QUANDO LA POLVERE COMINCIÒ A IMBIANCARE LA CITTÀ

BIANCA
La guerra, lo sappiamo, ha sfasciato migliaia di famiglie per i mariti morti al fronte, per le mogli e i figli morti sotto i bombardamenti, per le deportazioni, ma anche per la fame. La fame delle mogli e dei figli rimasti a casa ad aspettare chi forse non tornerà più, lottando disperatamente per avere quanto spettava loro con la tessera.
Questa è una delle tante storie che vengono dalla fame.
Un paio di anni dopo l’armistizio, un certo Francesco torna a casa dopo essere stato prigioniero in Inghilterra. Lui abita dopo il ponte di Caricchio al confine tra i comuni di Cosenza e Trenta. È sposato da quasi dieci anni con una bella ragazza mora, per ironia della sorte si chiama Bianca, che adesso di anni ne ha 26. Hanno anche un bambino di otto anni, Giuseppe.
Come dicevamo, Francesco, anche se provato dalla guerra e dalla prigionia, è felice, non vede l’ora di riabbracciare quegli affetti il cui pensiero gli ha fatto superare i momenti più difficili, ma quando bussa alla porta di casa nessuno risponde. Non sa che fare, “saranno usciti, torneranno presto” pensa all’inizio, poi le ore passano, scende la sera e della moglie e del figlio non si vede l’ombra. Bussa alle porte delle case nei dintorni e finalmente qualcuno gli dice che è da tempo che Bianca e Giuseppe sono andati via. Dove? Nessuno lo sa. A mezze parole qualcuno dice che se la passavano davvero male, poi sembrava che si fossero ripresi, il bambino aveva anche un paio di scarpe nuove, ma all’improvviso nessuno li ha più visti.
Francesco è disperato, va in Questura a presentare una denuncia. Il funzionario, che ne ha sentite tante, va a controllare lo schedario e torna con in mano un fascicolo a nome di Bianca.
“Prostituta clandestina” c’è scritto sopra. Le ultime notizie la vogliono a Bari dove è stata prima arrestata e poi rimpatriata a Trenta con foglio di via obbligatorio, ma a Trenta non si è mai presentata.
Francesco si batte il viso, che vergogna! E il bambino, ci sono notizie del bambino in quelle carte? No, non ce ne sono.
Il funzionario gli promette di telegrafare alla Questura di Bari per avere il fascicolo completo, stesse tranquillo che gli farà sapere qualcosa.
E qualcosa gli fa sapere.
Bianca, datasi alla prostituzione, si è messa a girare per la provincia, poi si è trasferita in Puglia al seguito degli americani. I poliziotti baresi sostengono che Bianca, fermatasi per qualche settimana a Tregiano, in provincia di Bari, ha lasciato Giuseppe al proprietario del “Caffè Paolo” e poi se ne è andata nel capoluogo. Il bambino, dicono i poliziotti, dopo che la madre è partita, è stato investito da un camion ed è morto. Si sbagliano, per fortuna. Giuseppe è vivo e vegeto e Francesco  se lo va a riprendere.
Bianca, intanto, a Bari ha conosciuto Joe, un soldato americano, italo-americano per l’esattezza, che presta servizio nella Military Police e si mette con lui. Lo segue anche a Livorno quando Joe viene trasferito e lì si sarebbero sposati, ma Joe, interrogato, nega di aver contratto matrimonio. I poliziotti gli dicono che Bianca è ricercata dalla Questura di Bari per non avere ottemperato all’ordine di rimpatrio, ma che, stando alle notizie ricevute dalla Questura di Livorno, adesso sta usando dei documenti falsi e temono che Joe sia riuscito a farla imbarcare per gli Stati Uniti. Aggiungono che per trovarla hanno interessato anche la Croce Rossa americana e quando arrivano le notizie gli dicono che forse Bianca è a Napoli.
Viene invece arrestata a Roma e sconta i suoi sei mesi e quindici giorni di detenzione alle Mantellate e, liberata, torna a Cosenza.
Ma ormai è persa. Si è beccata la sifilide e continua a fare la prostituta in un basso di Santa Lucia. La fermano varie volte e il fondo lo tocca quando la arrestano per “Somministrazione fraudolenta clandestina di cocaina”.[1]
MARIA LA RICCIOLINA
