LA STRANA MORTE DI RAIS

Quando i Carabinieri, avvisati che nella cava di pietre in contrada Margi di Lago è avvenuta una disgrazia, arrivano sul posto trovano, ai piedi della scarpata alta più di dieci metri, il cadavere di un certo Bruni Raìs di ventiquattro anni. È il pomeriggio del 17 luglio 1949.
Bocconi, gambe quasi unite, il braccio destro sotto l’addome e quello sinistro leggermente scostato dal corpo. Tutto, o quasi, lascia pensare che si sia davvero trattato di una disgrazia o, forse, di un suicidio.
Il maresciallo Olindo Bonciani si china sul cadavere e osserva attentamente la testa del morto, completamente coperta da numerose ferite. Da una di queste, proprio sulla fronte, è possibile vedere la materia cerebrale che continua a fuoriuscire. Sulle altre, invece, il sangue è raggrumato. Bonciani nota anche che sul resto del corpo non sembrano esserci ferite e che la camicia indossata dal morto è imbrattata di sangue solo sulle maniche. Ciò che lo stupisce di più è, però, il fatto che accanto al cadavere non ci sono che poche e piccole tracce di sangue. Alza lo sguardo sulla scarpata, la cui parete è quasi perfettamente verticale, e comincia a pensare che sia molto improbabile che a causa di una caduta accidentale o volontaria che fosse stata, il corpo possa trovarsi a più di due metri dalla parete rocciosa e per di più senza tracce di sangue.
– Tu – ordina a un carabiniere – vai a dare un’occhiata lassù e vedi in quali condizioni è il terreno.
Il carabiniere esegue l’ordine e, a gran voce, riferisce ciò che sta vedendo.
– Qui l’erba è è tutta pesta e c’è anche qualche goccia di sangue!
“Proprio come pensavo” dice tra se e se Bonciani “si tratta di omicidio e qualcuno sta cercando di intorbidire l’acqua… ma chi ha ucciso questo mafioso?”
Il maresciallo conosceva bene Raìs, uno che in paese faceva il malandrino e dava fastidio a molti, quindi molti avrebbero potuto avere interesse a farlo fuori.
Quando è stato ammazzato? In paese c’è molto fermento e le voci si rincorrono: certamente la sera prima del ritrovamento Raìs era vivo, infatti verso le 21,00 del 16 luglio era stato visto in compagnia di due ragazzi mentre insieme salivano dal Bivio verso il Pignanese. Poi in paese cominciano a girare altre voci che vorrebbero Raìs in paese nella mattinata del 17 e che dopo qualche ora, assicura un ragazzo che cercava di catturare un uccello proprio nella cava, il cadavere ancora non c’era. Tutto ciò significherebbe che l’omicidio sarebbe stato commesso nella tarda mattinata o nel primissimo pomeriggio del 17 luglio.
Bonciani non ne è affatto convinto e le sue perplessità vengono fugate dal medico legale, il quale la mattina del 18 luglio stabilisce che la morte è avvenuta da più di 24 ore, collocandola, quindi, nella notte tra il 16 e il 17 luglio.
Ovviamente il Maresciallo chiede conto a chi sostiene di avere visto vivo Raìs poche ore prima del ritrovamento. Si tratta di due adolescenti, Ercole e Raffaele, i quali confermano quanto hanno detto per strada:
– L’ho incontrato verso le undici al Pantanello e mi ha chiesto se avevo visto Immacolata, la sorella di Vurparella – dice Raffaele.
– Ve l’ho detto! Alla cava ci sono andato prima di mezzogiorno e il cadavere non c’era! – conferma Ercole.
– Con voi due poi facciamo i conti, state dicendo delle fesserie, adesso andatevene! – li minaccia il Maresciallo.
Poi spuntano Nicola Iuliano e Raffaele Nepotini che raccontano cose davvero molto interessanti. Dicono che la sera del 16 erano proprio loro due in compagnia di Raìs ad andare verso il Pignanese.
– “Aspettatemi fino a che torno, devo fare un’imbasciata”, ci disse, precisando che doveva andare a casa di Giovanna, la fidanzata. Noi lo abbiamo aspettato, ma quando abbiamo visto che dopo qualche ora non tornava, ce ne siamo andati – dice Iuliano.
