IL CADAVERE NELLA NEVE

La mattina del 2 aprile 1931, dopo la nevicata di un paio di giorni prima, a San Lorenzo Bellizzi c’è il sole.

– Devo parlare col Podestà urgentemente! – dice Domenico Carlomagno, visibilmente scosso, appena entra nel Municipio.

Dopo qualche minuto di attesa viene fatto entrare e senza perdere tempo, come un fiume in piena, racconta:

Una disgrazia! Ho trovato morto mio cognato Vincenzo Sallorenzo e penso che si sia ucciso accidentalmente con un colpo di fucile mentre andava a caccia!

– Cosa? E come avrebbe fatto a spararsi da solo?

Stamattina verso le otto, nel recarmi dalla masseria alla stalla per dare da mangiare agli animali vaccini, ho visto alla distanza di circa un chilometro un cacciatore, nel quale ravvisai mio cognato, che camminando sulla neve seguiva la pista di qualche animale selvatico; ad un tratto intesi la detonazione di un colpo di fucile e, guardando in quella direzione, volgendo lo sguardo nel punto dove poco prima avevo visto mio cognato, con sorpresa lo vidi disteso per terra. Avvicinatomi, lo trovai già cadavere in posizione supina, con la testa insanguinata, le braccia incrociate sul petto e i piedi accavallati uno sull’altro. a breve distanza c’era il suo fucile a due canne a retrocarica con un grilletto calato e l’altro inarcato. Ritornato alla masseria avvisai mio padre, il quale mi mandò subito da voi

– Un brutto affare, mi dispiace tanto… facciamo così: mando sul posto la Guardia Municipale a piantonare il cadavere e tu vai a Cerchiara e avvisi i Carabinieri. Corri!

Domenico non se lo fa ripetere due volte, corre in caserma e al Maresciallo racconta la stessa storia, poi li accompagna sul posto.

Arrivati, i militari, sia per la posizione diversa del cadavere rispetto a quella descritta da Domenico Carlomagno, sia per la ferita d’arma lunga da fuoco rilevata nella regione della nuca e sia per le tracce di una lepre sparata di recente, si convincono che la morte di Vincenzo Sallorenzo non è dovuta ad una tragica fatalità, ma ad un’azione delittuosa di Domenico Carlomagno. E si convincono anche che il movente dell’omicidio vada ricondotto al fatto che Domenico, uccidendo il cognato, ha inteso sbarazzarsi di lui, che con la moglie e tre figlioletti viveva alle spalle del proprio padre. Perché ne sono certi? Perché vengono a sapere che Lorenzo Carlomagno, padre di Domenico e suocero della vittima, quando il genero si trovava in America, dove non aveva trovato fortuna, gli aveva dovuto fornire il danaro occorrente al viaggio di ritorno; che allo sbarco a Napoli aveva ancora sostenuto le spese per una processura penale essendosi il Sallorenzo, durante la traversata, resosi responsabile del reato di atti di libidine verso una ragazza e che tuttora sta sostenendo le spese par la cura di sua figlia, moglie della vittima, costretta a dimorare a San Lorenzo Bellizzi per guarire da una malattia uterina.

È ovvio che, se le cose stanno così, gravi sospetti cadono anche su Lorenzo Carlomagno, ritenuto il mandante dell’omicidio e i Carabinieri dichiarano in arresto padre e figlio, nonostante entrambi urlino la propria innocenza, sostenendo che tra loro e Vincenzo Sallorenzo era sempre corso buon accordo, che facevano una sola famiglia e non avevano motivo per sopprimerlo.

Le stesse cose ripetono senza risultato al Pretore, cavalier Abelardo Lucchesi, e la mattina del 5 aprile vengono fatti salire su una macchina insieme al Magistrato ed al cancelliere Raffaele De Marco per essere rinchiusi nel carcere mandamentale di Trebisacce. Durante il viaggio, però, l’autista dell’autovettura è costretto a fermarsi per un piccolo guasto e durante la sosta Lorenzo Carlomagno, in seguito alle sollecitazioni del cancelliere, gli rivela:

– È stata davvero una disgrazia, ma le cose sono andate diversamente e cioè che la morte di mio genero avvenne per l’improvvisa esplosione di un colpo partito dal fucile di mio figlio, che in quel mattino andava pure a caccia

La stessa cosa il cancelliere gli fa ripetere alla presenza del Pretore, ma il figlio lo contraddice urlando:

Mai vero! Mai vero! Lo dice lui!

– Guardate che se si è trattato di omicidio colposo la causa si può fare in Pretura, quindi vi conviene dire come sono andate le cose – insinua il cancelliere per indurli a parlare, ben sapendo che una causa per omicidio, anche se colposo, non può essere discussa in Pretura.

– Se è così sono disposto a pagare quattromila lire se mi scarcerate subito e se mio figlio sarà condannato ad una pena mite! – ovviamente tanto il Pretore che il cancelliere rifiutano sdegnati l’offerta e per l’anziano Vincenzo parte anche la denuncia per tentata corruzione in atti giudiziari.

La perizia autoptica conferma che la morte, istantanea, di Vincenzo Sallorenzo fu causata unicamente ed esclusivamente dalla ferita prodotta da colpo di fucile carico a pallini, che per la breve distanza fecero palla, frantumando l’osso occipitale e tutte le ossa che fanno parte della fossa cerebrale posteriore.

