TI PORTERÒ ALLAMERICA CON ME

La ragazza, Maria Giuseppa Rizzo di sedici anni, percorre i vicoli di Santa Domenica Talao battuti dalla tramontana mattutina tenendosi stretto lo scialle intorno alla testa con una mano e la gonna abbassata con l’altra. Si ferma davanti alla casa di suo zio materno Gaetano Maione che l’ha mandata a chiamare. Sale i due gradini che servono per arrivare al portone e picchia il battente di ferro finché la voce irritata dello zio non la avvisa che sta andando ad aprire.
– Finalmente… brrrrr… si congela! – gli dice sorridendo – eccomi qua, che ti serve che mi hai fatto venire con tutta questa fretta?
– Aspetta… andiamo là dentro che ti faccio vedere…
– Zia Antonietta e i cuginetti non ci sono?
– No… sono andati dalla nonna… vieni… – le dice facendole strada verso lo stanzino senza finestre dove dormono i bambini
– E mò? – gli fa quando lo zio, dopo averla fatta entrare, si ferma sull’uscio – che mi devi fare vedere?
– Ecco… io… – comincia a dire Gaetano avvicinandosi alla nipote – io ho bisogno…
– Bisogno? E di cosa? 
Lui le sorride, le accarezza il viso, poi si sbottona i pantaloni e tira fuori il suo membro eccitato. Maria è sconvolta, atterrita dalla vista di quell’orrendo grosso pezzo di carne dura e violacea.
Si, lei sapeva già dalle parole delle sue amiche sposate, ma la descrizione non corrispondeva a quello che sta vedendo o almeno non immaginava che potesse essere così terrificante. Quando lo zio comincia a spingerle la testa verso il basso oppone una istintiva resistenza.
– Apri la bocca – le dice con voce roca, ma più lui spinge la sua testa, più lei resiste senza tuttavia poter distogliere lo sguardo da quell’orrendo grosso pezzo di carne dura e violacea. Il collo le fa male, la testa comincia a girarle, sente che le forze le vengono meno e pian piano si affloscia come un sacco vuoto, svenuta.
Quando riprende i sensi si trova stesa sul letto, piena di dolori. Si rialza e, con grande sorpresa, vede la macchia di sangue sul materasso. Guarda lo zio attonita. Questi, seduto tranquillamente su una sedia fumando il suo sigaro, ha un’aria soddisfatta e le sorride. Poi Maria si guarda le gambe, in mezzo alle gambe. È sporca di sangue.
– Ma… che hai fatto? Che mi hai fatto? – gli dice tra le lacrime. Zio Gaetano si alza, le accarezza la testa poi, dopo aver buttato fuori il fumo, le parla
– Abbiamo fatto quello che fanno i maschi con le femmine, non te ne sei nemmeno accorta. Adesso bada a stare zitta se no ti ammazzo! Adesso vattene a casa e mosca – termina mettendosi l’indice sul naso.
E Maria, terrorizzata, così fa. Resta muta.
Dopo un mese nota sulle mutande delle strane macchie biancastre e le mestruazioni che le sarebbero dovute venire non arrivano. Ha paura. È disperata. L’unica soluzione che riesce a immaginare è quella di andare a parlare con lo zio.
– Stai tranquilla, è impossibile che tu sia incinta. Comunque, continua a stare zitta che qualunque cosa accada ci sono io… sai, tra poco parto allamerica e ti porto con me e lì staremo come marito e moglie, stai tranquilla, allamerica non ci conosce nessuno e nessuno sa niente! Tieni – continua – questo anello è per te come pegno mio… dammi la mano che te lo metto… queste duecento lire sono per il biglietto della nave dopo che sarò partito e questo è l’indirizzo dove dovrai venire… – termina mettendole in mano i biglietti di banca.
– Ma… da sola… che posso fare? – protesta con le lacrime agli occhi
– Quando sarà il momento… quando sarà il momento ti scriverò e tu prenderai la nave per venire allamerica. Mò basta che viene tua zia, vattene a casa e, mi raccomando, silenzio… – la congeda facendo il giro del collo con l’indice, a mimare uno sgozzamento.
Maria è confusa e terrorizzata allo stesso tempo. Ha altra scelta se non andarsene allamerica dallo ziostupratorefuturocomemarito? No, e così continua a stare zitta anche quando lo zio, senza dire niente ai parenti, parte allamerica.
“Adesso, da un momento all’altro arriva la lettera”, pensa, crede, spera.
Ma la lettera non arriva. Arriva invece il momento in cui la madre, come ogni madre, si accorge di quella che è la realtà e
Maria le confessa tutto. La madre, per prendere tempo in quanto adesso è quasi impossibile che non se ne accorga anche il padre, inventa che Maria ha l’acqua nel ventre, così le ha detto comare Angelina che l’ha avuta pure lei.