– Mi ha chiamato in disparte e mi ha detto queste testuali parole – confessa Nepotini – “Vedi… se questa notte mi dovessero ammazzare, non dimenticarti di correre subito dal maresciallo e riferirgli che a uccidermi sono stati Luigi De Simone, Giovanni Vurparella e Benio Sacco…
– Possibile che, se davvero lo avete aspettato, non sapete, non avete visto, non avete sentito altro? Eppure la nottata era calma e la luce della luna sufficiente a vedere bene… – li incalza Bonciani, che intanto sta riflettendo sulla strana coincidenza di aver sentito nominare per due volte quel Vurparella. In ogni caso le dichiarazioni dei due meritano un serio approfondimento e così Bonciani e i suoi uomini vanno a casa di Luigi De Simone e lo mettono in stato di fermo insieme alla madre e alla sorella Giovanna, la fidanzata del morto. Perquisiscono la casa e nella stanzetta dove c’è il forno, proprio sui due gradini che conducono all’uscita, trovano dei piccoli schizzi di sangue. Bonciani e i suoi uomini notano anche che il pavimento è stato lavato di fresco e su due grandi ceste sono stese ad asciugare due vecchie giacche. Quando escono nell’orto rilevano che il granturco è stato pestato in tutta la sua lunghezza da almeno due persone. Un militare si incarica di seguire le tracce e, dopo poco, arriva dritto dritto alla cava di pietre.
In caserma, i fermati negano di avere a che fare con la morte di Raìs:
– Ho macellato un agnello per conto di mio padre – così Luigi giustifica quelle macchioline di sangue e questa versione è confermata anche dalla madre e dalla sorella.
 Ma dopo un paio di giorni di camera di sicurezza, Giovanna si decide a parlare e accusa suo padre di essere, insieme a Giovanni Vurparella, l’autore dell’omicidio avvenuto verso le 3,00 del 17 luglio, più o meno l’ora indicata dal perito. Le accuse contro Francesco De Simone, marito e padre dei fermati, sono confermate anche dagli altri due e Bonciani lo manda a prendere. Lui è perplesso, non può credere che lo stiano accusando i suoi familiari.
– Mettetemi a confronto con loro, voglio vedere se hanno il coraggio di ripetermi queste cose in faccia! – implora.
E così è. Gli sguardi che corrono tra Francesco, la moglie e i figli sono carichi di ammiccamenti da una parte e di angoscia dall’altra e, alla fine, Francesco De Simone ammette di essere l’autore dell’omicidio e di essere stato aiutato da Vurparella, il quale viene subito arrestato, ma dice di avere un alibi: ha giocato a carte con gli amici fino alle 2,30 del 17 luglio. Il cerchio sembra essere davvero chiuso e un caso all’inizio difficile, risolto brillantemente in quattro giorni. Succede, però, che il 23 luglio Francesco De Simone ritratta la sua confessione e ammette soltanto di avere aiutato a trasportare il corpo di Raìs alla cava e che ad uccidere era stato suo figlio Luigi. L’alibi di Vurparella non funziona perché Bonciani riesce a dimostrare che da quando ha terminato di giocare, dal luogo dove si trovava avrebbe abbondantemente fatto in tempo ad arrivare a casa dei De Simone prima che l’omicidio fosse stato commesso. Luigi nega strenuamente per tutta la giornata, poi al calar della notte crolla e ammette di essere l’unico responsabile dell’omicidio.
Vurparella non c’entra. Ho fatto tutto da solo, all’improvviso, quando l’ho visto nascosto dentro una cesta in casa di mio padre. Io stavo tagliando una coscia di agnello e l’ho colpito tre o quattro volte con l’accetta che avevo in mano…
Ma Bonciani non gli crede, almeno non gli crede del tutto. È impossibile, per lui, che possa essere stata una sola persona a uccidere Raìs, giovane forte, mafioso e guardingo, e per giunta senza un movente plausibile. E non crede nemmeno che possa essere stato il padre ad aiutarlo a trasportare il corpo, viste le sue condizioni fisiche o pensare che lo abbia aiutato una donna. No, Bonciani pensa che Luigi De Simone si sta addossando da solo la responsabilità dell’omicidio per nascondere che c’è stato un piano premeditato e concordato da più persone, per cercare di dare al delitto stesso uno sfondo più o meno equivoco, in maniera da non fornire alla giustizia tutti quegli elementi necessari per non permetterle – un domani – di distribuire la giusta pena. Così, in attesa che Luigi si decida finalmente a vuotare il sacco, continua a indagare per fatti suoi e scopre dei retroscena interessantissimi.