Maria ha 30 anni, alta, robusta, con una gran massa di capelli ricci nerissimi. È sposata e ha due figli, ma il matrimonio non va, Maria ha un carattere un po’ ribelle, e il marito la lascia. Lei trova casa in Via Gradoni della Valle – prima porta a destra senza numero – e comincia a frequentare ambienti equivoci, dove tutti la conoscono come la Ricciolina. Si becca la sifilide e comincia anche a tirare cocaina, nonostante la guerra appena finita imponga stenti inimmaginabili. Ma è proprio con la guerra che la polvere bianca comincia a diffondersi nei bordelli e da questi in città.
Agli inizi del 1945 Maria conosce Carlo e diventano amanti. Carlo, è in attesa di definire la separazione dalla moglie e per Maria ha anche lasciato la sua vecchia amante che non è affatto contenta della cosa e medita vendetta, facendosi affilare come un rasoio un coltello da dessert. Chi conosce Maria e Carlo dice che tra i due c’è un rapporto morboso, litigano spesso e se le danno anche di santa ragione, ma poi tutto finisce nel viluppo dei loro corpi.
Maria e Carlo escogitano anche un modo originale ed efficace per sbarcare il lunario: lei ha una radio, un vecchio grammofono e una ventina di dischi e ogni sera organizzano, a pagamento, serate danzanti con la possibilità di mangiare e bere qualcosa. Si, gli stenti, la miseria, ma la guerra è finita, la dittatura è finita, gli americani hanno portato un sacco di novità e, diamine, bisogna pur ricominciare a vivere e a divertirsi!
La sera del 26 giugno 1945 fa caldo ma in casa di Maria la musica impazza e il vino scorre in abbondanza. Uomini e donne ballano tra i tavoli e i letti della casa. Qualcuno, incurante dei due figli di Maria si dà da fare sul letto matrimoniale. Qualche vicino, come ogni sera, sbraita per il baccano e minaccia chissà cosa, ma a mezzanotte quasi tutti vanno via e si può andare a dormire tranquilli. In casa di Maria restano cinque o sei persone che pagano altre 95 lire per mangiare qualcosa. Lei si mette ai fornelli, Carlo si stende sul letto con un forte mal di testa. Proprio quella mattina gli hanno iniettato una dose di medicina contro la sifilide che gli ha passato Maria. Fuori dalla porta una donna comincia a urlare intimando alla figlia, che è tra le persone rimaste, di tornarsene a casa.
– Vatti a coricare che più tardi vengo! – urla Rita, la ragazza, alla madre.
– Che ci stai a fare in casa di questa puttana? Fai la puttana pure tu? – le fa di rimando la madre. Tra le due donne nasce un violento battibecco e Carlo, spazientito, si alza dal letto, prende un bastone e minaccia di percuotere la donna se non se ne va immediatamente e ottiene l’effetto sperato.
– Non potevi andare tu? Mi hai fatto alzare dal letto con la febbre. Tu ti diverti e io devo pensare a tutto – Carlo rimprovera Maria.
– Ma che vai a pensare? Io sto lavorando… vatti a coricare e lasciami fare – replica Maria.
– Mi sa che ha ragione quella… – le dice, alludendo all’epiteto col quale la donna ha apostrofato Maria – ho sbagliato a lasciare Angelina per te, lei si che mi curava a dovere!
Maria non ci vede più. Si scaglia contro Carlo e lo graffia sul viso. Carlo, a sua volta, raccolta da terra una scarpa la percuote sulla testa. Gli altri, stancamente, li separano e dopo un breve conciliabolo fuori dalla porta di casa tra i due sembra tornare l’armonia. Ma non è così. Mentre Maria rientra in casa, Carlo lancia l’affondo:
– Mi hai graffiato… è una cosa che fanno solo le puttane dei casini…
Maria non replica a parole, va verso l’armadio in fondo alla stanza, rovista tra un sacco di cose, poi guarda verso Carlo con gli occhi pieni di lacrime, emette un gemito e stramazza a terra. Carlo non se ne cura, abituato a vederla fare scene di quel tipo, ma tutti gli altri si precipitano a soccorrerla temendo che sia svenuta, la girano sul dorso e ai loro occhi appare un fiotto di sangue che sgorga dall’addome di Maria. Alle urla dei figlioletti e degli invitati accorre anche Carlo che ora non sa darsi pace.
– Maria! Maria mia… che hai fatto…
Maria nella mano destra stringe ancora il coltello da dessert col quale Angelina avrebbe voluto ucciderla e che Carlo era riuscito a portarle via. In un modo o nell’altro, la vendetta di Angelina è compiuta.[2]

 

[1] ASCS, Tribunale di Cosenza, Processi definiti in istruttoria.
[2] ASCS, Tribunale di Cosenza, Processi definiti in istruttoria.

 

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