Quando i due imputati vengono interrogati dal Giudice Istruttore, entrambi confermano che si trattò di una disgrazia, avvenuta nei termini descritti dall’anziano Lorenzo e Domenico dice:

Lui camminava davanti a me che tenevo il fucile poggiato sul braccio sinistro e non so darmi ragione di come il colpo sia potuto partire… eravamo una sola famiglia con quella di mio cognato

Per il Giudice Istruttore non è una versione dei fatti credibile ed il 24 giugno 1931 padre e figlio vengono rinviati al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza, sedente in Castrovillari, per rispondere: Lorenzo Carlomagno di correità nel delitto di omicidio premeditato per avere determinato il proprio figlio a commetterlo e tentata corruzione in atti giudiziari; Domenico Carlomagno di omicidio premeditato e porto abusivo di fucile.

La causa si discute un anno dopo, il 15 giugno 1932, e i due imputati confermano la loro versione dei fatti, aggiungendo che Vincenzo Sallorenzo non sparò alcun colpo di fucile in presenza del cognato (cioè il colpo trovato esploso nel fucile dai Carabinieri) e che la vittima contribuiva col lavoro e le semenze e tutti facevano un’unica famiglia.

La Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni e le parti, ritiene che la morte di Vincenzo Sallorenzo fu conseguenza di un atto imprudente di Domenico Carlomagno. Difatti, questi, andando a caccia con un fucile guasto perché la piastrina era legata al telaio con un filo di ferro, doveva prevedere, ed era facile prevedersi, che portare la canna del fucile appoggiata sul braccio sinistro con il grilletto alzato costituiva un pericolo grave e permanente per il Sallorenzo che camminava sullo stesso lato e a poca distanza. E la prudenza maggiormente si richiedeva sia perché il terreno, coperto di neve e alquanto scosceso, offriva scarsa stabilità alla persona e sia perché, siccome venne a risultare dal sopralluogo, il Carlomagno si trovava un po’ indietro ed in posizione più elevata del Sallorenzo. Di tutto ciò Domenico Carlomagno non tenne conto, camminò con il grilletto alzato e l’atto suo imprudente dette luogo all’evento, di cui egli deve rispondere colposamente. Inoltre deve rispondere del porto abusivo di fucile. Circa la pena da infliggergli, la Corte, tenuto conto delle varie circostanze con cui i fatti si svolsero, dei precedenti penali e delle condizioni sociali, reputa idonea la pena di anni 1 di reclusione e di lire trecento di multa, pene che devono essere diminuite di un sesto per l’età tra i 18 e i 21 anni e quindi sono ridotte a mesi 10 e lire duecentocinquanta, più giorni 8 di reclusione per il porto abusivo di fucile, oltre alle spese di giustizia.

Poi continua: il comportamento tenuto dai due imputati immediatamente dopo il fatto fece sorgere il sospetto che la morte del Sallorenzo fosse l’effetto di un’azione criminosa e si pensò che la causale del fatto fosse lo sfruttamento continuativo da parte della vittima, che viveva da più tempo con la moglie ed i figli a carico del suocero e si ritenne dai Carabinieri che costui, per eliminarlo, avesse dato il mandato di ucciderlo al proprio figlio. Ma tutti i testimoni esaminati hanno ammesso che il Sallorenzo era in buona armonia col cognato e col suocero e tale versione è maggiormente avvalorata dalla vedova e dalla Guardia Municipale Leonardo Carlomagno che fu il primo a giungere sul posto e vi trovò Lorenzo Carlomagno il quale, tutto contristato, piangeva la morte del proprio genero. Quindi l’unica ipotesi logica che si adatta al caso è quella dell’omicidio colposo, ammesso da Lorenzo Carlomagno durante il viaggio verso il carcere di Trebisacce, confermata successivamente dall’altro imputato, sebbene costui, per la sua mentalità, credeva di non doverne rispondere. E se l’omicidio fu colposo e ne fu responsabile Domenico Carlomagno, esula di conseguenza la responsabilità del padre, per il quale va dichiarata l’assoluzione per non aver commesso il fatto.

Ma Lorenzo Carlomagno è imputato anche di tentata corruzione in atti giudiziari e la Corte, in proposito, ritiene di aver motivo di dubitare sull’elemento intenzionale, tenuto conto delle modalità con cui egli ebbe a fare l’offerta delle lire quattromila e spiega: sta di fatto che le sollecitazioni a confessare partirono dal cancelliere De Marco, il quale fece comprendere che se il fatto fosse stato colposo egli sarebbe stato esente da ogni responsabilità e il processo poteva essere definito anche in Pretura. La scarsa mentalità del vecchio fece sorgere in lui la convinzione che lo si volesse agevolare e appena sentì che la causa potesse svolgersi in Pretura, stupidamente credette che, pagando qualche somma, la cosa potesse svolgersi favorevolmente. La sua offerta, quindi, non fu ponderata, né l’avrebbe fatta se avesse saputo che mai la causa avrebbe potuto essere definita in Pretura. Da tutto ciò si evince che Lorenzo Carlomagno, ignorante qual era, non era in grado di valutare le conseguenze della sua leggerezza. L’offerta fatta è perciò equivoca e fa dubitare dell’elemento intenzionale, anche perché il Carlomagno si trovava in uno stato d’agitazione e preoccupazione per i fatti accaduti, quindi egli va assolto per insufficienza di prove.[1]

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Castrovillari.