Quando, il 17 ottobre 1920, il parto è ormai prossimo, Maria capisce che la lettera per partire allamerica non arriverà mai.
Tormenta tra le mani i biglietti di banca che le ha lasciato lo zio e l’inutile biglietto con l’indirizzo, guarda l’anello al dito. È disperata, così decide di rivelare tutto al padre, dopo che questi è tornato dal seggio per votare alle elezioni comunali.
– Svergognata! Disonorata! Prepara quattro cose che ti porto a sgravare a Messina, al mio paese, e poi il bastardo lo lasciamo in qualche istituto! – le dice freddamente mentre i segni degli schiaffi sul viso bruciano come sale sulle ferite.
Senza perdere tempo, il giorno dopo salgono sul treno diretto a Sud, ma a Paola sono costretti a scendere perché Maria ha le doglie. Il padre chiede in giro e gli indicano la casa di una levatrice, Annita Salvatore, e Maria fa appena in tempo a stendersi sul letto della donna che partorisce una bella bambina.
A casa della levatrice ci sta due giorni e una notte mentre il padre cerca inutilmente una sistemazione per la bambina, poi, pagate le centonovanta lire dell’onorario, decidono di tornarsene in paese e affrontare il giudizio della gente, così salgono sul primo treno disponibile.
Scendono alla stazione di Verbicaro che è ormai notte e si incamminano a piedi verso il paese. La strada è lunga e fa freddo, Maria è sfinita, la bambina piange, il padre bestemmia. Maria, mentre camminano, le da il seno e la bambina vi si attacca ma non succhia, però sembra calmarsi, non piange più, anzi sembra che non abbia nemmeno più fame, forse dorme. Ma Maria è preoccupata e la scuote. La bimba non si sveglia, è morta!
Maria e il padre si fermano sul limitare di un bosco. Lei, con le lacrime che le solcano il viso, prende dal suo bagaglio una camicia da notte e ci avvolge la bambina, legando il fagotto con le maniche, poi entrano nella vegetazione e la depongono a terra. Non vorrebbe lasciarla così da sola in quella notte fredda e buia, ma bisogna incamminarsi. Ormai la frittata è fatta e bisogna cercare di limitare i danni arrivando in paese prima che faccia giorno, prima che la gente si accorga.
– Andiamo, sbrigati! – le ordina il padre
– No, non ce la faccio, non ho più forza per camminare… vai avanti, io ti seguirò e in qualche modo arriverò a casa – lo implora. Il padre, pentito di averla costretta a lasciare la casa per partorire, la bacia sulla fronte e si incammina. Maria è sola nella notte con la sua bambina morta e non ha più lacrime né freddo. La mattina, dopo averla vegliata per tutto il tempo, si trascina per il bosco e le campagne a stento e finalmente arriva a Santa Domenica, incurante di ciò che diranno di lei.
Dopo qualche giorno una vecchia, che va proprio in quel bosco di querce a raccogliere ghiande, trova il fagotto e la voce che i resti di un neonato, dilaniati dagli animali, sono stati ritrovati nel bosco, inevitabilmente si sparge in paese e arriva anche alle orecchie dei carabinieri che fanno qualche verifica, individuano Maria e il 3 novembre l’arrestano per avere, a fine di uccidere, cagionata la morte del proprio infante non ancora iscritto nei registri dello Stato Civile per salvare l’onore proprio e il padre per concorso diretto in detto delitto per averne facilitata l’esecuzione, prestando assistenza ed aiuto prima e durante il fatto per salvare l’onore della propria figlia e della famiglia.
– È morta di morte naturale – si difende Maria raccontando i fatti – mio padre non ha mai toccato la bambina ed è innocente!
– Sento che mi accusate di questo orrendo reato. Io avevo intenzione di presentarmi ieri se fossi tornato in tempo da Praia a Mare… – esordisce. Poi racconta la triste avventura – sento che la mia coscienza non ha nulla da rimproverarsi, l’unica cosa di cui mi sento responsabile è di non essere andato al comune per dichiarare la bambina, ma il senso dell’onore mi ha accecato e nell’immensità della mia sventura avevo creduto di poter nascondere il disonore della mia famiglia. Non ho commesso alcun altro reato, come non ne ha commessi mia figlia.
Maria Giuseppa e Sebastiano Rizzo saranno prosciolti in istruttoria per insufficienza di prove ma si porteranno dietro il loro dolore, mentre zio Gaetano, allamerica, è tranquillo e beato…[1]

Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

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[1] ASCS, Processi Penali.

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