Giovanna De Simone era fidanzata con Raìs Bruni contro il volere di suo fratello Luigi e di suo padre i quali sapevano che Raìs se la intendeva anche con la sorella di Vurparella, Immacolata, e che quindi molto difficilmente si sarebbe arrivati a un matrimonio. Se Giovanna avesse continuato a frequentare Raìs avrebbe certamente perso altre occasioni di matrimonio, per questo Luigi lo aveva diffidato dal frequentare la sorella. Ma Luigi non sapeva che di sera, quando lui tornava a casa sua e il padre si metteva a letto, Giovanna accoglieva in casa il fidanzato con la complicità della madre. Giovanni Fiore, alias Vurparella, da parte sua, sapeva della relazione che Raìs aveva con sua sorella e contemporaneamente con Giovanna De Simone e ovviamente non era contento che la sorella servisse per soddisfare le voglie di Raìs. Poi c’è Benio Sacco, uno dei possibili pretendenti di Giovanna, che per aspirare a sposarla doveva togliere di mezzo Raìs.
Quindi i tre, ognuno per i propri motivi, si mettono d’accordo per eliminare lo scomodo personaggio. Questa è la conclusione a cui arriva Bonciani. Ma mentre per Luigi De Simone e Vurparella è facile dimostrare che hanno concorso a elaborare e mettere in atto l’omicidio, per il terzo uomo le cose non sono affatto semplici e resta solo un sospetto.
Gli interrogatori si fanno sempre più stringenti, tutti si sentono con le spalle al muro ma non cedono. I De Simone ammettono, si, di avere mentito in un primo momento ma adesso continuano ad addossare tutta la responsabilità sulle spalle di Luigi e Vurparella continua a raccontare di avere giocato a carte. Bonciani mette alle strette anche i due amici di Raìs e finalmente questi si decidono a raccontare ciò che sanno.
– Verso le 3,00 del 17 luglio eravamo proprio sotto l’abitazione dei De Simone quando sentimmo delle grida di soccorso venire dall’interno. Pensammo subito che lì dentro c’era Raìs e allora, senza perdere tempo, ci dividemmo – racconta Nicola Juliano – io mi avvicinai di più alla casa e Raffaele Nepotini andò verso la casa accanto. Vidi due uomini che stavano uscendo dalla stanza del forno e si dirigevano frettolosamente, attraverso il campo di granturco, verso la località Fontanella. Trasportavano un uomo. Io ero vicino e il chiarore della luna era sufficiente a farmeli vedere bene. Luigi De Simone teneva il corpo, che aveva le spalle e la testa avvolte con dei panni, da sotto le ascelle e Vurparella lo teneva dai piedi. Luigi guardò nella mia direzione e mi vide: “Juliano… non fare di dover dire qualcosa… perché altrimenti ti spacco come ho spaccato questo!” mi disse. Io mi allontanai di poco ma li seguii con lo sguardo fino alla curva della strada dopo il boschetto e poi non li vidi più.
Vurparella è bello che fritto!
Che l’omicidio sia stato premeditato è confermato dalla testimonianza del fratello di Raìs, Gugliemo, che il giorno prima dell’omicidio ha assistito a una discussione tra Vurparella e Raìs:
– “Ti aggiusto io” gli disse Vurparella e mio fratello gli rispose “da solo a solo ce la vediamo”. Io chiesi spiegazioni a mio fratello e lui, minimizzando, mi rispose “Ha detto che mi vuole fare una passata di palate ma scherza”.
