonati 6 per il sopraggiunto indulto del 24 ottobre 1896. [1]
TENEVA LA CANDELA
Raffaele Usuria ha sette anni ed è un trovatello affidato alle cure di Emilia Basenti Cortese. È solito giocare sulla riva del Busento sotto Piazza Valdesi con due o tre ragazzini come lui o poco più grandi: Luigi Farinacci di 11 anni, Francesco Pulice di 10 anni e Pasquale Pranno di 7 anni. Non sa che i tre, in una calda mattina del luglio 1904, gli stanno preparando una brutta sorpresa. Con la scusa di andare a rubare della frutta lo invitano a seguirli in un orto oltre Piazza d’Armi.
– Qualche giorno fa, ero con Luigi Farinacci e Francesco Pulice, che chiamiamo Cicogna. Mi invitarono a seguirli in un vicino orto e siccome io mi rifiutai, essi mi presero per le mani e mi portarono a forza in quell’orto dove tutti e due mi hanno messo le loro cose qui. – dice indicandosi il culetto – C’era pure Pasquale Pranno, ma non mi ha fatto niente. Lui stava lì e teneva alzato in mano un pezzo di legno dicendo che teneva la candela… – racconta al Maresciallo.
Forse Raffaele non avrebbe trovato il coraggio di raccontare tutto alla mamma adottiva se un altro ragazzo, Costantino Ruffolo di 14 anni, che ha visto tutto, non si fosse messo a gridare di smetterla e, preso il bambino per mano, non lo avesse accompagnato a casa. [2]
[1] ASCS, Processi Penali.
[2] ASCS, Processi Penali.
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