L’ORCO HA SEMPRE FAME

I pomeriggi di fine settembre sono ancora caldi e il sole sembra non abbia voglia di tramontare. Quasi tutti sono intenti nella proprie occupazioni e per le stradine di Cleto c’è solo qualche bambino che gioca con i sassolini raccolti da terra.
In questa atmosfera sonnacchiosa, un adolescente, Teodoro Milito, osserva con attenzione da dietro i vetri della sua casa, la casa di fronte. In paese dicono che sia un po’ strano, da bambino è caduto da un albero e ha battuto violentemente la testa e da allora in poi ha cominciato a fare cose strane.
I suoi occhi si illuminano quando vede aprirsi la porta della casa che sta osservando e uscirne Minicuzzu, un bambino di nemmeno quattro anni, con dei pezzetti di legno in mano. Teodoro esce, si avvicina al bambino con naturalezza, spia da una finestra per vedere se in quella stanza ci sono i genitori del piccolo, porge l’orecchio per sentire se dalle altre camere provengono rumori. Accertatosi che il bambino è solo,  gli mostra una monetina di rame e gli dice con un sorriso accattivante:
– Lo vuoi un soldino?
Minicuzzu lo guarda allettato.
– Vieni con me così mi aiuti a fare una cosa e ti do il soldino – continua, offrendogli la mano.
Il bambino lascia i legnetti, prende quella mano e segue docilmente Teodoro.
I due fanno solo pochi passi, fino alla piazzetta del paese, dove c’è un sedile in pietra accanto a un alberello. Teodoro si siede e prende in braccio Minicuzzu; poi lo gira di spalle e lo mette, incurante di chi possa vederlo, fra le sue gambe, poi lo accarezza con una mano mentre con l’altra tira fuori dai calzoni il suo sesso eccitato. Il bambino è nudo e il ragazzo, senza pietà, fa quello che ha in mente da tempo.
Minicuzzu tenta di urlare il proprio dolore ma una mano ferma gli tappa la bocca. Le sue gambette sembrano disarticolate tanto si dibattono disperatamente nei pochi momenti in cui tutto dura.
Teodoro rotea gli occhi per il piacere, tira un lungo respiro e, soddisfatto, lascia andare Minicuzzu che, piangendo, corre verso casa mentre due rivoli di sangue gli scorrono lungo le coscette.
– Papà… papà… – urla disperato.
Giacinto Grande, il padre, barbiere, a quel disperato richiamo, lascia un cliente a metà barba e corre a vedere cosa sia successo al piccolo.
   Teo… Teo… doro… – frafuglia il bambino indicandosi il culetto.
Che ha fatto Teodoro? – lo incalza il padre che non si è ancora accorto del sangue sulle gambette del piccolo.
 Mi ha fatto male… qui – gli risponde mettendosi una mano sul culetto e girandosi di spalle.
Giacinto sbianca. Capisce tutto in un attimo. Il sangue adesso gli monta alla testa. Si accorge di avere ancora in mano il rasoio e, con un urlo disumano, si lancia verso la casa di Teodoro.
– Dov’è… dov’è ché lo devo ammazzare a quel porco! – grida davanti alla porta di casa del ragazzo.
Il padre di Teodoro, impaurito da quelle urla, imbraccia il fucile e si affaccia dalla porta, appena in tempo per scorgere Giacinto che entra nella piazzetta e si lancia su suo figlio brandendo un rasoio.
È un attimo. Giacinto mena il primo fendente verso il viso del ragazzo ma non lo colpisce. Scivola e mentre si rialza tira una seconda rasoiata che apre in due una natica di Teodoro. Poi, allertato dalle grida di un paio di passanti, si accorge che Filiberto Milito sta sopraggiungendo col fucile spianato e se la da a gambe, nascondendosi in campagna.
Solo il giorno dopo i carabinieri di Aiello Calabro giungono sul posto, avvisati da un telegramma del sindaco di Cleto e arrestano i tre.
Teodoro viene rimesso in libertà dopo un paio di settimane e, prima che inizi il processo a suo carico, trova il tempo di stuprare un altro bambino, Giovanni Falsetti, di 6 anni.
È passato quasi un anno dalla prima violenza, quando Teodoro viene preso dalla stessa smania di quando si era incapricciato di Minicuzzu. Adesso ha messo gli occhi su Giovannino, un bambino simpatico, con delle belle gambe esili. La mattina del 23 agosto 1912 lo segue mentre il piccolo accompagna la madre alla fontana per aiutarla a lavare i panni. Lo osserva per ore, fino a quando Giovannino si allontana dalla mamma per giocare un po’. Fa un ampio giro per non essere visto e sorprende il bambino in aperta campagna:
– Mi vieni ad aiutare al mio forno che ti regalo un soldo e un pezzo di spago? – gli propone, mostrandogli una moneta e un gomitolo di spago.
Giovannino accetta di buon grado, ignaro. Arrivati nella casupola dove è il forno della famiglia Milito, Teodoro mette in mano al bambino la moneta e il pezzo di corda, poi lo afferra, gli tappa la bocca, gli cala a forza i calzoni e lo violenta. Dopo, di nuovo soddisfatto come la prima volta, si abbandona esausto a terra e lascia andare il bambino.
Giovannino, anche se con dolore, corre verso la casa di una zia e le racconta tutto, facendole vedere il sangue che ha addosso, il pezzo di corda, un centesimo di dollaro americano e un bottone dei calzoni di Teodoro.
Quando i Carabinieri lo arrestano, gli trovano in casa lo stesso spago che aveva Giovannino e sui calzoni bottoni identici, meno uno, a quello che ha mostrato loro il bambino.
Finalmente, il 27 marzo 1913, Teodoro viene condannato, ma gli va più che bene perché prende solo 23 mesi di reclusione, ridotti poi a 13 in appello. Ingiustizia è fatta.
Passano otto anni. In questo frattempo Teodoro ha fatto la guerra e ha trovato anche una moglie che lo ha lasciato subito, ma le smanie, represse, non gli sono mai passate.
Da qualche tempo a Cleto è andata ad abitare una donna, Angela Carino, separata dal marito, con i suoi quattro figli, almeno uno dei quali, la piccola Teresa, frutto di una relazione extraconiugale, causa della separazione.
Teresa, che la mamma chiama Angelina, è una bambina di cinque anni molto vivace. In paese tutti le vogliono bene e lei non ha nessuna difficoltà a entrare nelle case dei paesani che le danno sempre qualcosa da mangiare.
Domenica 4 settembre 1921, nel primo pomeriggio, Angelina sta gironzolando per le strade del paese quando incontra Teodoro che la ferma, le accarezza il viso e poi le dice:
– Vieni a casa mia che ti do una cosa bella.
La bambina non ha nessun motivo per rifiutare, tanto più che in quella casa c’è già stata per essere stata invitata da una donna che le ha dato un po’ di zucchero.
Teodoro la fa entrare nella sua camera da letto. Nella stanza accanto Filiberto, il padre, ronfa ubriaco.
– Coricati sul letto – le dice – adesso facciamo una cosa bella e poi ti do lo zucchero – continua Teodoro – chiudi gli occhietti…
La bambina ubbidisce, incuriosita da quel gioco strano.
L’uomo si abbassa i calzoni e le è sopra. Angelina ancora non ha capito e sorride. Teodoro cerca disperatamente di entrare nella bambina ma non ci riesce. Angelina comincia ad avere dolore e cerca di urlare ma lui le tappa la bocca, poi la solleva e la mette carponi sul letto, violentandola contro natura. Poi come al solito, soddisfatto si accascia e lascia libera la sua preda.
Angelina corre a casa e racconta tutto alla madre. Viene avvertita subito la guardia municipale che informa il sindaco. Parte il telegramma ai Carabinieri, ma, per non sbagliare, i due vanno a prendere a casa Teodoro per rinchiuderlo in una cantina del municipio in attesa delle forze dell’ordine.
La mamma della bambina è sconvolta, urla e si strappa i capelli mentre rovista in una cassa di legno, buttando tutto all’aria finché non trova quello che sta cercando: una rivoltella a cinque colpi, carica. La prende e si precipita fuori per andare a casa di Teodoro e farsi giustizia. Mentre passa per la piazzetta lo vede in compagnia del sindaco e della guardia. Si ferma, senza dire una parola arma il cane della rivoltella, prende la mira e spara ma l’arma fa cilecca. Prova una seconda volta e non succede ancora niente. Il sindaco, allora, si fa consegnare l’arma e rimanda a casa la donna, ma intanto in paese si è sparsa la voce dell’ennesima tragedia provocata da Teodoro e in molti si riversano in piazza per fare giustizia a modo loro. A stento il sindaco e la guardia riescono a evitare il linciaggio e il giorno dopo consegnano Teodoro ai Carabinieri.
Questa volta gli va un po’ peggio e viene condannato a sette anni e un mese di reclusione, più due anni di vigilanza speciale ed a versare alla mamma di Angelina la somma di £ 2.000 come risarcimento. (1)

Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

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(1) ASCS, Processi Penali

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