Poi ci sono le parole dette dallo stesso Raìs all’amico prima di andare a casa della fidanzata. Infine, è certo che Raìs si vantava pubblicamente delle sue avventure e che molte volte ha risposto con tracotanza alle intimazioni e agli avvertimenti che Vurparella e Luigi De Simone gli hanno fatto, sfidandoli, come abbiamo visto, a vedersela con lui uno alla volta, senza insidie e senza agguati. Quindi il movente è da ricercare nella inevitabilità della reazione delle due famiglie, perché scosse nelle più intime fibre, nel sentimento più grande e intangibile (l’onore per la gente della nostra terra è emblema sacro del proprio casato!) ed era naturale che si ergessero a paladini dell’onore offeso i congiunti più giovani. Essi si sentono legati ad un bisogno, ad uno stesso sentimento di animosità e di rappresaglia, ad un proposito di vendicare il loro onore, così atrocemente offeso. Tutto ciò costituisce la causa comune del progetto criminoso verso cui si polarizza anche la volontà della De Simone Giovanna vieppiù esasperata (ritenendosi ormai abbandonata dato che il Raìs non frequentava la sua casa da circa un mese) e dalla proterva madre ad insorgere assieme ai figli, soprattutto per il disinganno seguito all’opera da lei favorita e caldeggiata così fortemente. Ma, per evitare l’aggravante della premeditazione, gli imputati scelgono di addossare tutte le responsabilità su di uno solo, Luigi. Un delitto d’impeto. Luigi trova in casa l’uomo che inganna la sorella e lo uccide. La condanna, se ci sarà, sarà molto mite. Da qui l’esigenza di scagionare Vurparella; se lui fosse stato presente sarebbe stata subito chiara tutta la situazione.
Il cerchio, questa volta, è chiuso davvero. Resta, però, da chiarire la dinamica dell’omicidio. Ha colpito solo Luigi o ha colpito anche Vurparella?
Intanto Vincenza Coscarella, la madre di Luigi De Simone, ammette che prima di essere ucciso, Raìs era con lei e Giovanna nella cucina della casa.
– Verso le 3,00 del 17 luglio, mentre io, mia figlia Giovanna e Raìs Bruni eravamo in cucina, sentimmo dei rumori, come se delle persone stessero parlottando tra di loro vicino alla porta di casa. Io e mia figlia ce ne siamo andate in camera da letto e Raìs, non volendosi fare trovare in casa, cercò di uscire attraverso la stanza del forno.
Raìs si avvia lungo la stanza ma, arrivato all’altezza del forno, viene sorpreso e colpito alla testa da almeno due persone accertano, nel frattempo i periti, perché le ferite riscontrate sul cadavere di Raìs sono di due tipi diversi: certamente è stata usata una scure e quasi altrettanto certamente è stato usato anche uno zappone. Ciò che gli imputati non confesseranno mai, è chiarito dall’autopsia. Che anche Giovanna e la madre abbiano cooperato non c’è dubbio perché esse stesse dichiarano di avere aiutato Luigi a coprire le spalle e la testa di Raìs con delle vecchie giacche e, soprattutto, di avere provveduto a ripulire la stanza e a lavare gli indumenti. I due testimoni chiave hanno già chiarito che a trasportare il corpo sono stati Luigi e Vurparella. È davvero finita.
A processo andranno Luigi De Simone, sua madre Vincenza Coscarella, sua sorella Giovanna e Giovanni, Vurparella, Fiore.
In Assise, Luigi e Vurparella saranno ritenuti responsabili di omicidio volontario e non di omicidio premeditato. Concesse le attenuanti dei motivi di particolare valore morale e dello stato d’ira e saranno condannati a sette anni di reclusione ciascuno. Vincenza Coscarella e Giovanna De Simone saranno ritenute responsabili di concorso in omicidio volontario e, godendo delle stesse attenuanti degli altri due imputati, oltre che del riconoscimento della minima partecipazione al delitto, saranno condannate a quattro anni, un mese e venticinque giorni di reclusione ciascuna.
In Appello la situazione cambia. Vurparella, Vincenza Coscarella e Giovanna De Simone sono assolti per insufficienza di prove e la condanna inflitta a Luigi De Simone è ridotta a sei anni, due mesi e venti giorni di reclusione.[1]

 

 

[1] ASCS, Processi Penali.

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