
Il 22 luglio 1932 Teresa Blandini si presenta alla caserma dei Carabinieri di Strongoli e chiede di parlare col comandante. Visibilmente turbata, gli racconta:
– Due giorni fa Michele Mazza, cognato della bambina Luigina Giglio di anni 12, orfana dei genitori, con lui coabitante ed a lui affidata per ragioni di vigilanza, con violenza e minaccia l’ha costretta a congiunzione carnale, deflorandola…
– Ah! Ma voi come fate a saperlo?
– Sono la moglie di Mazza, me l’ha raccontato Luigina…
– E la bambina adesso dov’è?
– È qui fuori che mi sta aspettando…
– Andate a prenderla, devo sentire il suo racconto.
Luigina è rossa in viso per la vergogna, tormenta nelle manine un fazzoletto e guarda ora la “madrigna”, ora il Maresciallo, che con gli occhi e gesti delle mani le fa segno di parlare.
– Due giorni fa mio cognato mi prese a forza e, minacciandomi che non mi avrebbe più dato da mangiare, mi obbligò a seguirlo in campagna per fare della legna. Giunti nella località Marche mi afferrò e, malgrado io gridassi e piangessi, mi distese per terra supina, mi spogliò della veste e, strappatemi le mutandine, si congiunse con me a forza. Quando ebbe finito mi impose di tacere l’accaduto ed io serbai il silenzio… quando tornai a casa camminavo a stento per il dolore della deflorazione e la mia madrigna mi chiese che avessi, io m’indussi a confidarle tutto – si soffia il naso ed aggiunge –. Una decina di giorni fa, in campagna, colta dal sonno mi addormentai e ad un certo punto mi sentii bagnato tutto il viso. Svegliatami, vidi mio cognato piegato su di me con le ginocchia aperte e col membro virile fra le mani, puntato sulle mie labbra… – si prende il viso tra le mani e scuote la testa, poi tira un lungo respiro e continua tra violenti singhiozzi – mi obbligò ad aprire la bocca e vi orinò dentro…
Mentre Luigina sta piangendo disperata, un Carabiniere entra e avvisa il Maresciallo che alcuni paesani inferociti, venuti a sapere delle porcherie fatte da Mazza, stanno cercando di buttare giù la porta di casa per prenderlo e linciarlo. Il Maresciallo ed i suoi uomini corrono sul posto e trovano l’uomo che si è riparato sul tetto di una casa vicina alla sua per scampare alla folla. A stento i Carabinieri riportano l’ordine e, armi alla mano, portano Michele Mazza in Caserma.
– Sì, è vero che l’ho posseduta, anche in precedenza, ma al momento del primo concubito l’ho trovata già adusata al coito…
Vero o meno che sia, resta l’infamità di ciò che ha fatto ed il tutore di Luigina sporge immediatamente querela contro di lui per violenza carnale in persona della propria cognata di anni 12, con lui coabitante ed a lui affidata per ragioni di vigilanza, nonché per atti di libidine violenta in persona della stessa.
Luigina deve essere sottoposta a perizia per sgombrare il campo da ogni possibile dubbio e il 29 luglio il perito afferma:
– La deflorazione rimonta ad una decina di giorni fa ed escludo che la bambina avesse potuto subire più di un coito.
Luigina ha detto la verità, la violenza l’ha subita esattamente nella data che ha indicato.
Il 3 ottobre 1932 il Giudice Istruttore rinvia Michele Mazza al giudizio della Corte d’assise di Catanzaro.
La causa si discute il 3 maggio 1933 e la Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni e le parti, osserva: le uniformi dichiarazioni rese dalla bambina alla matrigna, all’Arma ed all’Autorità Giudiziaria tanto in periodo istruttorio quanto nella pubblica udienza, le deposizioni dei testi escussi e gli accertamenti agli atti pongono in chiara evidenza la sussistenza dei fatti addebitati all’imputato e ne presentano non solo i rispettivi estremi materiali fra cui la violenza, tenuta presente l’età della vittima, appena dodicenne, ma anche l’estremo morale della cosciente volontà, la quale si profila attraverso tutte le modalità dei fatti.
Tenuta presente la gravità dei reati, quale si desume dalla gravità del danno cagionato alla bambina, dai vincoli di parentela e di dipendenza fra il giudicabile e la povera vittima, cognata dell’imputato ed a lui affidata per ragione di vigilanza, gravità che determinò in quanti ebbero ad apprendere le malefatte del prevenuto ed il proposito di linciarlo; tenuto presente inoltre il contegno del giudicabile che, al fine di attenuare la propria responsabilità, tentò di insinuare contro la moralità della cognatina, stimasi infliggere la reclusione nella misura di anni 4 per la violenza carnale e di anni 4, da diminuirsi di un terzo, per gli atti di libidine violenta. In tutto fanno anni 6 e mesi 8 di reclusione, oltre ai danni, alle spese ed alle pene accessorie.
Ma la Corte continua: da ultimo, non ostando i precedenti penali del Mazza, della pena inflitta devonsi dichiarare condonati anni 3 in base agli articoli 2 e 4 del R.D. 5 novembre 1932, N. 1493.[1]
3 anni e 8 mesi in tutto, giusto perché i reati sono gravi.
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Catanzaro.